Il bosco che Antonioni voleva dipingere di bianco

La fotografa Silvia Camporesi racconta il suo progetto ispirato al bosco di Ravenna che Michelangelo Antonioni tentò, senza successo, di dipingere di bianco per una scena di “Deserto rosso”.

A Ravenna c’è un bosco di pinus pinea che nasconde una curiosa storia. Il bosco che Michelangelo Antonioni avrebbe voluto inserire in una scena di Deserto rosso, celebre film girato fra Ravenna e Ferrara nell’inverno tra il ’63 e il ’64. Il film racconta di una donna ‒ Monica Vitti ‒ tormentata, fortemente depressa, e tutto il paesaggio intorno esprime, nella sua tragica bellezza, questo profondo senso di alienazione. Verso la fine delle riprese il regista decide di aggiungere una scena importante, decisiva: in quegli anni il paesaggio di Ravenna si sta trasformando e la natura convive con l’aumento progressivo della crescita industriale, alberi e ciminiere si contendono gli stessi scenari e Antonioni immagina una enorme distesa di pini non del colore verde che li contraddistingue, ma di un grigio innaturale e, affinché la macchina da presa ottenga quel risultato, è necessario dipingerli di bianco.

ANTONIONI E DESERTO ROSSO

La prima volta che il regista fece i sopralluoghi si interrogò sul “senso poetico di questo bosco che a prima vista escludeva così perentoriamente ogni idea di bosco” (AA.VV, Fare un film è per me vivere. Scritti sul cinema. Marsilio, Venezia 2009). Un bosco circondato da ciminiere, da strade, assediato da autocarri, da fumi di vari colori. La natura che compete e combatte con il suo contrario, l’industrializzazione. Tutto il film ruota su questo dualismo e riflette densamente gli stati d’animo della protagonista. Dopo l’approvazione da parte della produzione, una squadra di operai si mette all’opera per colorare, solo da una lato, questi enormi alberi alti anche quaranta metri. Esiste una foto di scena che ritrae un imbianchino mentre sale su un’altissima scala con in mano la pompa del colore, la scala sembra instabile, c’è un gruppo di operai che lavora nella notte, coperti di vernice dalla testa ai piedi, e la scena ricorda i terrorizzati giardinieri della regina di cuori di Alice nel paese delle meraviglie.
Il regista annota nel suo diario tutti i dubbi di quello che potrà essere il risultato: teme che all’alba la brina potrà sciogliere il colore, immagina l’arrivo del sole, imprevedibile, dopo tanti giorni di grigio, e nel mentre la pompa che spruzza il colore si è rotta e un operaio stanco se ne va via in malo modo.
Il lavoro è pressoché finito, arriva la mattina: “Tutto quello che posso, che devo dire con la morte nel cuore al mio direttore di produzione, ora che è mattina ed è spuntato un bel sole ed è impossibile girare, è che rinuncio alla scena. Niente bosco bianco nel film. Ed è questa la ragione per cui ne scrivo” (Ibid.).

Silvia Camporesi, Il bosco bianco, 2012. S.A.R.O.M. Committente Rete Almagià, Ravenna. Progetto Appunti per un Terzo paesaggio 2021, a cura di Sabina Ghinassi

Silvia Camporesi, Il bosco bianco, 2012. S.A.R.O.M. Committente Rete Almagià, Ravenna. Progetto Appunti per un Terzo paesaggio 2021, a cura di Sabina Ghinassi

IL BOSCO RICREATO DA SILVIA CAMPORESI

Ho letto il diario di Antonioni e l’amarezza che trasuda dalla storia che egli racconta mi ha molto colpita, soprattutto se penso al film: un enorme capolavoro nonostante questa scena mai girata. Così nel 2012, anno in cui ricorreva il centenario della sua nascita, ho deciso, come piccolo omaggio personale a un regista che amo, di ricreare questa scena mai realizzata.
Ho esplorato le pinete nei pressi della zona industriale di Ravenna, mi sono fatta un’idea della storia del bosco. Come fare dunque? Non avrei potuto ritentare l’impresa del regista, così decido di procurarmi un certo numero di pini marittimi in miniatura, fatti a mano, decisamente credibili. Sono alti 10 centimetri. Li monto su una base che cospargo di aghi di pino spezzati, li dipingo di bianco, noleggio una macchina del fumo e procedo: ecco il bosco di cui parlava il regista. Stampato grande, è il luogo magico al quale ho pensato quando leggevo il diario del regista. Chi lo vede mi chiede “dove si trova questo bosco magico?” Fantasia e realtà di nuovo giocano a scambiarsi i ruoli e il mio piccolo inganno sembra funzionare.

RAVENNA, L’INDUSTRIA E ANTONIONI

Il bianco del bosco in miniatura lo ritrovo proprio in questi giorni nel manto naturale delle betulle che si distendono in un altro luogo iconico del regista ferrarese, l’area ex s.a.r.o.m. di Ravenna, dove sorgono le due enormi torri di raffreddamento che fanno da sfondo alla famosa scena che apre il film. Il luogo è chiuso e in disuso da decenni, per entrare sono stati necessari permessi speciali e ho dovuto frequentare un corso sulla sicurezza. Ho ancora una volta la fortuna di poter entrare, indisturbata, guardare questo esempio di rigenerazione naturale, dove il concetto di terzo paesaggio si dispiega in tutta la sua forza. Rivedo la scena del film, riguardo il paesaggio oggi. Poco sembra essere cambiato, natura e industria convivono in un equilibrio tutto da capire, i gabbiani nidificano sulle ciminiere in disuso, lepri e fagiani si muovono indisturbati in questo angolo di purgatorio. Le torri, spente, come immobili cavalieri si dispiegano in tutta la loro enorme altezza, campeggiano sul paesaggio, alternandosi alla vista di altre ciminiere, fumi, alberi, ancora ciminiere, ancora alberi.

Silvia Camporesi

www.silviacamporesi.it

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Silvia Camporesi

Silvia Camporesi

Silvia Camporesi (nata a Forlì nel 1973), laureata in filosofia, vive a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Negli ultimi anni la…

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