Arte ed economia: un rapporto dinamico per la ripresa del Paese

Cultura, offerta e domanda, il mercato, la valorizzazione del patrimonio. Qual è lo stato di salute dell’arte? Se ne è parlato in un convegno a Roma. Ecco cosa è emerso.

Arte ed economia: un rapporto dinamico per la ripresa del Paese, convegno di studi tenutosi il 19 maggio, organizzato dalla Società Italiana di Avvocati Amministrativisti (SIAA) e dal corso di “Tutela e gestione dei beni culturali” dell’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT), coordinato da Benedetta Lubrano, ha ben enucleato alcuni temi che centrano il cuore delle riflessioni sul complesso rapporto evocato dal titolo. L’archeologa Francesca Del Fattore ha introdotto il tema e ha poi posto una serie di riflessioni di non poco conto. L’economista canadese John Kenneth Galbraith aveva scritto che “molto più che l’indice economico del Pil, nel futuro il livello estetico diventerà sempre più decisivo per indicare il progresso della società”. E quest’affermazione arriva dopo essersi chiesto come mai l’Italia, nazione uscita della guerra in condizioni disastrose, fosse diventata una delle più importanti potenze economiche mondiali. La risposta è  – sempre secondo Galbraith – dentro il concetto che “l’Italia ha incorporato nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura”. In gioco, secondo Annarita Iacopino, Professore Associato Diritto amministrativo UER, c’è il problema di comprendere se la valorizzazione culturale sia in rapporto conflittuale con la valorizzazione economica o se si può concepire un legame virtuoso tra le due. “L’offerta di cultura deve prescindere dalla domanda di cultura”. I beni culturali non essendo semplici beni di consumo ma “beni meritori”, ricorda Iacopino citando in modo pertinente la definizione di Musgrave, entrano in logiche d’uso di differente valore, poiché l’art. 9 della Costituzione assegna loro la fondamentale funzione culturale. 

VALORIZZAZIONE, TERRITORI E CONVENZIONE DI FARO

Comunque, continua Iacopino, ciò non deve demonizzare la valorizzazione economica, in quanto la sua capacità di attrarre risorse è anche “funzionale alla protezione, conservazione e valorizzazione dell’heritage, oltre che un volano per lo sviluppo dei territori”. Un concetto semplice: senza valorizzare il patrimonio non si può alla fine neppure tutelarlo. Un concetto però che in Italia fatica ad affermarsi. Gaetana Natale, avvocato dello Stato, introducendo la necessità di “oggettivazione del significato” sul termine “valore”, ha precisato che la valorizzazione economica va temperata dal criterio guida della tutela nella nuova dimensione dell’arte, all’interno di un “terreno di competenze trasversali”. E poiché l’Italia “possiede il 73 per cento del patrimonio culturale al mondo”, è necessario declinare la valorizzazione anche nel senso di individuare figure professionali nuove come il “registar, l’art lander gli esperti di sistemi digitali nei musei”, poiché questo contribuirebbe a superare, in parte, anche il gap occupazionale. “La Convenzione quadro di Faro”, conclude Natale, “ha esaltato il concetto di Cultural Heritage, intesa come funzione patrimoniale dei beni comuni, ma anche come bellezza, antichità, tipicità, rarità, autenticità, sostenibilità. Il bene artistico viene concepito come semioforo”: non è l’oggetto che genera eredità, ma è la funzione patrimoniale che genera un bene patrimoniale. In tale funzione occorre individuare degli strumenti valoriali che potenzi l’arte senza intaccarne la tutela e la conservazione per le generazioni future”. 

IL MERCATO DELL’ARTE

Caterina Nobiloni, Arbitro-Court of Arbitration for Art, ha spiegato come nasce e come si sviluppa il valore economico di un’opera d’arte o di un bene culturale. Valore che si dispiega lungo direttrici diverse che dialogano in modo serrato e, a volte, imprevedibile.

Protagonisti di queste dinamiche sono gli “artisti, dealers e case d’asta, collezionisti, Stato, critici/esperti (gatekeepers)“. All’interno dello schema classico di domanda-offerta, inoltre, il mercato è caratterizzato anche da “innumerevoli sotto-mercati individuati per periodi e generi (oltre 100)”. Valutare un’opera d’arte è quindi sempre la somma di fattori oggettivi elastici che mutano nel tempo, essendo la risultante di paradigmi culturali e sociali, oltreché economici, diversificati e spesso imponderabili e polisemici. Nobiloni, infine, sottolinea la necessità di sensibilizzare la pubblica amministrazione che purtroppo e spesso manca di “adeguata catalogazione e inventario dei beni”. Determinare il valore di un’opera diviene, in quest’ottica, un lavoro di ricomposizione del suo destino diacronico all’interno di una sorta di borgesiano “giardino dei sentieri che si biforcano”: in cui il giudizio estetico è solo una delle componenti della bussola per trovare la strada della determinazione – ad interim – del suo valore. Francesca Villanti, storico dell’arte – Direttore del Museo del Cinema di Pescara, ha discusso sulla Tecnologia digitale a sostegno delle mostre d’arte durante la pandemia. Tema di assoluta attualità che ha determinato un’istantanea trasformazione antropologica che si è riverberata anche in area museale. Il cosiddetto distanziamento sociale, ma sarebbe più corretto chiamarlo distanziamento anti-sociale, ha prodotto una mutazione genetica nel modo di esperire il rapporto con le opere d’arte contenute nei musei. Villanti ha dipinto le coordinate geografiche di questa mutazione analizzando le diverse modalità di utilizzo delle piattaforme digitali messe in campo dai musei partendo dalla storia delle “mostre multimediali” di tipo immersivo (es. Van Gogh Alive – The Experience) e denotando come la presenza dell’opera e la sua ostensione digitale siano due forme di emozioni totalmente differenti (anche se l’una non esclude l’altra). Dall’esperienza immersiva, che ha un gradiente spettacolare ovviamente predominante, Villanti arriva a porre dei problemi epistemologici sul senso stesso dell’esperienza tele-digitale delle esposizioni museali che fanno a meno dell’architettura dei luoghi per offrire paesaggi numerici che accolgono le opere dentro un affollata piazza di pixel.

CONDITION REPORT A DISTANZA?

Ma, al di là dell’oggettiva e discriminante qualità della “visione”, ciò che è un limite spesso può diventare un’opportunità e anche un invito a cercare nel rapporto con l’opera strade emozionali diverse. Da un punto di vista di produzione degli eventi, conclude Villanti, la creazione di un “Condition report a distanza” può invece diventare un valido alleato dal punto di vista della riduzione di costi. La distanza è diventata un sentimento in grado di condurre le dinamiche dello sguardo dentro un nuovo plot narrativo delle immagini. In questo senso forse più che di deprivazione del reale si potrebbe parlare di ampliamento del parterre delle esperienze, in cui la dematerializzazione dell’oggetto cultuale – spolpato della sua struttura fisica – si perpetua senza pausa, come un reportage che si trasforma nella materia del reportage, nel suo soggetto: esibito dentro una sua (iper)replica e nel contesto di una fiction che indirizza l’occhio dentro una sorta di scissione di tempo e spazio.
Loredana Giani, professore ordinario di diritto amministrativo UER, ha tirato le fila degli interventi sottolineando che il bene culturale non è solo inteso come identità singola, ma ma vive di una dimensione collettiva, e questo delinea il passaggio dal “diritto dei beni culturali a un diritto alla cultura”. Questa consapevolezza dovrebbe aiutare a strappare la valorizzazione finanziaria al mero “sfruttamento economico del bene”, mettendo in campo la concretezza di un profilo culturale della valorizzazione economica: senza aporie.

Antonio Bisaccia

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Antonio Bisaccia

Antonio Bisaccia

Antonio Bisaccia è Presidente del Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale e titolare della cattedra di prima fascia di “Teorie e metodo dei Mass-Media” presso l’Accademia Albertina di Torino. Collaboratore di riviste e quotidiani, tra i suoi libri…

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