La mostra che descrive il legame tra Dante e Verona
Prende le mosse dall’esilio scaligero di Dante la mostra allestita alla Galleria d'Arte Moderna Achille Forti di Verona. Oltre cento opere ripercorrono il legame tra il Sommo Poeta e Verona, guardando anche a Shakespeare.
Ci sono tre disegni del Botticelli nella mostra Tra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona. Quello dedicato a Dante e Beatrice nel secondo canto del Paradiso è stato scelto come l’immagine guida dell’ampia rassegna che si sviluppa anche lungo le strade di Verona, alla scoperta dei luoghi legati alla memoria del poeta. I due protagonisti sono inseriti in una serie di cerchi concentrici, forme che rimandano alla perfezione di Dio, in uno spazio impalpabile, resi mediante un disegno rigoroso e controllato nella sua semplicità.
Come s’intuisce dal titolo della mostra, la città scaligera è stata importante nella vita di Dante. “Lo primo… rifugio” e “il primo ostello”. (Paradiso, XVII, v. 70). Si spiega così perché i curatori hanno affidato a Verona un ruolo centrale. Una mappa cartacea creata per l’occasione fa scoprire al visitatore i ventuno luoghi ‒ piazze, palazzi, chiese, monumenti ‒ che rimandano al poeta.
Il progetto espositivo può contare su cento opere che spaziano dai dipinti alle sculture, dalle opere su carta ai tessuti, dai codici manoscritti agli incunaboli, dai volumi a stampa a quelli in formato digitale. Progetto che si articola in due percorsi fondamentali: nel primo si ripristina il rapporto tra Dante, Verona e il territorio veneto agli inizi del Trecento; il secondo rilegge il mito dell’esule fiorentino, il suo tormento creativo, nell’ottica ottocentesca. Questi due nuclei tematici sono stati approfonditi in sei sezioni.
– Fausto Politino
DANTE E GIOTTO
Si inizia con Dante, Giotto e la cultura artistica veronese d’inizio Trecento. Il legame tra i due quasi coetanei ha sempre incuriosito gli studiosi. La nota terzina dell’XI canto del Purgatorio, “Credette Cimabue ne la pittura // tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, // sì che la fama di colui è scura”, ci fa capire come Dante fosse consapevole della notorietà e dell’innovazione che il pittore introduce nell’arte creando un linguaggio tutto italiano, abbandonando lo stile bizantino. Ma per il momento non si conoscono documenti che attestino un reale contatto fra loro. Non sappiamo se ci sia stato realmente l’incontro nella Cappella degli Scrovegni a Padova, dipinta tra il1303 e il 1305, così come lo racconta Leopoldo Toniolo nel suo quadro ottocentesco. Non ci sono riferimenti per ipotizzare la presenza di Giotto a Verona, anche se esistono testimonianze del diffondersi nel territorio del suo linguaggio mediante i suoi collaboratori. Come il Maestro del Redentore, presente a lungo a Verona, che offre del giottismo un’interpretazione personale e molto espressiva.
DANTE E CANGRANDE DELLA SCALA
Si prosegue con Dante e Cangrande. L’incontro lo si può visualizzare nell’incisione all’acquatinta di Carlo Canella: Dante, ricevuto da Cangrande della Scala in una sala del suo palazzo, ha un atteggiamento riverente. L’autore ha voluto far rivivere la sontuosità della corte scaligera facendo coesistere Medioevo e Rinascimento.
LA FORTUNA DELLA COMMEDIA
La sezione intitolata La Commedia tra Tre e Settecento: immagine e fortuna in ambito veneto offre una selezione di codici miniati creati in ambito veneto databili tra il XIV e l’inizio del XV secolo. Una serie di incunaboli sono l’antefatto delle prime versioni stampate della Commedia, fino ad arrivare al Settecento con una Commedia della Biblioteca Capitolare di Verona che testimonia il costante interesse suscitato dal poema in città.
IL MITO DI DANTE NELL’OTTOCENTO
Con il mito di Dante e della Commedia nell’Ottocento si arriva alla quarta sezione. Se in questo periodo Dante incarna il padre della patria e diventa il simbolo dell’unità politica, linguistica e culturale dell’Italia, l’attenzione che gli rivolge Verona è di tutt’altro tenore, come si può vedere nei gustosi e disinvolti disegni di Pietro Nanin.
IL VIAGGIO VERSO LE ALTE SFERE CELESTI
“Riguarda bene omai sì come io vado // per questo loco al bene che disiri // sì che poi sappi solo tener lo guado”. Sono le parole di Beatrice per indicare a Dante il viaggio verso le alte sfere celesti. La terzina è trasposta ancora visivamente da Botticelli nel bellissimo disegno proveniente da Berlino ed esposto nella quinta sezione, dove si trova anche la tematica femminile introdotta dalla conosciutissima Meditazione di Francesco Hayez, noto come il maggiore interprete del Romanticismo italiano. Particolare attenzione merita il Paolo e Francesca di Gaetano Previati del 1887, che raffigura i protagonisti nell’istante della morte. Feriti a morte dalla stessa arma, si materializzano in un’unica sostanza, si trasformano in una sola persona.
DAL SOMMO POETA A SHAKESPEARE
Nell’ultima sezione dominano Shakespeare e il mito di Romeo e Giulietta a Verona e in Italia. “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, // Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: // color già tristi, e questi con sospetti!” (Purgatorio, VI, vv. 106-108): è probabile che siano stati questi i versi che portarono Luigi da Porto a scrivere nel 1531 la storia di Romeo e Giulietta. Versi che a loro volta ispirarono Matteo Bandello e quindi William Shakespeare, che nel 1596 scrisse l’immortale opera teatrale. A Verona il tragico destino di Romeo e Giulietta è ancora molto vivo. L’immedesimazione in una vicenda che cattura i giovani trova la sua incarnazione artistica nell’Ottocento.
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