Riflessioni sull’arte partecipata. Dalla Tate alla poesia di strada

Che cosa significa partecipare attivamente a un’opera d’arte? Marco Bazzini cerca di fare il punto, partendo dal recente intervento di Ei Arakawa alla Tate di Londra e arrivando alla poesia di strada di Ivan.

Forse qualcosa in più di una possibile rassomiglianza è rintracciabile nell’azione partecipata proposta da Ei Arakawa e terminata in questi giorni presso la Turbine Hall della Tate di Londra.
Il museo, così come richiesto dall’artista giapponese, nei giorni di caldo estivo ha invitato il suo pubblico a giocare, disegnare e divertirsi lasciando una traccia del proprio passaggio sul pavimento della sala precedentemente ricoperta con teli come un grande foglio di carta. In questo modo il visitatore ha avuto la possibilità di realizzare un’opera in continua evoluzione e, aggiunge, “Can you do something that has never been done before?”. Ed è proprio questo punto di domanda a suggerire una risposta affermativa: sì, è già successo. Eventi molto affini a questo, sia per tipologia di invito che di esecuzione nonché di formalizzazione, sono già accaduti e hanno visto la partecipazione di centinaia di persone soprattutto in Italia. In questo elenco non sono, però, da registrare tutte quelle esperienze che, dalle avanguardie storiche in poi, hanno dato la possibilità ad altri attori di partecipare alla realizzazione di un’opera, come la più recente produzione artistica ha molte volte attuato.

L’ARTE PARTECIPATIVA DI IVAN

Questa di Ei Arakawa e della Tate è, rispetto a queste, qualcosa di diverso, a partire dalla dimensione, perché si tratta di una vera e propria chiamata a un evento collettivo che, aperto a tutte e tutti, si svolge in uno spazio pubblico come è quello di un museo (l’ingresso era libero con prenotazione per normativa anti-Covid). Però, poco più di un mese fa, l’11 luglio, un invito a dipingere un’opera con la partecipazione di tutte e tutti i passanti su una grande tela, grande quanto la piazza in cui si svolgeva, è arrivato durante la seconda edizione del Festivart di Lavagna, importante festival di poesia di strada nonché di arte partecipata che si svolge a inizio estate nella nota cittadina ligure. Ma anche questo evento, a cui hanno preso parte moltissime persone, non è che l’ultimo “appuntamento” degli oltre cinquanta che Ivan, artista e poeta di strada (a marzo ha dipinto l’unghia del dito di Cattelan davanti alla Borsa di Milano), ha promosso e realizzato in altrettante piazze d’Italia e del mondo.
La grande pagina bianca, evento a cui qualche lettore ha forse avuto la fortuna di partecipare visti i vertiginosi numeri di persone coinvolte, è il titolo di quell’impresa comune che Ivan realizza dal 2007 e che nel tempo ha coinvolto le piazze di città grandi e piccole tra cui, per fare qualche esempio, Firenze, Verona, Napoli, Bologna, Roma, Sansepolcro, Palermo, Angers (Francia), Hanover (Stati Uniti), Port-au-Prince (Haiti), ma anche Milano con la sola Piazza del Duomo nel 2011, 2014, 2015 e 2017.

Ivan, La Grande Pagina Bianca

Ivan, La Grande Pagina Bianca

IVAN E LA POESIA DI STRADA

Anche in queste occasioni al pubblico che arriva o è arrivato in piazza è richiesto di scrivere, con colori e pennello e nella maniera più libera, una parola o una frase (ma vanno bene anche disegni) sulla tela disposta a terra per comporre un grande testo collettivo che abbia anche un sorprendente impatto visivo. Perché, come dice Ivan, che del movimento della Poesia di strada (pratica diversa dal Muralismo e dalla Street Art) è uno dei massimi autori nonché l’ideatore, “una pagina bianca è una poesia nascosta” in quanto dispositivo libero e liberato nel cuore delle città. Una poesia nascosta perché scritta da grandi e piccoli, donne e uomini come momento di condivisione del proprio essere e come ricomposizione di una collettività che si incontra nella vita reale. Pagina Bianca è un momento di scrittura ma anche di lettura e nasce come fonte di energia, storia, memoria, identità, arte, poesia di strada.
Ivan l’ha già proposta, seppur raramente, in contesti organizzati, ma ora che è entrata in un museo, sebbene con diverso nome ma con una pratica non troppo dissimile e un esito visivo decisamente sovrapponibile, cosa succede? Speriamo che a deciderlo non siano ancora una volta soltanto gli avvocati.

Marco Bazzini

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Marco Bazzini

Marco Bazzini

Marco Bazzini, storico e critico d’arte, vive in campagna. Ha svolto un’intensa attività didattica presso accademie e università come insegnante in numerosi master e corsi di specializzazione. Ha curato mostre e cataloghi per spazi pubblici e privati in Italia e…

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