Martini, Morandi, de Pisis. Al Palazzo Cini di Venezia
La Galleria di Palazzo Cini conclude la stagione espositiva con un nucleo di opere di Arturo Martini, Filippo de Pisis e Giorgio Morandi, provenienti dal lascito di Franca Fenga Malabotta alla Fondazione Cini. Tra arte grafica, libri d’artista e sculture.
Entrando nel piano nobile della Galleria di Palazzo Cini si ha la sensazione di varcare la soglia di una casa, più che di uno spazio espositivo. Una dimora in cui un raffinato ed estroso collezionista custodisce gelosamente opere e oggetti straordinari. La scala ripida e stretta, gli spazi raccolti, la luce soffusa, gli arredi contribuiscono a rafforzare l’impressione di trovarsi in un luogo privato, intimo. Per certi aspetti in netto contrasto con l’idea di museo alla quale siamo oggi abituati, in cui le opere sono allestite alla giusta distanza, nel giusto ordine, sotto la giusta luce, per valorizzarne ogni dettaglio, scandagliarne ogni segreto. In queste sale invece irrompe la vita, caotica e irriducibile: si posa sulle opere preservandone il mistero, le tracce evidenti ma insondabili delle esistenze che hanno incrociato, toccato, posseduto quegli oggetti. È in un ambiente così connotato che si colloca la selezione di opere provenienti dal lascito di Franca Fenga Malabotta alla Fondazione Cini, per la prima volta esposte al pubblico. Sette capolavori che non sono solo oggetti di studio, ma testimoni un po’ malinconici di un certo modo di fare collezionismo che ha accompagnato per quasi un secolo la vita del notaio, poeta e critico Manlio Malabotta prima e della moglie Franca poi.
LA COLLEZIONE MALABOTTA
All’indomani della morte del marito, Franca Fenga Malabotta si ritrova improvvisamente a essere custode e ambasciatrice di una collezione vastissima, che annovera un corpus straordinario di opere di Filippo de Pisis, numerosissimi libri d’artista, incisioni sciolte e volumi di pregio, nonché un significativo nucleo di lavori di Arturo Martini. Nel catalogo Manlio Malabotta e le Arti, pubblicato in occasione dell’omonima mostra inaugurata a Trieste nel 2013, Franca Malabotta scrive: “Rimasta sola, iniziai a guardare le esposizioni con altri occhi. […] qualcosa era cambiato, gli amati de Pisis erano diventati soltanto miei, ero io che avrei dovuto custodirli, farli conoscere, accompagnarli alle mostre […], proteggerli come meravigliose creature da cui non avrei potuto separarmi con facilità”. La valorizzazione della collezione, soprattutto attraverso l’avvio di collaborazioni con istituti ed enti di ricerca, diventa quasi una missione. Per Franca Malabotta le opere devono viaggiare ed essere esposte, nella consapevolezza che il vero collezionismo non equivale a rinchiudere gli oggetti in un castello dorato. Ed è così che nel 1996 viene istituzionalizzata la donazione dell’intero corpus di de Pisis alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, città natale dell’artista. Del 2015 invece è la decisione di lasciare al Museo Revoltella di Trieste il nucleo di lavori di interesse giuliano.
IL LASCITO ALLA FONDAZIONE CINI
Nel medesimo anno Franca Malabotta decide di conferire alla Fondazione Cini la collezione di libri d’artista e la raccolta d’arte grafica, al fine di promuoverne lo studio e la catalogazione.
Lo straordinario corpus di opere donate comprende volumi illustrati, fra gli altri, da Carrà, Rosai, Guttuso e de Chirico, nonché da esponenti dell’Espressionismo tedesco come Grosz e Kokoschka; incisioni di Chagall, Marini e Vedova, a cui si aggiunge il nucleo di lavori di Arturo Martini. Una collezione attraverso cui è possibile ricostruire la mappa delle frequentazioni – geografiche e intellettuali – che hanno accompagnato Manlio Malabotta e la sua pratica di collezionista, dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, da Giovanni Comisso a Umberto Saba e Giovanni Scheiwiller.
LA MOSTRA A VENEZIA
Nella casa museo della Galleria, fra la collezione permanente di dipinti toscani dal XIII al XVI secolo, sono incastonati con grazia, perfettamente amalgamati, sette lavori provenienti dal lascito. Morandi, l’immancabile de Pisis, Martini: autori particolarmente rappresentativi dell’interesse di Malabotta, anche in qualità di critico, nei confronti dell’arte figurativa italiana a cavallo fra le due guerre. Tre artisti accomunati dall’impossibilità di essere ricondotti a una corrente specifica o a una tendenza di mercato dell’epoca. Tutti e tre protagonisti di una ricerca personalissima, dagli esiti talvolta inaspettati: l’intensità dei chiaroscuri nelle acqueforti di Morandi in contrasto con l’evanescenza dell’acquerello dipinto l’anno prima della morte; il tratto morbido e trepidante di de Pisis nelle prove di stampa per l’edizione de I Carmi di Catullo, quasi “a servizio” delle atmosfere evocate dal poeta latino; la Morte di Ofelia di Martini, plasmata a viva forza nella terracotta, così diversa dai lavori appartenenti alla medesima sequenza scultorea. Le opere d’arte come epifenomeni progressivi della vita: degli artisti che le hanno create e dei collezionisti che le hanno amorevolmente conservate e consegnate a noi.
‒ Irene Bagnara
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati