Cosa significa essere artisti nel tempo presente

Secondo capitolo dei saggi di Christian Caliandro sull’arte comunitaria. Stavolta il protagonista è il tempo

Il tempo (a). Il tempo direzionale, lineare è maschile: la linea del progresso, direzione solo avanti, ecc. Invece, il tempo è elastico, aperto, poroso, permeabile. Femminile. Viviamo in più dimensioni: presente-passato-futuro. Ciò che accadrà è, in qualche modo, già accaduto. Già qui. Abbiamo tutti gli elementi davanti, il futuro è già con noi, basta guardarli sul serio. È tutto a disposizione, squadernato davanti ai nostri occhi e ai nostri oggi. Così come il passato è con noi, vive con noi: “Il passato non è morto e sepolto. In realtà non è neppure passato” (William Faulkner).

MODIFICARE IL TEMPO

Via, via, via, disse l’uccello: il genere umano / non può sopportare troppa realtà. / Il tempo passato e il tempo futuro / ciò che poteva essere e ciò che è stato / tendono a un solo fine, che è sempre presente” (T. S. Eliot, Burnt Norton, I, in Quattro quartetti, Garzanti, Milano 1976, p. 7).
Il tempo (b). Il tempo si può modificare? Non in senso lineare: ma possiamo abitare il tempo in più dimensioni, e non solo in una (è come il discorso sugli stili di un’opera: non un unico stile). Il tempo individuale e quello collettivo. Il tempo proposto dall’immaginario spettacolare è schiacciato su alcuni fattori/elementi piuttosto poveri. La versione generale è semplificata, ridotta cioè a pezzetti piccoli e digeribili. La versione complessa è inevitabilmente difficile da penetrare, da navigare, da abbracciare e da comprendere.
Vivere in più epoche contemporaneamente: “Al punto fermo del mondo che ruota. Né corporeo né incorporeo; / né muove da né verso; al punto fermo, là è la danza, / ma né arresto né movimento. E non la chiamate fissità, / quella dove sono riuniti il passato e il futuro. Né moto da né verso / né ascesa né declino tranne che per il punto, il punto fermo, / non ci sarebbe danza, e c’è solo la danza. / Posso soltanto dire: là siamo stati, ma non so dire dove. / E non so dire per quanto tempo, perché questo è collocarlo nel tempo” (T. S. Eliot, Burnt Norton, II, in op. cit., p. 9).

John Giorno, Aids treatment project, 1993

John Giorno, Aids treatment project, 1993

STORIA E MEMORIA

La memoria è sempre soggettiva, fallibile, incompleta, precaria. (Eppure è il modo in cui noi ricordiamo la realtà e la nostra vita.) Perché la memoria collettiva – la Storia – dovrebbe essere differente? Anche la Storia è mutevole, imperfetta, soggettiva. Sono i ricordi del mondo, di un Paese, o di una comunità. La storia è il modo in cui la società sceglie di ordinare e organizzare il proprio passato recente e lontano, gli eventi e le scelte che hanno generato il proprio presente. La storia esclude così moltissime figure, prospettive, angolazioni, e lo fa consapevolmente… Eppure, si può correggere, modificare, emendare. Completare, integrare.
Le parole si muovono, la musica si muove / solo nel tempo; ma ciò che soltanto vive / può soltanto morire. Le parole, dopo il discorso, giungono / al silenzio. Solo per mezzo della forma, della trama / possono parole o musica raggiungere / la quiete, come un vaso cinese ancora / perpetuamente si muove nella sua quiete. / Non la quiete del violino, fin che dura la nota. / Non quella soltanto, ma la coesistenza / o diciamo che la fine precede il principio, / e la fine e il principio erano sempre lì / prima del principio e dopo la fine. / E tutto è sempre ora” (T. S. Eliot, Burnt Norton, V, in op. cit., p. 15).

Peter Phillips, Apollo II, 1969

Peter Phillips, Apollo II, 1969

ESSERE AUTORE E ARTISTA

“‘Visto?’ sentivano la voce del dottor Philipson, ma non riuscivano a vederlo; una cortina era scesa a velare le immagini fisse degli oggetti che li circondavano, dissolvendoli. Una luminosa cascata, come di un miliardo di palle da golf, prese il posto della familiare realtà delle forme solide. Era, pensò Joe Schilling, come una sostanziale deformazione dell’atto stesso della percezione. Malgrado se stesso e la sua determinazione, aveva paura” (Philip K. Dick, I giocatori di Titano, Fanucci Editore, Roma 2000, p. 194).
7 ottobre 2021. Una creatività senza nome. Essere “Autore”, “Artista” vuol dire invece in questo momento (e forse ha sempre voluto dire) consegnarsi all’artificialità, alla retorica, al ruolo. Significa essere incastrati in un’unica modalità, che dunque esclude tutte le altre, scegliere una sola opzione, e lasciar perdere le altre. Libertà (creativa) significa, invece, non scegliere – o, piuttosto, scegliere tutte le modalità e le opzioni. Adottare tutti gli stili, percorrere tutte le strade. Conoscere tutto, essere dappertutto… Jazz. Improvvisazione. Una struttura che non è tale. Una forma sfrangiata: “Joe Schilling, dibattendosi nel vuoto immenso, rotolava, sembrava cadere, si tratteneva, si strozzava con il fumo del suo sigaro e si affannava per respirare. ‘Pete!’ chiamò ad alta voce. Rimase in ascolto. Non c’erano direzioni, non c’era sopra né sotto. Nessun qui. Nessun senso di ciò che era lui o diverso da lui. Nessuna divisione tra io e non io” (ivi, p. 250).
Lasciarsi la possibilità concreta di deviare, in qualunque momento ‒ di andare fuori tema…

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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