Arte, comunità e didattica. Cosa pensano gli studenti dell’Accademia
Le riflessioni degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Foggia tornano protagoniste della serie di saggi di Christian Caliandro sul concetto di "arte comunitaria"
1° dicembre 2021. Arte partecipativa, relazionale, impegnata socialmente (socially engaged), arte incentrata sulla comunità (community-oriented), arte dialogica, arte delle comunità sperimentali, arte di confine (litoral art), arte interventista, arte collaborativa, arte collettiva, arte contestuale, arte come pratica sociale (social practice): tutte queste definizioni indicano sfumature di uno stesso approccio.
Rossella: Presupponendo che in questo periodo storico particolare stia andando di moda l’arte relazionale, quale potrebbe essere, se esiste, il posto per raggruppare queste opere?
Non c’è un posto, perché altrimenti non si tratta di vera arte relazionale.
Gli unici veri fruitori in realtà, nel caso di un’opera di questo tipo, sono i partecipanti – i coautori ‒ che a loro volta formano una microcomunità. Ogni passaggio, in questo senso, è anche attraversato da tensioni, contrasti, imprevisti, ma questo è un punto fondamentale perché così gli artisti cedono parte della loro autorialità, della loro identità creativa, e diventa possibile creare una rete di relazioni e di collaborazione anche con altri professionisti.
Più l’artista si inoltra nel tessuto della realtà, più l’opera è efficace.
Questi lavori hanno inoltre bisogno di mesi e anni per dispiegarsi appieno: infatti, una relazione per fiorire e funzionare deve estendersi nel tempo. (…)
ACCADEMIE E INDIVIDUALISMO
Gaia: Dal momento che è così difficile trovare degli artisti che si avvicinano all’opera collettiva volontariamente, come mai a partire dalle Accademia, a parte alcuni corsi, proprio i corsi di pittura (ovvero i corsi che avvicinano maggiormente gli studenti al mondo pratico dell’arte) puntano sull’individualismo? Cioè a noi viene insegnato a realizzare delle opere singole da appendere al muro, pensate per le mostre, per i contesti espositivi. Quindi mi chiedevo se ci fossero altri luoghi in cui un artista potesse essere formato.
A tal proposito, cito quest’altro progetto realizzato l’anno scorso a Torino, ma che in realtà ha coinvolto molte altre città e province d’Italia, chiamato Artista di quartiere. Questo progetto, nato da un’idea di Alessandro Bulgini, promosso e sostenuto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e realizzato con la collaborazione del Segretariato regionale del MiBACT per il Piemonte) è stato realizzato con dieci artisti provenienti dalle Accademie di tutta Italia (Ado Brandimarte, Valentina Catano, Marco Curiale, Vincenzo Francesco Di Chiano, Francesca Fiordelmondo, Brenno Franceschi, Giuseppe Formiglio, Manuel Picozzi, Beatrice Sacco, Sara Tosti), e si è concluso con la realizzazione di un libro pubblicato un mese fa, un manuale, nel quale viene spiegata una sorta di metodologia relativa svolgimento dell’intero progetto.
Ma vorrei sentirvi nello specifico: come mai nelle Accademie c’è questa impostazione, sostanzialmente, legata all’artista che realizza la sua opera e attraverso questa esprime la sua individualità? Ovviamente, non è che questo tipo di arte sia sbagliato, ma dico che questa individualità, a mio parere, viene fuori se noi la fondiamo con gli altri. Ritengo che nella relazione con l’altro, in generale, ci si riesca a riconoscere molto meglio.
Letizia: Forse perché questa maniera collettiva di fare arte non è ancora stata pienamente assorbita. Non si è ancora cioè entrati in questa concezione comunitaria, invece quello che diceva prima Gaia, il fare la mostra o il pensare a un’opera molto più statica, essendo la rappresentazione di un momento, viene considerata molto più solida.
O forse semplicemente non può essere assorbita, in realtà: il vantaggio dell’opera chiusa è che essa si mostra come un sapere trasmissibile. La stessa Accademia, nata con il Manierismo così come la storia dell’arte in quanto disciplina, nasce nel momento in cui la maniera diventa qualcosa di veramente trasmissibile non più all’interno della bottega, che ha comunque una dimensione collettiva, ma invece all’interno di una scuola in cui diventa un codice rigido, un sistema di convenzioni linguistiche da trasmettere epoca dopo epoca, secolo dopo secolo…
OPERE, MOVIMENTI, EPOCHE
26 dicembre 2021. Opera collettiva e collaborativa, in cui la creazione attraversa il tempo – anni e decenni.
La fine coincide con l’inizio (“Non ti disunire!” “Ma che significa?”).
I confini della storia dell’arte non sono quelli ufficiali, imposti dall’alto dai “vincitori” (gli “esercenti”). I decenni non vogliono dire nulla – non concludono – sono illusioni, costruzioni artificiali.
Cinquant’anni fa sono state aperte delle porte che devono ancora essere attraversate, iniziate e inaugurate delle linee che aspettano ancora oggi di essere perseguite.
La “storia” coincide con le singole vite, e al tempo stesso le oltrepassa.
La ricerca di un autore non si esaurisce nei cinque anni in cui è stato di moda.
I movimenti non vengono sostituiti da altri movimenti: vengono invece sostituiti da altri sistemi di valori, che all’apertura di una nuova epoca cambiano ruolo e funzione delle opere.
È quello che è avvenuto quarant’anni fa, all’inizio degli Anni Ottanta – e, forse, è quello che sta avvenendo anche ora.
‒ Christian Caliandro
LE PUNTATE PRECEDENTI
Che cosa significa arte comunitaria oggi
Cosa significa essere artisti nel tempo presente
L’arte comunitaria e la relazione con l’altro
Arte comunitaria: che cos’è e come si mostra
Epoche e stili: che cosa succede dopo gli Anni ’70?
L’arte relazionale secondo gli studenti dell’Accademia
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