Come l’opera d’arte complessa affronta le sfide della sostenibilità
A partire dalle anticipazioni del Padiglione Italia di Gian Maria Tosatti alla prossima Biennale di Venezia, una riflessione su che cosa sia un’opera d’arte complessa e su come si relazioni al tema – urgentissimo – della sostenibilità
Lunedi 14 febbraio 2022 Gian Maria Tosatti ha presentato il Padiglione Italia della prossima Biennale di Venezia: Storia della notte e destino delle comete.
Durante l’introduzione il Direttore Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, Onofrio Cutaia, ha parlato di un’opera d’arte totale, site specific e immersiva.
Nell’apertura del suo ultimo libro, Tosatti ci lascia intendere alcune suggestioni che probabilmente ritroveremo nel suo padiglione: “Se l’opera d’arte risponde alle stesse leggi che definiscono la realtà fisica allora essa non costituisce una rappresentazione, ma una realtà a sua volta”.
Nonostante questo primo enunciato sveli moltissimo della pratica di Tosatti, la vera sfida per l’artista sarà quella di progettare e realizzare un’opera in grado di allinearsi a quelle leggi della natura che possano guidarci attraverso le sfide della sostenibilità che dominano la nostra epoca. Queste leggi sono racchiuse in quella che gli scienziati hanno definito la Teoria della Complessità.
In economia la ricerca di sostenibilità viene spesso definita come un equilibrio tra gli elementi di un trittico composto da giustizia sociale, integrità ecologica e benessere economico. Questo equilibrio è però di difficile raggiungimento se vengono utilizzati gli stessi paradigmi culturali che sono alla radice della crisi che stiamo vivendo.
Non basta infatti limitarsi a trovare un compromesso tra questi tre pilastri o auspicare la salvezza messianica da parte di una innovazione tecnologica “green”, ma è necessario fondare una nuova cultura della sostenibilità, radicata in un modo di pensare legato alla complessità e a un approccio sistemico alla conoscenza.
CHE COSA SIGNIFICA ESSERE SOSTENIBILI OGGI
Essere sostenibili richiede un cambio paradigmatico di visione del mondo, lontano dal pensiero rigido e impositivo della modernità e altrettanto distante dell’incertezza e autoreferenzialità del pensiero postmoderno. La sostenibilità richiede di sviluppare una visione che sia in grado di conservare un sistema scientifico altamente specializzato, una fortissima capacità trasformativa del mondo e un benessere diffuso nella popolazione, contrapponendosi però a una visione atomistica, individualistica e materialistica del mondo.
Parlare di sostenibilità significa prima di tutto immaginare una via di uscita dalle pratiche non-sostenibili che guidano il nostro sviluppo, allontanarsi dalla frammentazione della conoscenza, dall’oggettificazione della natura e dalla bulimia da consumo.
Nel saggio Systems in Art Making and Art Theory: Complex Networks from the Ashes of Postmodernism, Philip Galanter descrive così una visione del mondo della complessità:
“Un mondo distribuito in cui il progresso non è né lineare e assoluto, né relativo e circolare, ma piuttosto un processo di emergenza e coevoluzione. La complessità suggerisce che sia i sistemi eccessivamente rigidi che quelli eccessivamente casuali sono limitati”.
COS’È UN’OPERA D’ARTE COMPLESSA
Molti artisti attraverso la propria pratica evidenziano quelle che sono le minacce principali di uno sviluppo non sostenibile, aumentando la consapevolezza dello spettatore e mettendo in luce le sfide da affrontare. Un numero molto più ristretto di artisti, invece, pur mantenendo una forte autorialità, è riuscito a immaginare un’opera che acquisisce una vita autonoma grazie alla presenza dell’ambiente circostante, alle forme di vita che prendono parte all’opera (siano esse artificiali o organiche) e alla presenza dello spettatore.
Questi artisti in fase di progettazione hanno settato il campo da gioco e le regole all’interno del quale l’opera si svolge, creando così quella che possiamo definire un’opera d’arte complessa: non più un’immagine ma un ambiente, non più un albero bensì una foresta.
Per definire cosa sia un’opera d’arte complessa possiamo provare a lasciarci guidare dall’analogia della foresta. Anzitutto una foresta si contrappone a un singolo albero perché non è possibile oggettificarla: quando si è al cospetto di una foresta ogni individualità viene marginalizzata e si diventa parte del tutto. Le foreste non hanno confini precisi né limiti definiti: un continuum in perenne ridefinizione con l’ecosistema. Ciò che costituisce una foresta è l’interazione dei vari organismi che la compongono, la foresta è un sistema emergente che prospera sulla biodiversità dei suoi elementi e si affida a essi esaltandone la potenza. Al contempo la foresta richiede a ogni elemento di cedere una parte della sua indipendenza e in questa alleanza si generano i pattern che la caratterizzano: un equilibrio costantemente sospeso tra ordine e disordine, caos e creazione.
GLI ARTISTI E LA TEORIA DELLA COMPLESSITÀ
Nel XXI secolo alcuni artisti si sono ispirati alla teoria della complessità per produrre opere (primo fra tutti Tomás Saraceno) ma sono pochi a essere riusciti a catapultare il visitatore all’interno di un organismo vivente emergente.
Pierre Huyghe con After ALife Ahead (Skulptur Projekte, Münster, 2017) ha costruito un ambiente composto da molti elementi organici e tecnologici che interagiscono fra di loro creando un’ambientazione immersiva, un “time- based bio-technical system” nelle parole di Steve Klee: “un’ecologia complessa, che include i suoi spettatori umani”.
Anne Imhof nell’opera Faust, presentata alla Biennale del 2017, ha progettato l’improvvisazione, lasciando spazio ai performer di costruire in autonomia dei pattern complessi su vasta scala, realizzando per lo spettatore un’arena, un palcoscenico dove l’attore è lo spettatore stesso.
Roberto Cuoghi, all’interno del Padiglione Italia del 2017, presenta Imitazione di Cristo: una fabbrica di opere che si decompongono durante il corso della manifestazione. I calchi di Cristo sono lasciati a evolversi nel tempo attraverso l’azione invasiva di sostanze organiche e muffe. L’artista si affida alla forza generativa del caso e del disordine della decomposizione in grado di generare raffigurazioni iconiche che mutano nel tempo in maniera imprevedibile, creando un campo iconografico dinamico ed emergente in cui lo spettatore è immerso.
Olafur Eliasson con l’opera Life, esposta nel 2021 alla Fondazione Beyeler, riproduce un ecosistema senza né limiti né confini, in continua evoluzione. L’artista racconta come si sia reso conto che “siamo fondamentalmente interconnessi, siamo attaccati, attraverso una moltitudine di relazioni, ad altri esseri, cose, istituzioni, all’ecosistema”. Rimuovendo le vetrate della fondazione, la natura presente nell’ambiente circostante entra all’interno dell’edificio, trasformando di fatto il museo in una cornice per il mondo organico che lo circonda.
In conclusione, L’opera d’arte complessa è un nuovo linguaggio che permette di affrontare in maniera tridimensionale i temi della contemporaneità come la biodiversità, la spiritualità, i rapporti sociali e il rapporto tra natura e tecnologia. Severino diceva che “il linguaggio è l’apparire del Destino”: se riusciamo ad apprendere la sintassi di questo nuovo linguaggio attraverso l’arte, allora possiamo sperare di trovare una via d’uscita dal mondo della non-sostenibilità che ci circonda.
‒ Marco Bassan
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