Il latte alle ginocchia. L’opinione di Antonello Tolve sulla Biennale di Venezia
È netta la posizione di Antonello Tolve sulla Biennale di Cecilia Alemani: noiosa, ripetitiva e ricca di occasioni perse, come l’assenza di riconoscimenti per il Padiglione Italia di Tosatti
![Il latte alle ginocchia. L’opinione di Antonello Tolve sulla Biennale di Venezia](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2022/04/Padiglione-Corea-Biennale-Arte-2022-ph.-Irene-Fanizza-1024x682.jpg)
Questa Biennale di Cecilia Alemani mi sembra tanto che possa essere ricordata come il latte degli stereotipi da cui la donna, e con lei tutto una galassia di questioni legate ora alla (subdola) neo-schiavitù ora al postcolonialismo ora alla differenza e alla diversità di pelle (siamo ancora a questo?), non viene per niente riscattata o esaltata ma semplicemente utilizzata e inserita in una fiera fatta di banalità, di luoghi comuni, di retorica, di tribalità, di ottimo artigianato, di arti applicate (tanta stoffa, tanta ceramica). A ribadirlo sono anche gli assurdi premi che la giuria ha attribuito secondo i migliori schemi dell’ormai dominante orientamento dettato dalla political correctness, senza tener davvero presenti alcuni brillanti progetti presentati, ad esempio, al Padiglione Grecia da Loukia Alavanou o al Padiglione Serbia da Vladimir Nikolić. Il Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale a Sonia Boyce (Feeling Her Way, Gran Bretagna), il Leone d’Oro per il miglior partecipante alla Mostra Internazionale Il latte dei sogni a Simone Leigh (Sovereignty, Stati Uniti) che tanto ricorda la sfinge di zucchero di Kara Elizabeth Walker e le menzioni speciali a Francia e Uganda lasciano intendere che fondamentalmente ha vinto il senso di colpa, che ha vinto il sistema-potere, che ha vinto la cultura dominante travestita da ex-sottocultura minoritaria (sempre schiacciata e addomesticata), che non c’è stato nessun riscatto reale ma soltanto un giochetto giocato sul piano dell’upper-class di cui fanno parte anche le stesse artiste vincitrici: il Leone d’Oro al padiglione americano sembra il Leone a un Paese ormai finito che si lava la coscienza!
![Padiglione Austria, Biennale Arte 2022, ph. Irene Fanizza](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2022/04/Padiglione-Austria-Biennale-Arte-2022-ph.-Irene-Fanizza.jpg)
Padiglione Austria, Biennale Arte 2022, ph. Irene Fanizza
UNA BIENNALE NOIOSA
Ripetitiva e a tratti noiosa, la Biennale di Alemani pare toccare ma mai approfondire alcune tematiche. Naturalmente di opere importanti ce ne sono: ci sono delle assenze (Gina Pane, se vogliamo) e c’è generosità nelle scelte (Regina Cassolo Bracchi, Candice Lin, Delcy Morelos, Paula Rego, Ovartaci…), ma manca un concreto spirito critico, forse una reale presa di posizione o un certo qual rischio capace di farci sentire la giusta energia d’insieme. La Polonia con Małgorzata Mirga-Tas, l’Austria con Jakob Lena Knebl e Ashley Hans Scheirl, la Lettonia con Skuja Braden e Melissa D. Braden o la Danimarca con Uffe Isolotto, sono, assieme al racconto di Füsun Onur per la Turchia e ai processi tecno-liquidi Yunchul Kim per la Corea, da non perdere.
![Gian Maria Tosatti. Storia della Notte e Destino delle Comete. Padiglione Italia, Biennale Arte, Venezia 2022. Courtesy DGCC – MiC](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2022/04/Gian-Maria-Tosatti.-Storia-della-Notte-e-Destino-delle-Comete.-Padiglione-Italia-Biennale-Arte-Venezia-2022.-Courtesy-DGCC-%E2%80%93-MiC-_4.jpg)
Gian Maria Tosatti. Storia della Notte e Destino delle Comete. Padiglione Italia, Biennale Arte, Venezia 2022. Courtesy DGCC – MiC
IL GRANDE ESCLUSO TOSATTI
Il più grande delitto che poi è stato commesso in questa Biennale 2022, non voglio girarci tanto intorno, è stato quello di non aver dato alcuna menzione al Padiglione Italia, a un progetto potente curato da Eugenio Viola e interamente articolato dalla mano sapiente di un artista che negli anni ha avuto modo di mostrare (anche con coraggio) le sue alte, equilibrate, sofisticate, agili doti intellettuali. Storia della Notte e Destino delle Comete è un padiglione incredibilmente poetico, un lavoro muscoloso con cui Gian Maria Tosatti mostra profonda coerenza, lucidità metodologica e freschezza morfologica.
Tosatti in questo lavoro è Tosatti fino in fondo: lo si sente operare nella piena maturità e sottigliezza del pensiero: lo si sente plasmare lo spazio come materia (come ingrediente) della mente: lo si sente indagare la realtà, manipolare il tempo, recuperare l’eleganza della mimesis, toccare con mano lo sguardo del pubblico per portarlo in un complesso dispositivo visivo dove è possibile avvertire l’odore del tempo, del passato e del più pulsante presente.
Nell’ambiente in cui sono allestite venti postazioni con macchine da cucire Singer, Durkopp, Yamato, Kansai o Rimoldi, troviamo una forte congiunzione, stratificazione, sovrapposizione temporale, dove l’atteggiamento contestuale e ambientale adottato dall’artista tocca dei punti di impareggiabile intensità visiva. Tosatti in (di) questa Biennale è l’unico artista a usare lo spazio come abito mentale, abitato non solo dalla forza del pensiero ma anche da una estensione riflessiva aperta all’aperto dell’altro.
Purtroppo, con questa edizione della Biennale si è verificato in Italia, mi pare, un vero crimine intellettuale: quello, appunto, di non aver sostenuto e di non aver difeso un proprio artista, un proprio collega. (C’è chi ha anche sperato che non vincesse: questo, bisogna dirlo, è davvero da sfigati). Ma perché soltanto da noi non si riesce a essere compatti e alleati? Perché soltanto da noi troviamo questa grossa prova di debolezza e questa grassa tristezza? Per me questa volta abbiamo perso tutti una grande occasione: e quando dico tutti, mi riferisco in particolare a tutta l’arte italiana che, con un meritatissimo premio a Gian Maria Tosatti, avrebbe potuto aprire un nuovo e brillante capitolo della sua storia.
‒ Antonello Tolve
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