Londra e gli artisti: la mostra a Roma
Londra è il fulcro e la fonte di ispirazione dei tredici artisti di diverse generazioni riuniti nella mostra allestita al Palazzo Cipolla di Roma
È dall’eterogeneo album Anni Ottanta dei Clash, che prende il titolo la mostra London Calling: British Contemporary Art Now. From David Hockney to Idris Khan, allestita a Palazzo Cipolla a Roma fino al 17 luglio 2022. Trenta opere, tredici artisti, reduci del fermento di Londra dai Sixties in poi. Una città a giustificare l’intero percorso espositivo che include differenti generazioni, canoni, media. L’approccio curatoriale di Javier Molins e Maya Binkin è minimalista, l’idea quella di una fiera d’arte.
LA MOSTRA LONDON CALLING A ROMA
I lavori ‒ tra i quali corre un fil rouge intermittente – si dividono in tre ordini: sculture e installazioni, pittura, dispositivi camp. Le sculture di Anish Kapoor indagano la deformazione dello spazio e l’alterazione della percezione visiva, rievocando l’Autoritratto entro uno specchio convesso del Parmigianino (1524). Tony Cragg, ex performer, avvia una ricerca su corpo e movimento con statue in legno e bronzo, laddove le sfere irregolari di Annie Morris alludono a esperienze luttuose. Si aggiunge il tema della salute: quella del pianeta in Yinka Shonibare, quella dell’uomo in Damien Hirst. Frattanto Idris Khan riflette sul primo anno di Covid.
In ambito pittorico la rielaborazione su iPad di David Hockney è seguita dalle opere di Sean Scully, Michael Craig-Martin e Julian Opie. Un trittico di stili dall’astratto al figurativo, il cui focus è sulla lucentezza del colore a contatto con il metallo, nel forse inconscio recupero di una tradizione rinascimentale, a partire da Sebastiano del Piombo.
GLI ARTISTI IN MOSTRA A PALAZZO CIPOLLA
Dulcis in fundo: la beffa. Sono infatti i fratelli Chapman, Mat Collishaw e Grayson Perry ad arrogarsi il merito di aver saturato il clima di London Calling con la loro Queer Parody. Il ghigno dei Chapman, smanioso, come da didascalia, di scalzare il buonsenso, lavora sulla violenza. Seria Ludo (2016) di Collishaw, invece, disinibisce l’eleganza di un lampadario vittoriano, le cui 186 figurine agganciate, nel moto rotatorio, animano la sala di una libido ripugnante. Perry, dal suo canto, corrompe l’eleganza di un vaso cinese con icone punk e porno, schernisce l’alta moda e lancia messaggi politici senza veli. È il trionfo di un camp, ormai normalizzato, che deve moltissimo proprio alla rivalutazione della cultura di massa degli Anni Sessanta, di cui gli Young British Artists sono figli. E si entra negli Anni Novanta…
‒ Francesca de Paolis
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati