L’identikit di Maria di Maddalena in mostra a Forlì
Quante sono le identità della Maddalena? Quali gli episodi che la videro coinvolta, secondo le narrazioni dei Vangeli? E come cambiarono le sue rappresentazioni con il passare dei secoli e sulla base delle preferenze degli artisti e della Chiesa? La mostra ai Musei San Domenico di Forlì, ricchissima di opere, mette a fuoco una donna e santa ancora avvolta nel mistero
Una donna dai lunghi capelli sciolti e vestita di rosso abbraccia la base della croce che regge Cristo morto. Non è la madre, ma Maria di Magdala, e a lei i Musei San Domenico di Forlì dedicano una mostra coraggiosa e delicata. L’intento è compiere un’indagine approfondita su questa figura femminile enigmatica e “travisata”, tanto da diventare, a seconda delle epoche e delle letture dei testi sacri, emblema di peccato, di pentimento, di fedeltà e di sofferenza, ancora di ossessione e amore, di carnalità e santità. “Eppure”, scrive Gianfranco Brunelli nel catalogo, “questa figura avvolta nel mistero è collegata a eventi fondamentali riguardanti il racconto sulla vita e sulla morte di Gesù di Nazareth: la sua morte in croce, la sua sepoltura, la scomparsa del corpo, la sua annunciata resurrezione”. Insomma, fu la “prima testimone di un fatto inaudito”, e pur non rivestendo un ruolo da protagonista e confondendosi talvolta con altre “Marie”, ha affascinato e conquistato i fedeli e gli artisti che fin dal Medioevo si sono confrontati con lei. “L’arte”, scrive ancora Brunelli, “ne ha fatto l’‘oscuro oggetto del desiderio’ della nostra storia”. E di opere d’arte, a Forlì, ce ne sono tante, compresi alcuni capolavori assoluti.
LA MADDALENA SECONDO GLI ARTISTI
Nel vasto ambiente che fu una chiesa, si svolge il primo episodio della narrazione sulla Maddalena: si tratta naturalmente della sua presenza durante la Crocefissione di Cristo e dei fatti che seguono la morte di Gesù. Le epoche delle opere si mescolano per fornire un racconto di quel dramma su cui poggiano le fondamenta del Cristianesimo: ecco allora che dal Crocefisso di Mello da Gubbio, dipinto attorno al 1340, lo sguardo può correre verso la scultura di Luca della Robbia e raggiungere un sorprendente – forse perché non abbastanza conosciuto – dipinto di Mosè Bianchi del 1879. Deposizione, compianto e sepoltura sono illustrati con lo stesso metodo e lei, Maddalena, c’è sempre: con abiti e acconciature raffinatissime oppure con un grido di dolore sul volto, non la si può mai confondere con altre donne che le stanno accanto. Benozzo Gozzoli, i grandi gruppi in terracotta che segnano la “via emiliana”, le tele di Federico Barocci e Luca Giordano sono solo un’anticipazione della mostra che, con un balzo indietro, torna alle radici dell’“estetica del dolore” da cui sono nati i modelli figurativi utilizzati per la traduzione in immagini della morte di Cristo e degli episodi correlati.
LA MOSTRA SULLA MADDALENA A FORLÌ
Capolavori come il cratere apulo con la morte di Meleagro oppure i rilievi con le menadi danzanti si accostano alle opere più familiari di Mantegna o dei copisti di Raffaello, stabilendo un filo rosso che attraversa il tempo. La ricchezza figurativa del Medioevo predilige la Maddalena nel gruppo delle Pie donne al sepolcro – i pezzi, che qui non elenchiamo, sono straordinari – oppure come protagonista della sua stessa vita: è l’epoca di Jacopo da Varagine, e le vite dei santi diventano degli autentici best seller. Alla Maddalena penitente coperta solo dai lunghi capelli si accosta, soprattutto con i seguaci di Giotto, una figura umanissima che man mano diventa autonoma e si trasforma in una nobildonna elegante, con il vaso degli unguenti (mirofora). Desiderio da Settignano, Antonio del Pollaiolo, Donatello, Masaccio, Carlo Crivelli, Giovanni Bellini, Perugino, Luca Signorelli, Cima da Conegliano: non sono i capitoli di un manuale di storia dell’arte, ma gli autori di autentici capolavori che, uno dopo l’altro, mostrano le tante “maddalene” del Quattrocento, in un percorso rigoroso e da brividi.
L’ingresso nelle sale del primo piano potrebbe far girare un po’ la testa: una “quadreria” affollatissima di dipinti mostra ancora altri volti della protagonista, e con il passare dei decenni si alza sempre più l’asticella dell’erotismo di una santa che si fa amante, ritratta in un’estasi che pare tanto carnale, fino a che la fisicità incontra il patinato neoclassicismo di Canova, il romanticismo di Hayez, le interpretazioni novecentesche. E nell’ubriacatura di volti, di corpi, di gesti di questa galleria di rappresentazioni, si staglia una santa non ancora del tutto compresa e che forse per questo ci attrae e ci affascina.
– Marta Santacatterina
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