Che cosa può fare l’arte per sfuggire al controllo?
Prevedibilità, likeability, controllo: oggi l’arte sembra essere imbrigliata da queste componenti. Solo l’imprevisto può farla uscire da una stasi tutt’altro che positiva
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Mentre in queste settimane facevo le prime presentazioni del libro L’arte rotta, spesso le discussioni pubbliche si sono concentrate sul tema della likeability. E io mi sono accorto, via via che gli scambi alimentavano la riflessione, di quanto in realtà la likeability sia connessa all’argomento della prevedibilità – e, di conseguenza, dell’imprevisto.
Ci siamo abituati a una progressiva irreggimentazione di ogni singolo aspetto della nostra vita quotidiana, dal tempo libero a – ovviamente – l’arte: la grande cifra di questo presente è dunque il Controllo, declinato come tutti ci accorgiamo non nelle forme ferree, fisicamente violente del Novecento, ma in forme più subdole, immateriali, e non per questo meno coercitive e costrittive.
È sufficiente andare al bar, al ristorante, in hotel, in spiaggia: chiunque cerca di imporvi le sue regole (che quasi mai corrispondono a quelle della logica), e appena voi cercate di discostarvi dalle istruzioni, di deviare, di proporre un’alternativa (magari per un servizio che, in ogni caso, state pagando voi) immediatamente si irrigidisce.
Questo aspetto riguarda anche, e forse soprattutto, la nostra percezione e gestione del tempo. L’epopea di Stranger Things, per dire, è l’esempio più vistoso di questo fenomeno, che è consistito sostanzialmente nel far compiere alla nostalgia – tratto caratteristico e distintivo della storia culturale postmoderna per oltre un trentennio – un deciso salto di qualità. L’opera, in questo senso, riesce a veicolare la nostalgia non solo ai suoi fruitori in qualche modo ‘naturali’ (coloro cioè che hanno vissuto, fatto esperienza diretta di quel periodo storico, coloro che erano giovani e/o bambini durante gli Anni Ottanta…) ma anche agli esseri umani che non erano vivi allora.
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Emanuela Barilozzi Caruso, Il mondo Fiore, 2022, Palermo
TEMPO, SPAZIO E NOSTALGIA
Questa particolare – e nuova – forma di nostalgia ‘sintetica’ genera un tempo che non è più passato e non è più neanche presente, una sorta di presente/passato che assomma al suo interno il comfort di qualcosa che si conosce già, di già definito nei suoi contorni e nei suoi parametri, con il vantaggio di qualcosa che non è morto, finito, di qualcosa che esiste.
È il processo su cui si sofferma Georgi Gospodinov in Cronorifugio, quando scrive per esempio: “Suppongo che durante il 1968 non ci fosse ancora il 1968. Allora nessuno si è messo a gridare: Ehi, questo che stiamo vivendo adesso è il grande 1968, che rimane nella storia. Tutto accade anni dopo essere accaduto… Ci vuole tempo e un racconto perché accada quanto è già accaduto… senza fretta, come si sviluppavano le fotografie di una volta, e l’immagine piano piano appare nell’oscurità…” (G. Gospodinov, Cronorifugio, Voland 2020, p. 230).
Ecco, ciò che a noi manca in questo momento è esattamente “tempo e un racconto”, due dimensioni che si intrecciano e si sovrappongono: tempo per sviluppare una storia che è ancora in svolgimento, racconto per dipanarla, per costruire i riferimenti necessari. Per costruire un immaginario.
Invece, “A quel tempo [nei primi Anni Novanta] c’era una riserva intatta di futuro e noi la distribuivamo audacemente. In modo del tutto ingenuo, come si è visto poi. Un decennio dopo, negli anni con lo zero, questa riserva non c’era più, solo il suo fondo brillava smaltato davanti a noi. Da allora, da qualche parte, tra la fine del decennio e l’inizio del successivo, è accaduto qualcosa col tempo, qualcosa si è incastrato, ingarbugliato, ha scoppiettato, si è bloccato e fermato” (ivi, p. 243).
CONTROLLO E ARTE CONTEMPORANEA
L’arte contemporanea ha a che fare dal punto di vista temporale, dal punto di vista storico, con questo blocco, con questo incastro – che a sua volta è strettamente legato alla dimensione del Controllo, del prevedere ogni aspetto e ogni sviluppo. Ciò vuol dire che la stragrande maggioranza delle opere si muovono oggi all’interno di questo circuito di prevedibilità, di una storia e di un tempo e di un racconto già scritto, già finito e definito. L’opera e le opere che vogliono avere una chance di disincagliare il blocco temporale dovrebbero invece muoversi consapevolmente fuori dal circuito, agire fuori dalla prevedibilità e dunque in un’altra sfera inattesa, imprevista.
‒ Christian Caliandro
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