26 artisti internazionali in mostra al Maxxi a L’Aquila
I curatori hanno selezionato 26 artisti internazionali di diverse generazioni, dei quali 9 hanno realizzato opere site specific commissionate dal museo
Gli ambienti del piano nobile del Palazzo Ardinghelli, sede del Maxxi L’Aquila, possiedono la rarefatta magia delle residenze nobiliari delle piccole città, caratterizzate da ambienti non troppo grandi, ma accoglienti, permeati da quella atmosfera di domesticità familiare, densa di memorie e qualità del “buon vivere” italiano. Pavimenti piastrellati con motivi discreti ed eleganti, grandi camini in stucco color crema, cortile e scalone maestosi ma non magniloquenti. Elementi che rendono la visita alla mostra Afterimage, curata da Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini, un’esperienza dominata da un senso di equilibrata e puntuale qualità, non così comune in questi tempi confusi e dominati dall’incertezza.
AFTERIMAGE: IL PROGETTO SECONDO I CURATORI
I curatori hanno selezionato 26 artisti internazionali di diverse generazioni, dei quali 9 hanno realizzato opere site specific commissionate dal museo, riunite da un tema molto ampio legato ad una riflessione sui temi della memoria-imprescindibile per un luogo di questo genere- e della metamorfosi, che si concretizza nel termine afterimage, un fenomeno per cui uno stimolo visivo (come il flash di una macchina fotografica) produce un’impressione sulla retina che rimane anche dopo il suo passaggio. In realtà molti lavori possiedono la natura ambigua delle evocazioni, disseminate in un racconto visivo che si snoda tra le 15 sale del palazzo e lega insieme opere di indubbia qualità e forza, soprattutto simbolica e poetica. A cominciare dal Masso con gli ultimi 5 giorni di Francesco Arena di fronte all’ingresso del museo: un pietrone colossale dove l’artista ha inserito in un carotaggio circolare 5 quotidiani arrotolati, che vengono sostituiti uno ad uno dal custode del museo. Se Arena confina la cronaca incandescente e drammatica di questi mesi in una tomba di pietra, l’opera di Elisa Sighicelli Senza titolo (5016) è una fotografia stampata su raso di una grande finestra del palazzo Madama di Torino, che ci riporta ai fasti del passato. Nella prima sala, tutta giocata sui toni del grigio, lo spazio centrale davanti al camino è occupato dall’opera di Olivier Laric Sleeping Figure, che ci invita a riflettere sui rapporti tra originale, copia e calco in 3D, mentre alle pareti sfilano gli scatti fotografici di Mario Cresci, gli ironici dipinti di Tala Malani e il dittico di Mario Schifano Inventario. Più ordinata e puntuale appare la seconda sala, dominata dalla serie fotografica di Danh Vo Untitled, che riprende alcuni fiori selvatici del giardino dell’artista, incorniciati da una struttura in legno collocata davanti al camino monumentale, in grado di dare vita ad un dialogo perfetto tra l’opera e lo spazio. Audace e stimolante il dialogo tra gli scatti di Dahn Vo e la serie Cameron Obscura (1981) di Paolo Gioli, che indaga la natura della fotografia analogica in maniera originale e pionieristica.
AFTERIMAGE: LE OPERE DEGLI ARTISTI
Realtà, finzione e teatro dominano l’opera di Thomas Demand, che ha trasformato la sala della Voliera in un palcoscenico dove compaiono le immagini dei cartamodelli dello stilista Azzedine Alaïa, incorniciate da un fondale verde scuro, simile ad un sipario, in una soluzione di grande suggestione. Degne di nota le commissioni di opere come la scultura di Domique White Land, Nation-State, Empire, che proietta le inquietudini geopolitiche di questi mesi in una dimensione distopica e inquietante. Notevole anche l’installazione Fiume buio di Luca Monterastelli, in grado di coniugare suggestioni di matrice poverista con una sottile componente poetica, in bilico tra archeologia e modernità. Tra le sale monografiche spicca lo spazio dedicato al lavoro di Francis Alÿs, incentrata sul dialogo tra il video Sleepers II e le due tavolette dipinte Untitled (Redemption), abbinate ai loro studi preparatori, così come la sala personale di Frida Orupabo, forse un filo troppo affollata, mentre molto riuscite nella loro semplicità appaiono le sale dedicate a due artisti italiani delle ultime generazioni. Stefano Arienti presenta due arazzi della serie Retina, che rappresentano altrettanti scorci del Gran Sasso, mentre Massimo Grimaldi propone tre elaborazioni digitali di ritratti deformati della serie Scarecrows, che presentano più di una affinità con i tre dipinti di Pietro Roccasalva Il Traviatore, From Just Married Machine e The Skeleton Key. Meno convincente l’installazione di Benni Bosetto Saturniidae collocata nel ballatoio, che avrebbe avuto bisogno di uno spazio più ampio, mentre colpisce il rigore minimale della scultura Bronzato di Ester Klas, in dialogo con due opere su carta Crescendo e BA///. Il finale è affidato a due grandi figure dell’arte italiana: il dittico Senza Titolodi Marisa Merz e il video Terra Animata di Luca Patella. Degna conclusione di una mostra capace di mettere in giusto risalto i nostri artisti in un contesto corretto e qualificante: un compito senz’altro imprescindibile per un museo come il Maxxi che appare ancor più necessario dopo la pandemia.
– Ludovico Pratesi
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