I burattini e le scenografie di Maria Signorelli a Macerata
Le scenografie di “Una favola per Klee”, lo spettacolo di Maria Signorelli datato 1983, rivivono nella mostra allestita presso il Palazzo della Banca d’Italia a Macerata
Andata in scena per la prima volta a Roma nel 1983 (con le musiche di Bruni Nicolai, le scene di Paolo Perpignani e la regia di Giuseppe Di Martino), Una favola per Klee è l’opera dei burattini che Maria Signorelli (Roma, 1908-1992) costruisce dal nulla per dar vita a pregiate forme fantastiche, a giochi linguistici, a rimandi visivi dove i segni si trasformano in sogni e i sogni in sorrisi leggeri.
LE OPERE DI MARIA SIGNORELLI A MACERATA
Liberamente tratta da uno degli otto racconti (L’isola dei quadrati magici, 1973) che Pinin Carpi scrive per avvicinare i bambini all’arte, la scenografia e i burattini della favola per Klee allestita negli spazi del Palazzo della Banca d’Italia è una vera e propria messa in scena dell’immaginazione, un racconto dove le figure dell’infanzia si intrecciano alla forza di una scrittura compositiva aperta ai venti dell’avanguardia, a un appassionato gusto espressionista.
Donata grazie a Enrico Pulsoni all’Accademia di Belle Arti di Macerata dalle figlie Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli – loro padre, tra l’altro, è l’indimenticabile pedagogista Luigi Volpicelli di cui non possiamo non ricordare almeno Scuola sotto zero (1959), La vita del gioco (1961), La TV e i giovani (1968), Pedagogia d’urto (1969), Scuola dissestata (1973), Pedagogia sottovoce (1976), Identikit di Pinocchio (1978) e Studi su Pinocchio (1982) –, l’intera opera su Klee di Maria Signorelli è, oggi, proprio grazie a Enrico Pulsoni che ha curato l’evento insieme a Lucia Rosa (dell’associazione Amici dello Sferisterio) e ai suoi ragazzi di Scenografia (“i miei figli aggiunti”, Federica Angelini, Chiara Cingolani, Luca Luchetti, Teresa Marinucci e Francesca Zù), dopo un lungo silenzio nei depositi, finalmente al centro dell’attenzione. Con la speranza che possa trovare presto una propria sede stabile e dunque di non tornare (sarebbe un delitto) al grasso buio degli scantinati.
I BURATTINI DI MARIA SIGNORELLI
Maschere, ritratti, sculture morbide e strutture geometriche, giocattoli, ombrelli capovolti e appesi al soffitto come lampadari da cui pendono delicati pesciolini, objet trouvé (una scatoletta da 50 grammi di tabacco virginia della King Charles, ad esempio), paesaggi della mente, animali, arazzi, vestiti stravaganti, ghirigori o spericolate caricature sfilano in questo ampio racconto abitato da voci che si trovano fuori da ogni luogo, per farci rivivere la potenza del pensiero di una donna speciale, amata dai futuristi e da Fellini, ammirata da Djagilev e da Ėjzenštejn, definita da Eleonora Duse “la mia Don Chisciotte” e paragonata da Giorgio de Chirico, “per l’amore delle forme eternamente cangianti”, a Baudelaire.
“Non ho realizzato nessuna opera utilizzando burattini, scene e materiali preesistenti”, diceva. “O si riesce a creare dal nulla un nuovo spettacolo, in una estrema compiutezza e aderenza interiore, o non si riesce, e allora è bene rimandare la realizzazione a tempi di migliore ispirazione”, a quando la leggerezza del pensiero raggiunge maggiore maturità.
‒ Antonello Tolve
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