Il ruolo dell’artista fra perdita di controllo e banalità
Chi ha detto che l’artista deve essere migliore degli altri? Christian Caliandro torna a parlare del ruolo dell’opera e degli artisti affrontando la spinosa questione della perdita di controllo e della banalità quotidiana
“La primavera dell’impazienza”, workshop di Serena Fineschi, Cantieri Montelupo, Montelupo Fiorentino 16-17 luglio 2022. Più che opere, sono tentativi di esorcizzare le ossessioni del quotidiano. Ossessioni che riguardano spesso le relazioni tra le persone, le gestualità, il corpo che dona e che riceve; oppure, la grande storia della pittura; o la comprensione – e la mancata comprensione – dei meccanismi che regolano la società contemporanea.
Il chewingum è uno dei paradigmi della nostra società: lo scartiamo, lo mettiamo in bocca, lo mastichiamo, lo assaporiamo fino a quando ne abbiamo voglia, e poi lo sputiamo. Questo, se ci pensiamo, è l’atteggiamento comune, generale, che attraversa ogni dimensione: rimaniamo in superficie, non riusciamo a entrare nello specifico, ad assimilare i concetti. Ad andare in profondità.
Tempo improduttivo, ingannare l’attesa: si tratta di imparare a essere in equilibrio con il proprio corpo, e con un gesto che si reitera. È anche un percorso, in qualche modo, mentale: questo gesto reiterato diventa un mantra.
Non posso fare altro che non fare nulla: si parla sempre di attesa. Abbiamo l’attitudine e l’abitudine di non considerare il tempo tra una cosa e l’altra, il cosiddetto tempo morto: lo scartiamo, lo buttiamo via. Probabilmente, invece, la vita sta proprio in quel tempo morto, in quel tempo tra una cosa e l’altra. In quel tempo che non consideriamo.
(Il tempo tra una cosa e l’altra assomiglia allo spazio tra un gesto e l’altro, tra una forma e l’altra, tra un essere umano e l’altro di cui parlava Elena Bellantoni: lo spazio della relazione…).
L’ARTE DI PERDERE IL CONTROLLO
Il nostro carattere è fatto di imperfezioni, di inciampi. Proveremo quindi a lavorare raccontandoci innanzitutto quando abbiamo perso la pazienza, e come: quando non abbiamo, fortunatamente, mantenuto il controllo.
Siamo troppo abituati a considerare l’artista come migliore, superiore (rispetto a chi?) – ma ciò non significa che debba necessariamente mettersi in una posizione di superiorità, assumere e adottare questa posizione, questa postura.
L’artista pesca nella quotidianità, nella banalità dell’esistenza: tutto sta nel trovare e ritrovare lo straordinario nel banale.
L’opera, se è tale, non può contenere solo la visione dell’autore – deve contenere più visioni possibili, comprese quelle degli spettatori. (E, oltre a queste, la propria – che è autonoma, indipendente, misteriosa rispetto alle altre.)
Per concentrarci sulla sostanza, invece che sull’apparenza, è fondamentale imparare a perdere il controllo nel quotidiano: ciò non significa perdere la tesa, ma imparare a vedere con altri occhi.
Siamo costantemente sottoposti al nostro controllo e al controllo degli altri: occorre lavorare sulla nostra autenticità – togliere ed eliminare, cioè, almeno una parte dei meccanismi che ci fanno contenere, soprattutto nelle relazioni con gli altri.
“Strano, la perdita del sé è una malattia più grave che non la perdita del suo impostore, l’Io. L’Io è la caricatura che la gente scambia per il sé, l’Io è la frode, l’attore, il travestito del sé. Sé perduti, sé confusi, sé ciechi. Quando nasce il vero sé, l’Io svanisce” (Anaïs Nin, Diario II. 1934-1939, Bompiani 2001, p. 30).
‒ Christian Caliandro
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