Serena Fineschi e l’arte della profondità
Anche l'elemento più umile della produzione può diventare protagonista dell'opera d'arte. Ad esempio il “piedino” di un laboratorio di ceramica...
Residenza di Serena Fineschi, Cantieri Montelupo, Montelupo Fiorentino 19-22 luglio 2022. La caratteristica di questi due cantieri – quello di Elena Bellantoni e quello di Serena Fineschi – è la profondità. Questa “profondità” non coincide solo con la capacità di “scavare” nel contesto e nella relazione con esso (un contesto che, ancora una volta, è sia storico che naturale, sociale, culturale e umano), ma anche con quella di “deviare”, di deflettere e distanziarsi rispetto all’idea originaria (riducendo e limitando l’importanza del progetto iniziale: quindi del controllo) e di concentrarsi su elementi apparentemente marginali, secondari, e che emergono via via in maniera sempre più potente proprio dal famoso contesto.
Dunque, questo aggancio non è qualcosa di “retorico”, al massimo decorativo… no, è qualcosa di vitale, di esistenziale. Qualcosa che si impone grazie alla sua energia. Un’energia che può essere innanzitutto visiva, come è stato nel caso della Pesa, del letto seccato del fiume, per Elena (MI SONO SECCATA); oppure può essere una “presenza”, discreta ma a suo modo magnetica e persino simpatica, come è avvenuto con i “piedini” per Serena e per il ceramista Patrizio Bartoloni.
(Non è un caso che entrambe le deviazioni, o quantomeno gli inizi di entrambe le deviazioni, si siano manifestati di martedì: dopo il weekend dedicato al workshop, infatti, e dopo il primo assestamento, l’abitudine al ritmo, alla fatica, al caldo, la prima immersione negli spazi fisici e anche spirituali delle botteghe, il martedì è naturalmente il giorno in cui questa vera e propria ‘illuminazione’ c’è o non c’è, accade o non accade.)
IL PIEDINO NELLA CERAMICA
Che cos’è il “piedino”, o “birillo”, o “distanziatore”?
È l’elemento in assoluto più umile nel laboratorio di ceramica: è quello che fa tutto il lavoro sporco, per così dire (sostiene e distanzia gli altri oggetti all’interno del forno durante la cottura); è quello che non si vede mai, che tende a confondersi e a mimetizzarsi nell’ambiente, ma che c’è sempre. È realizzato dal torniante (ce ne sono anche di industriali, in materiale refrattario, ma quelli qui non ci interessano…) ed è di terracotta come gli oggetti più nobili appena escono dal forno. Solo che questi oggetti nel forno entreranno una seconda volta per la smaltatura, al massimo una terza per il “lustro” – e poi andranno via, inizieranno la loro vera esistenza nei negozi e nelle case del resto d’Italia, d’Europa, del mondo. Il piedino, invece, nel forno ci vive: viene cotto e ricotto trenta, cinquanta, cento… mille, persino duemila volte!
Il piedino è dunque una sorta di astronauta, o di monaco, un esploratore di questo spazio interno che è il forno, e la bottega ceramica. In un certo senso, e da un certo punto di vista, si potrebbe dire che il piedino sia la ceramica. A ben guardare, questo elemento così povero, senza apparente dignità, anche bistrattato e maltrattato – a volte cade, a volte invece viene scagliato per terra dallo stesso artigiano, in preda alla rabbia o alla stizza per un lavoro venuto male, e in entrambi i casi si scheggia e si sbrecca… –, della ceramica ha un’esperienza e una conoscenza vastissime. Immense. Pur non muovendosi mai dal laboratorio, e proprio perché non si muove mai dal laboratorio (: infatti, i piedini si trovano quasi sempre sopra, sotto o nelle immediate vicinanze del forno).
Anche il piedino, dunque, va in profondità: e quando i piedini questo martedì sono stati riconosciuti da Serena e Patrizio come “opere”, posso dire che davanti ai nostri occhi e ai nostri cervelli si è aperto un intero mondo.
– Christian Caliandro
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