Ecco perché dobbiamo ricominciare a vergognarci
Che cosa c’entra la vergogna con la cultura? Molto, se può essere una spinta a recuperare valori che sembrano dimenticati. A partire dal rispetto reciproco
La cultura ci salverà con la vergogna. Se la cultura è identità, lì dentro ci possiamo trovare un sacco di cose. A me sembra che la vergogna sia andata persa. Non ci si vergogna più di nulla in questa società contemporanea. Non ci si vergogna di sporcare, molestare, infastidire, rompere, rubare… niente. Non esiste il senso di comunità, ovvero quel cerchio dentro il quale ci siamo tutti. Ci sono le regole di convivenza, e, ancor prima delle sanzioni formali, ci starebbe il senso civico, il rispetto per ciò che è di tutti, mio ma anche degli altri. Mentre oggi tutti è nessuno. Siamo ognuno nessuno. Siamo tanti visibili quanto anonimi sui social. La comunicazione tra essere umani ormai pare essere solo là. Pieni di amici, quanto di solitudine. Pieni di insicurezze, quanto di tracotanza. Più siamo spavaldi e più siamo vuoti. Più esageriamo, meno abbiamo. È venuto meno il senso della vergogna. L’imbarazzo per ciò che nelle regole comuni non si può fare, non va bene farlo, non vorremmo sia fatto a noi. Oggi noi vogliamo tutto, subito e ci spetta, e non siamo disponibili a dare un bel niente.
La strada, il luogo pubblico per eccellenza, dove più di altrove le persone si incrociano nei loro flussi di vita quotidiana, è dove si registra il maggior tasso di assenza di vergogna. Quando qualcuno, per lo più anziano, segnala comportamenti non consoni, la reazione del redarguito è sempre la stessa: rabbia nel sentirsi leso nel suo diritto di agire. Che in fondo niente altro è che un bisogno di esistere. La vergogna invece è quel sentimento sano di imbarazzo davanti a qualcosa che non andrebbe fatto e che qualcuno ci fa notare. Quando è ben diffusa, la vergogna ha anche funzione preventiva. Mette nelle condizioni di prevenire nel fare qualcosa che non andrebbe fatto, anticipando la recriminazione pubblica.
“Alla giungla si aggiunge e la fa esplodere questo superficiale sentirsi di essere in un mondo di soli diritti, ad accessibilità continua e incondizionata”.
Ma vergogna pare non ce ne sia più. In primis perché viviamo in una giungla. Questo è il sentito comune. È difficile sopravvivere, figuriamoci fare attenzione a ciò che potrebbe dare fastidio agli altri, a regole comuni che qualcuno chissà come ha stabilito. Dimenticandosi che quel qualcuno è semplicemente “quello che non vorremmo fosse fatto a noi”. Ci piace che si parcheggi male e si impedisca la mobilità veicolare? Ci piace che si sporchi dove noi stiamo? Ci piace che si rubi qualcosa che è anche nostra (una panchina nel parco) o che la si renda inutilizzabile? La lista potrebbe essere veramente infinita, tanto quanto sia quotidiano assistere all’assenza di vergogna, ovvero al rispetto di regole condivise di vita comune con conseguente senso di imbarazzo davanti alla loro trasgressione.
Alla giungla si aggiunge e la fa esplodere questo superficiale sentirsi di essere in un mondo di soli diritti, ad accessibilità continua e incondizionata. Sono venute meno le condizioni a qualsiasi partecipazione. Il digitale e la comunicazione ubiqua e pervasiva ci dà l’illusione che tutto sia nostro, tutto possiamo dire, a chiunque vogliamo, in qualsiasi momento, in qualsiasi modo.
Dove abbiamo allora l’occasione di ri-trovarci? Nella cultura. Nel contenitore di noi, della nostra storia, di ciò che c’è stato prima di noi e di come e perché oggi siamo qui. Nelle radici ci sono le regole di convivenza, che non sono state dettate da un giudice, ma dalla storia umana che ci ha insegnato a vivere insieme, in tanti, tutti.
‒ Fabio Severino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #67
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