Morto il critico d’arte Marco Vallora. Era in treno per raggiungere una mostra
La vita, l’attività editoriale, l’onestà intellettuale in ogni scelta a supporto dell’arte e, non da ultimo, il rapporto ossessivo con una quantità esorbitante di libri. Alberto Fiz ripercorre la vita personale e professionale del critico d’arte torinese morto a 69 anni
Il destino ha voluto che a trovare Marco Vallora in fin di vita sia stata la polizia ferroviaria di Vercelli. Lui viaggiava verso la Fondazione Ragghianti di Lucca, dov’era in programma la visita alla mostra di Leonardo Dudreville, una di quelle figure tormentate, trascurate dalla storia, che lui tanto amava. Si è sentito male al telefono mentre, come sempre, parlava di arte e non si è più ripreso. È morto all’età di 69 anni in treno, il luogo dove probabilmente ha trascorso gran parte del suo tempo, tanto che per molti anni viaggiava da Milano a Urbino dove insegnava storia dell’arte all’Università. Sempre in movimento anche quando il suo fisico avrebbe avuto bisogno di maggior tranquillità, soprattutto dopo l’ictus che l’aveva colpito quattro anni fa e da cui si era sorprendentemente ripreso. Marco tuttavia non si poteva fermare, così vorace, folle, spregiudicato nel desiderio infinito di conoscenza. Le sue erano vere e proprie cavalcate solitarie dove andava oltre la cronaca, la notizia spicciola, il chiacchiericcio quotidiano, per inoltrarsi in territori sconosciuti ai più.
L’ATTIVITÀ GIORNALISTICA DI MARCO VALLORA
Ogni suo saggio o i tantissimi articoli scritti per La Stampa dov’è stato una delle firme di punta, Panorama, L’Europeo, gli inserti culturali del Sole 24 Ore e Arte erano l’occasione per tracciare nuove prospettive evitando la vulgata comune o le celebrazioni di maniera. Tagliente, ironico, anticonformista, “Vallora”, ricorda Michele Bonuomo, direttore del mensile Arte, “sembrava scusarsi della sua immensa sapienza che gli consentiva di accompagnare il lettore verso strade che solo lui conosceva. L’ho contattato una prima volta per scrivere sulla fotografia di Curzio Malaparte e lui è riuscito a realizzare un testo sorprendente interpretando la ricerca dell’eterodosso intellettuale in una chiave attualissima”. La sua ultima grande mostra l’ha dedicata nel 2018 a dadaismo e surrealismo, due movimenti che conosceva alla perfezione non solo sotto l’aspetto pittorico, ma anche poetico e letterario. Ha curato per la Fondazione Ferrero di Alba Dal Nulla al Sognoproponendo una documentazione inedita dove accanto ai capolavori provenienti dal Museo Boijmans Van Beuningen erano esposti libri, poesie, riviste, spezzoni di film, manifesti, frammenti di musica. C’era tutto Marco nel suo incredibile eclettismo erudito che l’ha condotto a indagare filosofia, poesia, cinema e soprattutto musica (il papà era un violinista) di cui era uno straordinario cultore, come testimonia l’amicizia con Riccardo Muti.
IL PENSIERO DI MARCO VALLORA NELL’ARTE
Marco era schivo da sembrare talvolta altezzoso, gentile con un’educazione tipicamente torinese. Ma quando scriveva era vorace e ribelle in grado di passare d’un balzo da Barthes a Pasolini, da Picasso a Eisenstein, da Testori a Truffaut di cui ha curato per Einaudi l’Epistolario. In arte odiava i salotti dei benpensanti e spesso si schierava dalla parte dei perdenti anche a costo di prendere qualche sonora cantonata. Privilegiava la figurazione ma in tempi non sospetti è stato uno dei più ferventi sostenitori di Giulio Paolini. Quando scriveva appariva un fiume in pieno e se per i giornali era rigoroso e metodico, ben diverso l’atteggiamento quando affrontava i saggi critici dove dimenticava ogni regola e si buttava a capofitto in imprese che potevano non avere mai fine. Con lui gli editori sono letteralmente impazziti e ogni pubblicazione poteva diventare un percorso di guerra. Amico di Alessandro Sarteanesi, fondatore e direttore della casa editrice Magonza con cui ha realizzato molti cataloghi, qualche anno fa bloccò a lungo la pubblicazione di una monografia su Hans Hartung in quanto scrisse una storia critica dell’artista di centocinquanta cartelle rispetto alle dieci commissionate. “Un intellettuale straordinario che non si poneva alcuna limitazione né di tempo né di spazio. Quando scriveva entrava in un’altra dimensione senza che fosse possibile frenarlo, tanto che alcuni suoi testi sono rimasti inediti visto che non potevano trovare posto in cataloghi chiusi mesi prima della consegna”. Un caso esemplare è il suo saggio su Antonio Sanfilippo che avrebbe dovuto far parte di un volume pubblicato dalla Galleria dello Scudo ma è rimasto ancora oggi nel cassetto (per lo spazio veronese ha collaborato in diverse occasioni realizzando, tra l’altro, una grande mostra di Toti Scialoja). Marco poteva arrivare fuori tempo massimo ma di questo non si preoccupava, ben consapevole che la vera gioia gli veniva trasmessa dalle tanti notti passate in compagnia della scrittura. Di giorno aveva altro da fare troppo impegnato nel viaggiare e nell’osservare un mondo caotico di cui tentava invano di tirare le fila.
LA VITA DI MARCO VALLORA
“Assomigliava a un personaggio di un romanzo mitteleuropeo, un ebreo errante, sebbene lui non fosse di religione ebraica”, afferma lo scrittore Enrico Pandiani che insieme a Mariolina Monge ha vissuto nella casa di Marco supportandolo nei momenti difficili, in seguito all’ictus e al grave incidente che lo ha gravemente ferito intorno al 2016. Quella volta venne investito da un taxi quando trasportava un trolley per lui troppo pesante, stracolmo di libri. Era una delle tante occasioni in cui Marco si portava dietro il peso eccessivo della cultura e i libri (ma non vanno dimenticati nemmeno i cd) erano la sua vera ossessione: “Un accumulatore seriale”, spiega il musicista Luca Brancaleon, suo cugino e punto di riferimento essenziale. “A Milano ci sono due case e un grande magazzino riempiti di libri sino a esplodere, tanto che i condomini hanno addirittura chiesto un’ispezione per verificare i pesi sui pavimenti a rischio crollo. Ci sono volumi di tutte le epoche che formano pile di quasi due metri tanto che per Marco non c’era più posto nemmeno per dormire”. Lui aveva chiesto asilo in un’ex galleria ai piedi della collina torinese dove scriveva e dormiva. Ma anche quello spazio stava diventando troppo pieno. Marco mangiava pochissimo (gli bastava un trancio di pizza e una bottiglietta d’acqua che teneva sempre nella tasca dei pantaloni), attratto solamente dai libri che secondo il suo desiderio potrebbero dare vita a una biblioteca. Prima di essere operato, in seguito all’incidente, chiese a Sarteanesi notizie del suo trolley andato disperso e all’uscita dalla fiera di Maastricht un gruppo di amici tra cui Bonuomo, gli fecero uno scherzo facendolo salire sul taxi senza una delle sue mitiche valigie di libri. Giunto a destinazione, Marco non si scompose minimamente e una volta saputo dello scherzo, con aplomb torinese, si mise in contatto con l’organizzazione per farsi recapitare a casa i volumi dispersi. Una vita perfetta per la sceneggiatura di un film che contiene l’anima libera, solitaria e indomabile di un grande scrittore sommerso dai suoi libri e dalla sua sterminata cultura.
Alberto Fiz
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