Paul Thek. Mostra a Roma per l’artista americano dopo 27 anni

La Fondazione Nicola Del Roscio presenta una mostra sull’artista americano Paul Thek che ripercorre i suoi rapporti con l’Italia attraverso un percorso non cronologico

È dalla sensibilità anarchica del taccuino di Henry James che prende il titolo la mostra Paul Thek. Italian Hours, a cura di Peter Benson Miller, visitabile fino al 28 gennaio 2023 presso la Fondazione Nicola Del Roscio.
Dopo il 1995 in Italia non si sono più fatte mostre su Paul Thek (1933-1988). Sfaccettato, tormentato, che pure trasse molta linfa nel suo lavoro dal nostro paese. Il curatore ha voluto ricostruirne il profilo secondo un iter frammentario, alla James, con salti e ritorni; contrastando la logica del Gran Tour. “Questa mostra”, spiega Miller, “vuole portare nuova luce sui rapporti tra Paul Thek e l’Italia, attraverso una selezione di opere legate ai suoi soggiorni in Italia tra 1962 e 1976”. 

 
CHI ERA PAUL THEK

Thek fu a Roma. Residente alla Torre d’Acqua di Palermo da cui, nell’estate del ’63 in compagnia del noto fotografo Hujar, suo amante, si mosse per visitare le Catacombe dei Cappuccini. Una visita che lasciò segni profondi nella sua sensibilità. Lungo il percorso espositivo si va dai residui di The Tomb, sorta di ziggurat con il calco in cera dell’artista, oggi perduto, ai suoi caratteristici Meat Pieces, di vocazione barocca. Dalla serie di piccole sculture fiabesche realizzate alle fonderie romane, fino ai disegni an plain air dell’ultimo periodo italiano, a Ponza. Passando per i television analization paintings. Era il periodo in cui Fontana enunciava il suo Manifesto del movimento spaziale per la televisione e Fabio Mauri indagava le potenzialità degli schermi televisivi.
Come chiarisce il curatore “il contesto romano, e, in particolare, il gruppo di artisti legati a Topazia Alliata, ci aiutano a capire gli aspetti della carriera di Thek che sfuggono dalle traiettorie dell’arte americana del dopoguerra”. La mecenate siciliana introdusse Thek al proprio milieu; non è un caso se i pezzi sanguigni dell’artista scaturiscono a fianco dei Corpi d’Aria di Manzoni, che ragionava allora sulle funzioni del corpo. Con il suo iperrealismo Thek mirava a canzonare il minimalismo americano, rimettendo al centro la manualità dell’artista, anche in modo sfacciato: chiese ad Andy Wharol una Brillo Box, per porvi un suo “pezzo di carne”. Ma il suo ansioso focus sull’organico non è mai stato indifferente alla vena spirituale che i reliquari palermitani gli suggerirono.

Peter Hujar, Thek working on The Tomb Figure, 1967_2010, Courtesy Pace Gallery New York

Peter Hujar, Thek working on The Tomb Figure, 1967_2010, Courtesy Pace Gallery New York

PAUL THEK E ROMA

In un’intervista del ’66 Thek afferma: “Mi ha deliziato l’idea che i corpi possano essere usati per decorare una stanza, come i fiori. Possiamo accettarlo intellettualmente, ma farlo emotivamente può essere una gioia”. Parole inusitate che trovano perfetto contrappunto in quelle della sua intima amica Susan Sontag: “l’essenza del camp consiste nell’amore per ciò che è innaturale”, (Notes on “Camp”, 1964). La chiave di tutto forse è proprio qui: l’Italia è pronta per accogliere emotivamente il trionfo di questa categoria estetica?

Francesca de Paolis

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

Scopri di più