Gli attivisti ecologici nei musei stanno criticando il sistema artistico

L’opinione pubblica e i direttori dei musei si stanno scagliando contro le azioni dei giovani attivisti nei musei. Ma siamo sicuri che le loro intenzioni non abbiano radici più profonde di una “semplice aggressione” alle opere d’arte?

Mentre si moltiplicano le “aggressioni” (che aggressioni non sono) dei giovani attivisti ecologici alle opere d’arte di alcuni tra i più grandi artisti occidentali (finora van Gogh, Monet, Vermeer, Leonardo, Warhol), fioccano le polemiche e si infittiscono le critiche da parte di politici, giornalisti e operatori. Persino i direttori dei musei si scagliano contro queste iniziative, con un comunicato congiunto che recita: “Nelle ultime settimane ci sono stati diversi attacchi alle opere d’arte nei musei internazionali. Gli attivisti responsabili sottovalutano la fragilità di queste opere insostituibili del patrimonio culturale mondiale, che devono essere preservate. In quanto direttori e direttori di musei responsabili delle opere, la pericolosità di questa situazione ci ha scosso profondamente”.
Ora, ci sono parecchi aspetti singolari in tutta questa faccenda.
Intanto, pochissimi nel mondo dell’arte e, in generale, della cultura e dell’informazione si sono presi la briga di scoprire che cosa veramente vogliano questi attivisti; inoltre, non viene mai messo in discussione il paradigma conservazione/preservazione delle opere VS. quello – altrettanto resistente, almeno al momento ‒ dissipazione/distruzione dell’ambiente (che è poi, se vogliamo, il nucleo del messaggio dei suddetti attivisti).
C’è quindi a mio parere una sottovalutazione generale, e piuttosto evidente, di quale sia realmente la critica portata anche al sistema museale e artistico, ai suoi valori e ai suoi paradigmi, e in particolare al tipo di relazione istituita con l’opera nello spazio del museo. Nella penultima puntata della serie Dove scorre il fiume, sottolineavo infatti come questi ragazzi di fatto stanno mettendo in discussione, in modo magari ingenuo e rudimentale ma indiscutibilmente efficace, la relazione vigente tra cultura e politica, quella per esempio che all’arte e alla cultura riserva un ruolo tutto sommato decorativo, al netto delle dichiarazioni d’intenti e di circostanza. Gli attivisti stanno di fatto, è bene tenerlo a mente, criticando proprio il modello attuale di conservazione e di patrimonializzazione.
Stanno cioè mettendo in discussione le basi stesse del rapporto attuale con le opere (quelle che valgono tanti “milioni”…), rin-chiuse nei musei.

Maria Palmieri, No Cap - Ghetto di Andria (2022)

Maria Palmieri, No Cap – Ghetto di Andria (2022)

GLI INTENTI DEI GIOVANI ATTIVISTI

Siamo in fondo sempre all’interno di quel processo descritto da Lisa Parola a proposito del rapporto recente con i monumenti, perché si basa su un analogo rifiuto categorico dei riferimenti dati e delle coordinate stabilite una volta per tutte: “Quanto più alto è il basamento, tanto più è complesso ciò che circonda il monumento, nel passato, nel presente e spesso anche nel futuro. Per questo motivo, nel passaggio tra XX e XXI secolo e ancora oggi, molti artisti stanno lavorando sul monumento, perché quel ‘lassù’ è quello che si sta rimettendo in discussione in questo tempo segnato da voci contrastanti e geografie spaesanti. Uno stato in divenire che prevede una nuova posizione rispetto ai fatti e ai nomi, ma anche una diversa relazione tra quell’‘io’ e ‘noi’” (in Giù i monumenti? Una questione aperta, Einaudi 2022, p. 70).
I giovani attivisti stanno – sfidando i benpensanti e i luoghi comuni ‒ immaginando una dimensione possibile dell’esistenza comune, che si intravede ma che allontana indefinitamente la propria realizzazione concreta. Una modalità differente del pensiero e dello stare al mondo ‒ regolata da un altro sistema di valori ‒, molto diversa quindi da quella generalmente accettata oggi, e dedita per esempio all’autorappresentazione ossessiva, oppure ancora alla pervicace eliminazione della negatività e del dolore dall’esperienza quotidiana a favore dell’individualismo e della gratificazione immediata.
Come scrive Giorgio Agamben nel suo ultimo libro, infatti, “la possibilità non è qualcosa che deve, passando all’atto, realizzarsi: essa è, al contrario, l’assolutamente irrealizzabile, la cui in sé compiuta realtà agisce sull’accadere storico che si è pietrificato nei fatti come un termine (Ende), cioè spezzandolo e annichilendolo (…) La radicale eterogeneità del messianico non permette né piani né calcoli per il suo inveramento in un nuovo ordine storico, ma può apparire in questo solo come un’istanza reale assolutamente destituente. E si definisce destituente una potenza che non si lascia mai realizzare in un potere costituito” (ne L’irrealizzabile. Per una politica dell’ontologia, Einaudi 2022, p. 15).

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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