Mettere in discussione le gerarchie: cosa significa per l’arte
Cambiamento e abolizione dei criteri canonici che determinano l’identità di un’opera e il suo rapporto con lo spettatore. Come si riflettono queste azioni nel sistema contemporaneo?
4 novembre 2022. L’operazione – che a volte si vede in giro – di “trovare” opere d’arte anche involontarie nella realtà, nella strada, nel mondo, è a ben guardare conservatrice. L’operazione, invece di inoltrare le opere nella realtà, in modo da intesserle e quasi fonderle nella realtà, è molto più sottile e radicale.
Essa richiede infatti uno sforzo non banale di comprensione e di immaginazione non solo all’artista ma anche – e forse soprattutto – allo spettatore. Si tratta infatti di “sradicarsi”, uscire dal ruolo e dalla comfort zone di “spettatore”, appunto, e di immaginare le opere come pezzi di esistenza a tutti gli effetti, in grado di entrare in relazione con esseri umani, luoghi e contesti (sociali, economici, politici, urbanistici, domestici).
In questo senso, la funzione dello spazio espositivo (e anche della “mimesi” di questa stessa funzione) è pressoché nulla – e rappresenta anzi un ostacolo serio.
3 novembre 2022. Lavorare su una base, e poi da lì trasformare, cambiare, variare.
La magia di vedere Patrizio al lavoro – la magia di questa pistola a spruzzo, di Patrizio che mescola i colori improvvisando con grande sapienza, come Miles Davis che sta suonando sul pc (Miles in the Sky, 1968): è una ceramica jazz.
IL VALORE DEL CAMBIAMENTO
7 novembre 2022. Il momento, fissare il momento senza fissarlo – lo zen è questo, e anche il jazz, comprendere che la vita è ciò che accade (nel mezzo, negli interstizi, nei tempi e negli spazi ‘morti’…) e non ciò che vorremmo o ciò che pensiamo, con tutti gli errori le incertezze le sbavature le imprecisioni – la serenità in fondo consiste precisamente in questa imprecisione, indeterminatezza.
È come sottolineava Herbie Hancock a proposito della straordinaria capacità di Miles Davis di adattarsi a ciò che accadeva secondo per secondo, di seguire il flusso e di adeguarvisi perfettamente – di non percepire nessuna nota altrui come “sbagliata”, “stonata”, “storta”, “fuori luogo/fuori tempo”, ma di riuscire a inglobare ogni suono come un contributo a cui a sua volta reagire, all’interno di una composizione musicale in continuo divenire, in costante e felice trasformazione. Lo zen è capire che il cambiamento è la radice e la sostanza di tutto ciò che ci capita e di tutto ciò che facciamo – che non ha alcun senso fossilizzarsi in forme definite, chiuse, stabilite una volta per tutte e a priori.
METTERE IN DUBBIO LA GERARCHIA
Chiaramente, una visione e una pratica di questo tipo creano un orizzonte del tutto differente, e spostano centro di attenzione e situazione non solo per l’autore, ma anche per lo spettatore.
Una situazione di questo tipo tende cioè ad abolire i criteri e le distinzioni, si estende orizzontalmente e ignora l’ordine, la gerarchia “artistica”. Mette in dubbio cioè i criteri in base ai quali, per esempio, quell’elemento fa parte dell’opera e quest’altro no, quel momento è alto e questo invece fa parte prosaicamente di ciò che chiamiamo “esistenza” quotidiana. Il processo è unico invece, unito – e non ha davvero senso mettersi a separare le singole dimensioni, dire alle idee “tu sì”, “tu no”…
Si tratta di qualcosa di simile al processo descritto da Lisa Parola a proposito del rapporto recente con i monumenti: “Quanto più alto è il basamento, tanto più è complesso ciò che circonda il monumento, nel passato, nel presente e spesso anche nel futuro. Per questo motivo, nel passaggio tra XX e XXI secolo e ancora oggi, molti artisti stanno lavorando sul monumento, perché quel ‘lassù’ è quello che si sta rimettendo in discussione in questo tempo segnato da voci contrastanti e geografie spaesanti. Uno stato in divenire che prevede una nuova posizione rispetto ai fatti e ai nomi, ma anche una diversa relazione tra quell’‘io’ e ‘noi’” (in Giù i monumenti? Una questione aperta, Einaudi 2022, p. 70).
La forma è la scelta dell’artista, la sua disposizione d’animo, l’atteggiamento che riesce a trasferire e a stabilire momentaneamente nel lavoro, e più questa “forma” traduce l’instabilità e l’impermanenza, più vediamo che la mano dell’artista – lo stile – tende momentaneamente a scomparire.
Vale a dire, la forma, lo stile non rispondono più del tutto a lui/lei, e come conseguenza l’opera acquista sempre più autonomia. Il suo senso (i suoi sensi) già non appartengono più né all’artista, né allo spettatore: “L’autore, firma senza nome, altro non è dunque che latore – o l’attore, se preferite – dell’opera, il caso della cosa” (Giulio Paolini, Antefatto, in Paola Barocchi, Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti, vol. III**, Einaudi 1992, p. 437).
Christian Caliandro
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