Riuso, tempo, bellezza. La mostra Recycling Beauty alla Fondazione Prada di Milano
L’attualissimo concetto di riciclo si può applicare anche alle opere dell’antichità: è questo l’assunto da cui parte la mostra curata da Salvatore Settis e allestita da Rem Koolhaas/OMA negli spazi milanesi della Fondazione Prada
Il tema del riciclo è ormai caratteristico della nostra contemporaneità, da tempo divenuto centrale tanto nella moda (settore alle prese con i suoi difficili problemi di sostenibilità) come nella più recente pratica artistica. Meno diffusa è stata invece sino a ora l’attenzione per il reimpiego di materiali provenienti dal passato da parte degli archeologi.
La mostra Recycling Beauty alla Fondazione Prada di Milano, costruita da Salvatore Settis in coppia con Rem Koolhaas/OMA, si può leggere come un’indagine su vasti slittamenti temporali esistenti tra la creazione di manufatti e il loro riutilizzo in epoca posteriore. A questi slittamenti ne corrispondono altri, quasi sempre spaziali. Che si tratti delle tonnellate di marmo di un fregio romano riutilizzato mille anni dopo in una cattedrale a Pisa, o della Tazza Farnese, in questo caso affiancata da una mappa che ne ricostruisce gli spostamenti: da Alessandria d’Egitto a Roma a Costantinopoli, dalla corte di Lorenzo il Magnifico fino a quella dei Borbone a Napoli, ma segnalata anche presso un principe persiano (a Samarcanda?) verso il 1430.
Recycling Beauty è pure una mostra sulla bellezza: secondo Settis è questo l’unico motivo per cui opere come quelle esposte si sono salvate dal naufragio di gran parte dell’arte greco-romana. Si tratta di 64 fra sculture in bronzo e marmi, avori, gemme, disegni: provengono da collezioni pubbliche o musei come il Louvre, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, i Musei Capitolini, i Musei Vaticani e la Galleria Borghese di Roma, gli Uffizi e il Museo Archeologico di Napoli.
LA MOSTRA ALLA FONDAZIONE PRADA DI MILANO
Il progetto espositivo di Koolhaas si sviluppa in due edifici della Fondazione Prada: il Podium e la Cisterna. L’allestimento del Podium incoraggia una fruizione ravvicinata di questi straordinari pezzi, che permette di cogliere ad esempio l’ostentazione come una possibile caratteristica del riuso, presente in modo plateale in alcune opere come quelle della statuaria di età barocca costruite a patire da frammenti preesistenti. È il caso della Minerva d’Orsay, un puzzle di alabastro e marmo: il primo modellato nel II secolo d. C., il secondo apposto con la sostituzione di mani, piedi e testa nel XVII secolo. L’una accanto all’altro sono disposti La Zingarella e Il Moro Borghese, assemblati da Nicolas Cordier agli inizi del medesimo secolo. Frammenti di marmi antichi e bronzo di nuova fabbricazione per lei; mentre per lui Cordier utilizzò una testa di calcite nera, un torso di marmo anch’esso nero e un frammento di alabastro.
Gli spazi della Cisterna propongono tre grandi sale, ma accanto un ambiente piccolo e buio non meno importante permette la concentrazione dello sguardo sulla straordinaria bellezza della già citata Tazza Farnese. La sorpresa arriva varcando lo spazio dove sono esposti due giganteschi frammenti (una mano e un piede) del Colosso di Costantino, che sorgeva nella Basilica di Massenzio, e lì accanto la ricostruzione sperimentale in scala 1:1 dell’intera scultura (di oltre 11 metri). Nella sala adiacente, pannelli e video ne illustrano la storia e i suoi frammenti ricevono omaggi d’artista: da quelli di Francisco de Hollanda (XVI secolo) a quelli di Robert Rauschenberg, che nel 1952 fotografa Cy Twombly accanto alla mano di quella che con ogni probabilità doveva essere stata una statua in primis intitolata a Giove.
RICICLARE LA CLASSICITÀ
Un’ultima notazione. La premessa di questa esposizione è stata quella di maneggiare il “classico” non solo come eredità del passato. In quanto “riciclate”, le opere in mostra hanno simultaneamente più cronologie e più significati, quelli originali e quelli accumulatisi nel tempo. Da Miuccia Prada ‒ a dire di Settis ‒ era arrivata l’indicazione di trattare “l’arte antica come fosse arte contemporanea”. Settis e Koolhaas l’hanno presa sul serio e difatti in questa esposizione appaiono diversi sorrisi da Gatto del Cheshire. Il Colosso di Costantino nella Cisterna è così incassato nello spazio assegnato da far venire in mente alcune opere di Ron Mueck. Settis e Koolhaas devono aver pensato a Duchamp e Cattelan quando hanno scelto di allestire nel Podium due sedute di pietra disposte in parallelo, una grigia e una rossa. Quella grigia ‒ il trono di un sacerdote di Dioniso dall’Asia Minore (II secolo a. C.) ‒ divenne in seguito seggio episcopale, per essere ribattezzato a Mantova come Trono di Virgilio. Quanto alla seduta in marmo rosso, si tratta di una latrina di età adrianea: nel Medioevo erroneamente ritenuta in porfido (materiale simbolo di potere), era impiegata nelle cerimonie di incoronazione dei papi: si ritiene che l’apertura nel sedile sia servita ad accertare il sesso maschile del nuovo pontefice.
Aldo Premoli
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