Qual è l’identità dell’arte italiana?
Fare i conti con il passato è inevitabile, anche per gli artisti. Ma con cosa si misurano gli artisti italiani contemporanei se guardano indietro? E quali tasselli di ieri e di oggi compongono l’identità dell’arte nel nostro Paese?
“L’arte antica è sacra, non si tocca!”
Quanti episodi ci sono nella storia recente italiana di artisti contemporanei che si sono confrontati alla pari con i maestri antichi? Anselm Kiefer è il primo artista contemporaneo che entra a Palazzo Ducale, ma il primato vero non è solo veneziano, ma piuttosto italiano: si tratta infatti del primo artista nella storia italiana a cui viene permesso di coprire un’opera d’arte antica. Cosa significa coprire con un telo nero le opere di Tintoretto in una sala di Palazzo Ducale? Per Kiefer ha significato dire a sé stesso: “io sono come lui, io uccido i miei maestri!” Che in fondo è l’unico modo per poter riuscire a superarli. E superare Tintoretto significa entrare nella storia.
Ma cosa dà a Kiefer questo coraggio? Cosa lo spinge a credersi all’altezza di Tintoretto?
Lui è l’artista tedesco erede di Wagner, Nietzsche e Kant e di una tradizione che si fonda sul pensare la propria nazione come agente concreto della storia. L’identità tedesca si plasma nel rapporto con la storia e quindi con la memoria: un artista che rappresenta la Germania non può farlo che confrontandosi con la storia con la S maiuscola. Ma come ci si confronta con la Storia e con il tratto distintivo della propria identità nazionale? Quello che ha fatto Kiefer è stato identificare un nodo critico nella propria identità nazionale ‒ il nazismo ‒ e provare a scioglierlo. E questo coraggio l’ha proiettato nel futuro, dandogli di conseguenza la forza di confrontarsi con i suoi maestri del passato.
ARTE ITALIANA E IDENTITÀ
Benedetto Croce diceva che l’identità di un popolo è “la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia”: se questo assunto è vero per la Germania è altrettanto vero per gli Stati Uniti, dove i grandi artisti americani contemporanei, da Jackson Pollock a Andy Warhol, da Jasper Johns a Robert Rauschenberg, hanno contribuito a costruire l’identità visiva e culturale del Paese facendo leva sui tratti caratteristici nazionali, per permettere alla generazione successiva di artisti di confrontarsi con loro.
E quale è l’identità americana? È fatta di capitalismo, consumismo, apparenza, schiavitù e patriottismo: ne sono l’esempio Jeff Koons, Jenny Holzer e Jasper Johns, David Hammons e Christopher Wool.
È possibile applicare la medesima categoria all’arte italiana? Quando l’arte italiana contemporanea è stata consacrata? Qual è il tratto distintivo identitario della nostra cultura? Quali sono i nodi che gli artisti devono affrontare per poter assorbire le potenze che vengono rilasciate dalle ferite ricucite?
Salvo rare eccezioni, la storia dell’arte italiana vista dall’estero coincide con quegli artisti riconosciuti e consacrati anche in Italia. E a ben vedere ognuno di questi è riuscito ad agganciarsi a una stessa potenza sotterranea sopita che ha trasformato le loro opere in oggetti iconici globali.
Un filo che unisce il Futurismo con Boccioni e Balla, Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Giorgio Morandi, Alberto Burri, Piero Manzoni, Lucio Fontana, l’Arte Povera e infine Maurizio Cattelan. Queste nove entità sono le uniche che sono riuscite a imporsi in maniera stabile in un discorso internazionale, entrando di fatto nella storia globale nell’unico modo possibile: raccontando una storia profondamente italiana e quindi locale.
Qual è la traccia identitaria che accomuna questi artisti? Quale è il contributo essenziale, unico e distintivo dell’arte italiana nella storia del mondo?
ARTE ITALIANA IERI E OGGI
L’Italia è portatrice di una tensione che la contraddistingue: da una parte è stata la culla dell’impero romano, che rappresenta il mito di fondazione globale della “civilizzazione occidentale” e della trasformazione del mondo, alla quale si rifanno i grandi imperi della storia, da quello britannico a quello austroungarico e spagnolo, dall’impero americano passando per la Terza Roma (Mosca) fino ad arrivare all’attuale impero cinese.
Basterebbero per dimostrarlo le 52 città con il nome di Roma sparse per il mondo.
Tutti riconoscono a Roma l’appellativo di città eterna, di città che ha inventato il modo per trasformare il mondo con una tale intensità da permetterle di diventare immortale: Thomas Stearns Eliot nel suo saggio su Virgilio dice che “siamo ancora tutti cittadini dell’Impero Romano”. Ma con cosa è in tensione questo tratto identitario? Con la spinta verso lo sprigionamento di potenze che appartengono al mondo metafisico. L’Italia è riconosciuta come sede della chiesa, come patria della prima religione globale della storia e come culla di un mondo arcaico e sacro.
Jean Clair in Données d’un problème (saggio contenuto nel catalogo della mostra Les Realismes 1919-1939 tenutasi al Centre Pompidou di Parigi nel 1980) rintraccia l’identità italiana nella “solitudine melanconica del manichino metafisico”, mentre Germano Celant nel proprio testo introduttivo alla mostra Identité italienne presso il Centre Pompidou di Parigi nel 1981 fa risalire l’identità italiana alla “vitalità immaginifica incarnata dal Futurismo”: una fluidità e molteplicità dell’“essere in situazione” che incarnano il senso del divenire.
A quasi 42 anni di distanza l’ipotesi è che queste due fazioni non siano in contrapposizione ma estremi di un pendolo che oscilla di continuo. E l’identità italiana si trova proprio nella congiunzione tra questi due opposti, in una profondità e stratificazione che affonda le sue radici ben oltre il generico “territorio magico” dell’omonimo libro scritto da Achille Bonito Oliva nel 1971.
ETERNITÀ, METAFISICA, PROGRESSO
In questa chiave di lettura la tensione tra metafisica e progresso si ritrova nel paradiso della tecnica alla base del Futurismo; in Sironi nel fumo delle città deserte; in de Chirico nelle piazze eterne e nell’uomo trasfigurato; in Morandi negli oggetti che diventano astratti; in Burri e Fontana in ciò che di invisibile emerge al di là della tela; in Manzoni nella trasmutazione del simbolo più infimo di materialità verso l’assoluto; negli artisti dell’Arte Povera nella capacità di attingere da un sacro naturale alle origini della civiltà arcaica; e infine in Cattelan che gioca sulla contrapposizione tra la decadenza del cristianesimo e la sconfitta del progetto imperialista e metafisico nazista.
Allo stesso modo artisti non riconosciuti dal sistema internazionale come Jago e Mitoraj sono però incoronati dal pubblico italiano, proprio perché hanno colto la stessa tendenza del nostro popolo a identificarsi con l’artista che dialoga con il metafisico, con ciò che è oltre. Tutta la storia del mondo risponde a una sola domanda: come raggiungere l’eternità? Da tutti viene riconosciuto il ruolo che l’Italia ha ricoperto nella storia, grazie ai suoi tentativi di risposta alla domanda attraverso la propria capacità di produzione mitologica e simbolica.
I linguaggi degli artisti sono diversi, e toccano temi come la visionarietà l’ironia e la decadenza, ma la risposta a questa domanda è il tentativo di sfruttare le forze spirituali (metafisico) per realizzare un impero materiale (progresso).
Questa è la questione della quale l’Italia si è fatta portatrice nella storia e su questa domanda gli artisti italiani possono confrontarsi, per tentare di dire qualcosa che nessun altro artista al mondo può dire con forza, coraggio e consapevolezza. Un artista italiano emergente che desidera superare i propri maestri si deve confrontare con questa sfida: proprio per questo motivo l’arte contemporanea in Italia non è amata perché, tranne rare eccezioni, è incapace di confrontarsi con l’assolutezza del tema che caratterizza la nostra civiltà.
L’arte antica è sacra e non si tocca: forse non è un’iperbole, ma significa propriamente che l’arte antica, con la quale l’italiano si identifica, viene considerata intoccabile perché intrattiene un rapporto con il sacro. Senza questa consapevolezza diventa difficile diventare intoccabili.
Marco Bassan
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