Tutte le mostre da vedere a New York durante la lunga Art Week 2023
Tra pilastri dell’arte americana del Novecento, grandi fotografi, orgoglio afro-americano e culture indigene, c’è spazio anche per gli artisti italiani. Ricchissimo il palinsesto di mostre da visitare in città
A New York impazza l’Art Week. Ma sarebbe meglio dire le art week, perché quest’anno le fiere sono dilatate su due settimane, a partire, questa settimana, con Tefaf, Independent e Spring Break, per poi culminare la prossima con Volta, Nada, 1-54 e, naturalmente, Frieze. Ma intanto, fuori dai padiglioni, in città c’è tanto altro da vedere, tra gallerie e musei. Per chi in questi giorni è nella Grande Mela, ecco i nostri consigli.
LA GRANDE ARTE AMERICANA IN MOSTRA A NEW YORK
Se volete approfittare della vostra permanenza newyorchese per vedere da vicino i grandi artisti americani, oltre a un obbligatorio giro delle permanenti dei principali musei, ci sono alcune mostre che non potete perdere. Una di queste è Arthur Dove. Sensations of Light, la più grande retrospettiva del lavoro dell’artista negli ultimi 25 anni. In mostra oltre 40 lavori, di cui 22 dipinti, che evidenziano il rivoluzionario uso di colore e luce con cui Arthur Dove (Canandaigua, 1880 – Huntington, 1946) ha anticipato l’espressionismo astratto. L’artista viene spesso ricondotto al circolo di Alfred Stieglitz, una figura cruciale anche per il lavoro di Georgia O’Keeffe (Sun Prairie, 1887 – Santa Fe, 1986), che del fotografo fu la seconda moglie. A lei è dedicata la mostra in corso al MoMA, fino al 12 agosto, dal titolo To See Takes Time, che riunisce opere su carta a carboncino, matita e acquerello e gli iconici dipinti che la resero famosa, offrendo una panoramica unica sulla varietà di media e tecniche che l’artista ha utilizzato nel corso della sua lunga carriera. Arriviamo agli Anni ‘70 con la mostra dedicata a Chris Burden (Boston, 1946 – Topanga, 2015), in corso nella sede di Park Avenue di Gagosian, fino al 24 giugno. Burden è famoso soprattutto per le sue performance radicali, ma per quelle, purtroppo, siamo in ritardo: l’artista di Los Angeles è morto nel 2015. Ma questa mostra è quanto di più vicino a quelle performance si possa vedere oggi, con tanti degli oggetti utilizzati dall’artista per le sue opere dal vivo, e poi video e film a documentare i suoi provocatori esperimenti.
PERCHÉ BLACK IS MORE
Sono passati tre anni dalle proteste scatenate dall’uccisione di George Floyd, ma l’ondata nera che ha travolto la cultura americana non è ancora passata. E non dispiace, visto che sono afro-americani alcuni degli artisti più interessanti del momento. Vedere per credere. In questi giorni una serie di nuovi ritratti in grande scala, lavori su carta e un’opera video di Kehinde Wiley (Los Angeles, 1977) sono raccolti nella mostra HAVANA, in corso da Sean Kelly, fino al 17 giugno. Richiamando Toulouse-Lautrec, Picasso, Calder, l’artista esplora le intersezioni tra l’evoluzione della cultura nera a livello globale e un’estetica circense, carnevalesca. Di tono ben più serioso è invece la mostra di Kara Walker (Stockton, 1969) in corso alla New York Historical Society, fino all’11 giugno. Harper’s Pictorial History of the Civil War (Annotated) è una serie di 15 stampe basate su un’antologia pubblicata negli Anni Sessanta dell’800, di cui l’artista commenta visivamente l’omissione degli afroamericani. Con il suo distintivo uso di sagome nere, Walker evoca un passato doloroso, rimosso dalla storia ufficiale. È invece un viaggio all’intersezione tra arti tradizionali africane e afrofuturismo il lavoro di Wangechi Mutu (Nairobi, 1972), al New Museum fino al 4 giugno con la mostra Intertwined. Attraverso più di cento lavori tra pittura, collage, disegno, scultura e film, la mostra racconta la pratica dell’artista originaria del Kenya dagli Anni Novanta a oggi. Infine, per non dimenticarci che, nonostante l’attenzione di questi anni, la popolazione nera americana è ancora vittima di violenza sistemica, allo Schomburg Center for Research in Black Culture è in corso Marking Time: Art in the Age of Mass Incarceration, una mostra che raccoglie lavori di artisti la cui vita è stata impattata dal sistema carcerario. Tra le opere esposte, tra cui quelle di artisti come Jesse Krimes, Ronnie Goodman, Halim Flowers, Russell Craig, molte sono state realizzate in carcere con materiali di fortuna. La mostra aveva esordito nel 2020 al MoMA PS1 e da allora ha continuato a viaggiare, espandersi e trasformarsi.
PER ESPLORARE L’ARTE DI CHI ERA QUI PRIMA DI NOI
Un’altra gradita novità nel panorama dell’arte americana degli ultimi anni è la crescente attenzione per le culture indigene che trovano spazio nei musei, non più solo attraverso esposizioni etnografiche, ma con mostre che valorizzano le espressioni artistiche contemporanee di persone la cui biografia e pratica è riconducibile a queste popolazioni. Al momento in città ci sono varie cose interessanti da vedere per farsi un’idea. Al Whitney Museum c’è la prima retrospettiva newyorchese e la più grande mai messa insieme del lavoro dell’artista Jaune Quick-to-See Smith (Saint Ignatius, 1940), originaria della Kootenai Nation. Memory Map riunisce quasi cinque decenni di disegni, stampe, dipinti e sculture attraverso cui Smith si confronta con la contemporaneità, l’astrazione e i grandi movimenti artistici americani che l’artista incorpora, reinterpreta e reinventa attraverso l’estetica e la filosofia di vita della sua cultura d’origine. Ci porta verso le terre del Nord, invece, la mostra Arctic Highways che riunisce dodici artisti originari dell’Alaska, del Canada e dei territori Sami , in corso alla Scandinavia House, fino al 22 luglio. Dipinti, sculture, opere video e fotografie esplorano l’identità di queste popolazioni in chiave contemporanea incorporando materiali diversi, riferimenti alla storia e preoccupazioni ambientali. Infine, per esplorare la relazione tra culture indigene e ambiente naturale in relazione ai cambiamenti climatici, dirigetevi al Brooklyn Museum dove è in corso Climate in Crisis: Environmental Change in the Indigenous Americas, che documenta gli effetti della crisi ambientale nelle comunità indigene, sia attraverso un’esplorazione del rapporto che queste culture tradizionalmente intrattengono con la natura, sia attraverso opere di denuncia.
L’ITALIA IN MOSTRA A NEW YORK
Se siete a New York, ma non potete fare a meno di un po’ di Italia, saltate la cena a Little Italy e dirigetevi invece nelle gallerie, dove in queste settimane sono in mostra tanti connazionali. Da Kaufmann Repetto c’è Bice Lazzari (Venezia, 1900 – Roma, 1981), un’artista che ha rischiato l’oblio e che, quando in vita, ha faticato a ottenere riconoscimento e visibilità, ma che negli ultimi anni è stata riscoperta anche negli Stati Uniti. Questa mostra si concentra sull’evoluzione della pratica di Lazzari negli ultimi quattro decenni della sua carriera, in cui sperimentò con astrazione e minimalismo creando lavori in cui linee, colori e superfici diventano composizioni poetiche. Da Robilant + Voena, fino al 17 giugno, c’è Alighiero Boetti Mappe, che riunisce cinque delle 150 mappe ricamate che l’artista ha creato tra la fine degli Anni ‘70 e gli Anni ‘90. Queste opere, realizzate da ricamatrici afgane, sono un’istantanea delle situazioni geopolitiche della contemporaneità di Boetti. Uno sguardo su quella stessa contemporaneità, ma con un approccio ben diverso, lo troviamo nella mostra dedicata a Luciano Fabro (Torino, 1936 – Milano, 2007) in corso in entrambe le sedi della Paula Cooper Gallery, fino al 23 giugno. Tra le opere in mostra, la galleria riserva ampio spazio alla serie Computer, realizzata tra la fine degli Anni ‘80 e i ’90, con cui l’artista offre un’interpretazione scultorea e materica delle infinite possibilità del linguaggio binario. In mostra anche L’Infinito (1989), una delle opere più distintive di Fabro. Ma non sono solo gli italiani del passato a trovare spazio nelle gallerie newyorchesi: da Peter Blum c’è Luisa Rabbia (Torino, 1970) che al passato attinge con la sua personale, in corso fino al 20 maggio, dal titolo Inferno. Ispirandosi alla Mappa dell’Inferno di Botticelli, Rabbia crea una nuova serie, composta da oli su tela di grandi dimensioni e nove lavori su carta che rappresentano condizioni dello spirito. Attraverso rappresentazioni del corpo, che diventa luogo di dolore e separazione, Rabbia compone paesaggi di un inferno che è intimo e universale al tempo stesso. Infine, all’interno della bella collettiva Rear View, dedicata all’arte del “lato b”, in corso fino al primo giugno nelle eleganti gallerie della nuova sede di LGDR, sono in esposizione opere di Michelangelo Pistoletto, Domenico Gnoli e Francesco Clemente, in una mostra che, mentre guarda il mondo di spalle, invita a cercare prospettive altre.
PERCHÉ ESISTE ANCHE LA FOTOGRAFIA
Nelle fiere d’arte, di fotografia se ne vede sempre troppo poca, ma per fortuna a New York non mancano le istituzioni che a questo linguaggio dedicano spazio e contenuti. Esordisce quest’anno una nuova Triennale di fotografia ospitata al Museum of the City of New York, luogo che merita sempre una visita ma che con questa bella mostra offre un motivo in più per salire uptown. Questa prima edizione, dal titolo New York Now: Home, in corso fino al 24 agosto, si struttura in quattro sezioni che invitano a riflettere sui vari significati dell’idea di casa. In mostra, tra gli altri, Alan Chin, Nona Faustine, Jamel Shabazz. Ed è (anche) con la fotografia che New York celebra un anniversario che più newyorchese non si può: i 50 anni dell’hip hop. Da Fotografiska, Hip-Hop: Conscious, Unconscious esplora luoghi, persone e cose che hanno contribuito a creare questo genere musicale che è poi diventato cultura globale. Mostri sacri, invece, al Met, dove, in occasione del centenario di Richard Avedon (New York, 1923 – San Antonio, 2004), fino al primo ottobre sono in mostra opere monumentali in cui il fotografo ritrae note personalità degli Anni ‘70. Sempre al Met, fino al 4 settembre, Berenice Abbott’s New York Album, 1929 presenta una selezione tratta dall’album della fotografa nell’anno in cui tornò a New York da Parigi e passò dal ritratto alla fotografia urbana. Un movimento in senso contrario è documentato invece nella mostra, Man Ray’s Paris Portraits: 1921-1939, in corso da Di Donna Galleries, fino al 2 giugno. Attraverso 70 ritratti di intellettuali dell’epoca, questa mostra racconta la comunità artistica di Parigi e l’evoluzione tecnica ed estetica di uno dei pionieri della fotografia artistica.
PER CHI NON SA RINUNCIARE A UN SELFIE
Infine, se proprio non potete fare a meno di postare quel selfie tra gli specchi, da David Zwirner, fino al 21 luglio, c’è Yayoi Kusama. I Spend Each Day Embracing Flowers, una selezione di nuovi dipinti, sculture e variazioni sul tema di zucca e fiori, oltre che una nuovissima Infinity Mirrored Room.
Maurita Cardone
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