Mostri, specchi e ansia sociale: la prima collaborazione di Grip Face e Miju Lee è a Maiorca
Siamo stati alla preview che anticipa la mostra dei due artisti alla Galerie Joseph di Parigi, frutto di una residenza collaborativa in un piccolo paradiso mediterraneo
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Esiste nella verdemarrone campagna di Maiorca, in cima a uno dei molti paesini che gravitano intorno a Palma, un regno di fantascienza, immaginazione e colore che ci parla molto della realtà. Per una manciata di giorni “avatar” specchianti, volti enigmatici e mostri dal sapore manga invadono il grande e luminoso spazio gestito da La BIBI Gallery facendosi interpreti di tematiche pressanti tra i millennial come l’abuso della tecnologia, la non-definizione di genere e identità, l’ansia e l’isolamento ma anche la meraviglia delle relazioni umane. È il regno di Grip Face e Miju Lee, artisti contemporanei alla loro prima residenza-collaborazione, il cui frutto qui anticipato sarà visibile da maggio alla parigina Galerie Joseph. FAOS – Find An Offline Shelter è il titolo dello show creato in un pugno di mesi di residenza, un omaggio alla necessità di un rifugio lontano dall’incubo produttivo della connessione costante e dallo spaventoso prezzo che richiede questa devozione, dalla frammentazione del sé in ennesimi personaggi che a loro volta generano relazioni para-sociali veloci e vuote.
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LA RESIDENZA-COLLABORAZIONE “FIND AN ONLINE SHELTER” A MAIORCA
Con puro afflato post-umanistico, i due artisti autodidatti – rispettivamente spagnolo (David Oliver, AKA Grip Face) e sudcoreana (Miju Lee) – hanno unito i propri interessi con il sostegno della Colección SOLO e della galleria fondata da Marc Bibiloni (millennial come i due artisti) andando a realizzare opere di grandi dimensioni apparentemente giocose, ma intrise di storie complesse realizzate con un approccio multimediale, con emoji, specchi, peluria e chat pareidoliche. Qui, Grip Face porta le sue “maschere” eclettiche e post-punk, che riflettono conflitti interiori e proiezioni ideali; da Miju Lee arrivano invece degli epici paesaggi interiori, che raccolgono oggetti e memorie accostandoli a volti alienati e distorti. Tra le poche consolazioni, il suo esercito di piccoli, deliziosi yeti senza faccia, suo protettore e avatar artistico.
“Lo yeti simboleggia le persone sempre online, fenomeno che abbiamo visto soprattutto durante il coronavirus”, racconta Lee. “Da introversa, mi rendo conto di quanto internet ci obblighi a essere costantemente estroversi, ed è difficile. Anche se non è al centro delle opere, però, lo yeti c’è comunque”. Le opere in mostra sono state realizzate cooperativamente, spesso anche contemporaneamente: “Sono mondi che si esplorano a vicenda. È stato difficile aprirsi così tanto, abbiamo rifondato una vera comunicazione lavorando e vivendo insieme qui. Litighiamo sempre”, ride Lee. È stato Oliver a coinvolgerla nel progetto: da perfetti nativi digitali, si sono conosciuti su Instagram. Dopotutto, entrambi gravitavano attorno all’ambiente spagnolo, dato che Lee viveva da anni a Barcellona. “L’iconografia e il simbolismo, ma anche proprio le domande alla base dei nostri lavori, si somigliano molto. Il dialogo era già lì”, sottolinea Grip Face. “Il più era distruggere i rispettivi ‘ego’ e ricominciare a costruire qualcosa di nuovo insieme”. E il loro lavoro davvero si mescola nelle grandi tele e nelle sculture, anche se i rispettivi processi creativi restano molto diversi, più perfezionista lui, più immersa nel flusso lei. Con un esito comune. Tra maschere pelose, volti evanescenti, pixel fluttuanti e sovrapposizioni di colori, la promessa del titolo si infrange: la rigogliosa natura al di fuori della “gabbia” di protezione svanisce, e con lei l’isola intera, trascinando gli spettatori nuovamente e inevitabilmente online.
Giulia Giaume
www.coleccionsolo.com
https://labibigallery.com/
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