A Venezia i metadati incontrano l’arte per spiegare la crisi climatica
I dati raccolti da meteorologi e climatologi supportano l’arte contemporanea. Succede nella mostra della Fondazione Prada, che fa leva sulla forza estetica del sapere scientifico
Quando il compositore Karlheinz Stockhausen definì l’epocale e apocalittico crollo delle Twin Towers di New York un “capolavoro cosmico”, fu di colpo estromesso da ogni consesso culturale. L’orrore della catastrofe non poteva essere considerato opera d’arte, neppure se lo si considerava sussunto sotto la categoria del sublime, ovvero di un’esperienza inimmaginabile, imprevedibile, senza misura. Oggi la crisi climatica si presenta su ordini di grandezza che rendono difficile percepirne i confini e quindi la forma. La sua è una dimensione “sublime”, frutto di molteplici distruzioni (oggetto della mostra) che andrebbero fornite di un volto, una forma o un’immagine.
IL SUBLIME TRA ARTE E SCIENZA
Se l’arte non può farlo, dovrà pensarci la scienza, narrata attraverso i metadati organizzati dall’infografica. È quanto sembra dimostrare l’esposizione che Dieter Roelstraete cura per la Fondazione Prada di Venezia. Qui, i grafici di metadati dedicati a decine di “piccole” crisi climatiche o ecologiche sono esposti sui grandi pannelli che accolgono le didascalie e abbinati alle opere d’arte. Tali forme grafiche diventano immagini capaci di toccare l’immaginazione e di “rendere l’idea” del procedere lento e smisurato di una certa fine del mondo naturale in questo inizio di Antropocene.
LA MOSTRA DISPOSITIVO ALLA FONDAZIONE PRADA DI VENEZIA
Dieter Roelstraete allestisce una mostra dispositivo in cui hardware e software, oggetti d’arte e dati statistici, in-formano il fruitore. La mostra fa parte del nuovo corso della fondazione, che indaga la realtà sfruttando la forza estetica del sapere scientifico e usando l’arte contemporanea come coprotagonista. La mole dei dati elaborati dal New Institute Centre For Environmental Humanities (NICHE) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ben si adatta a essere sussunta sotto la categoria del “sublime”. In epoca di permacrisi lo spazio dell’arte contemporanea viene ibridato ulteriormente rispetto alla vocazione socio-politica di tanta produzione artistica. Ora tocca agli spazi espositivi. La realtà accelerata e complessa del cambiamento climatico viene visualizzata in una mostra che si configura come una sorta di timelapse fisico, in cui le opere d’arte funzionano a orologeria, incastrate tra le didascalie dei metadati e quasi commento a esse. Il catalogo rispecchia questa impostazione accogliendo molti saggi di esperti e scienziati. Insieme alle centinaia di libri esposti in mostra e consultabili, il cambiamento climatico viene reso “visibile”.
COME RISPONDE L’ARTE ALLA CRISI CLIMATICA
Sette anni fa Amitav Ghosh pubblicava La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, in cui si domandava perché gli artisti contemporanei avessero difficoltà a tematizzare le catastrofi naturali. Per rispondere alla domanda di Ghosh, Dieter Roelstraete assembla gli artisti che hanno affrontato il tema: La tempesta di Giorgione, Turner o Monet si confrontano con Richter, Ruff o Gormley e con artisti di generazioni più giovani come Giorgio Andreotta Calò, con i suoi carotaggi del suolo lagunare, o Paolo Cirio, le cui bandiere color petrolio informano sulle compagnie petrolifere responsabili del 50% delle emissioni globali. La mostra ha inizio con un “provocatorio” muro di schermi che proietta previsioni meteo di tutte le emittenti del mondo: le notizie meteo appaiono pervasive rispetto a quelle sul cambiamento climatico. Un po’ come accade in Don’t Look Up, spiega il curatore. Uscito nel 2021, il film di Adam McKay ridicolizza e condanna i negazionisti che non credono ai dati loro offerti dagli scienziati. La pellicola spiega la maturazione della società dello spettacolo in una società della post-verità e descrive una sindrome che Roelstraete sembra intuire quando parla di una “mancanza di potere” che il mondo dell’arte inizia ad avvertire dovendo confrontarsi con una nuova estetica del sublime, a cui proprio i metadati stanno dando una risposta in termini di forma e di immagine.
IL CONTRIBUTO DEI METADATI
All’alba dell’era dell’intelligenza artificiale matura quella dei big data. Li aspettavamo, pensando che proprio loro ci avrebbero salvato dall’indeterminazione e dal relativismo di una post-modernità senza più verità e certezze. E ora che queste certezze iniziano ad apparire nella loro evidenza, l’insorgenza della “sindrome Don’t Look Up” permette a politici ed interi strati sociali di deridere o trascurare gli studiosi che le analizzano. Questa mostra è preziosa perché potrebbe essere una delle prime di una nuova generazione capace di non fermarsi all’arte ma di “usarla” come occasione per lavorare su quella disattenzione socio-politica della società odierna che appare come il sintomo della nuova sindrome. Look Up!
Nicola Davide Angerame
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