Intervista a Vittorio Zeppillo. L’artista che racconta il rifiuto, il sogno e la precarietà
Elementi fortemente emotivi come la paranoia, l’emarginazione, la dimensione onirica si fondono nei lavori del giovane artista italiano che utilizza la pittura come esorcismo
Vittorio Zeppillo (San Severino Marche, 1998) è un artista emergente che dopo aver studiato decorazione all’Accademia di Belle Arti di Urbino sta proseguendo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2022 ha partecipato a diverse collettive, tra cui Salon Palermo II alla Rizzuto Gallery di Milano, mentre a settembre 2023 è in programma la sua prima personale con Platea Palazzo Galeano, a Lodi. Zeppillo è un artista colto, riflessivo, profondo. La sua pittura è coinvolgente e ragiona su tematiche attuali, quali l’emarginazione, l’isolamento, il rifiuto e la messa in discussione. Una riflessione profonda che viene esteriorizzata con la pittura e con lavori site specific.
Intervista a Vittorio Zeppillo
Quando nasce Vittorio come artista?
Fino ai vent’anni ho militato in ristoranti di alta cucina, di arte contemporanea non ne sapevo proprio nulla, ma amavo creare piatti pensando alle cromie e alle provenienze dei prodotti. Poi ho deciso di abbandonare quel campo e incoraggiato da chi mi era vicino in quel periodo – in particolare Giulia Pigliapoco, Lorenzo Conforti e Andrea Luzi – mi sono gettato nell’Accademia di Belle Arti di Urbino, al corso di decorazione di Gabriele Arruzzo, dove ho iniziato a sperimentare direttamente con la pittura. In quegli anni, con Andrea e Lorenzo, abbiamo condiviso un posto ricco di stimoli, spazio e tempo per il confronto e sessioni pomeridiane in fabbriche abbandonate a dipingere muri e fare installazioni. Qui abbiamo fondato il collettivo Hardchitepture e nello stesso periodo ho iniziato a scoprire e nutrire una sensibilità espressiva personale.
Che esperienza di studi hai avuto? Cosa ne pensi del percorso formativo in ambito artistico?
Ho concluso il triennio a Urbino e sto terminando il biennio di decorazione all’Accademia di Belle Arti di Brera con Simeone Crispino. A Milano sto ricevendo stimoli molto diversi dai precedenti. È proprio in questo periodo che le mie idee si stanno facendo più chiare. Sono partito dalle basi, puntando su riflessione e confronto, per maturare uno sguardo critico debitore a figure di riferimento come professori o grandi personalità del passato. Poi si scopre che il maestro più critico è la nostra stessa sensibilità, ma sono sempre necessarie quelle “prese d’aria” di messa in discussione e dialogo costante.
Come descriveresti la tua pratica artistica? Lavori velocemente, o il tuo processo creativo è più lento e riflessivo?
Non sono mai stato un rapido esecutore, sia per la prassi processuale (di norma ricca di tempi di attesa dovuti alle varie stratificazioni a olio), sia per il legame profondo che si crea con ogni singolo lavoro che comporta ruminate progettazioni e crisi esistenziali. Non c’è una creazione non incatenata direttamente col mio stato d’animo: quando il lavoro mi soddisfa mi sento al settimo cielo, quando invece è incompleto e carente rispetto alle mie prospettive, proietto quello stato oggettuale in me stesso e inizia un circolo vizioso che termina in un totale senso di smarrimento. Terra bruciata, un corpo esausto, da lì ricostruisco e ciò che era fumante fa da base per nuovi movimenti che avviano una tendenza opposta.
La pittura di Vittorio Zeppillo
Dove lavori? Hai uno spazio-atelier? E da quando?
Da poco più di un anno lavoro in uno studio in condivisione a Milano, zona Derganino, siamo in sette persone in appena 80 metri quadri. Questa limitazione spaziale, da ostacolo, è in realtà sfociata in una direzione di ricerca nuova, che si somma alla pratica pittorica: lavori installativi, ambientali o site-specific per i quali la progettazione può avvenire soltanto in studio, ma buona parte della realizzazione pratica viene svolta altrove.
Raccontaci la tua prima mostra. Come ti sei sentito?
La mia prima mostra è stata una collettiva nel 2022 alla Rizzuto Gallery di Milano, Salon Palermo II, a cura di Antonio Grulli. Vedere i propri lavori esposti in una galleria, in dialogo con opere di notevole potenza espressiva, è stata un’emozione. È stato molto stimolante confrontarsi con gli addetti ai lavori, ma altrettanto lo è stato ascoltare alcuni passanti, finiti lì quasi per caso, che mi hanno fornito delle letture dei lavori singolari e fuori da ogni previsione.
E quelle a seguire?
Ogni mostra è interessante a modo suo, e quello che ho provato a Salon Palermo II l’ho ritrovato anche nelle altre esposizioni, certo però che la prima è sempre indimenticabile. Qualcosa di molto differente l’ho ritrovato quest’anno nella mostra Hyperballad, bipersonale mia e di Davide Quartucci a cura di Benedetta Monti presso Officine Brandimarte ad Ascoli Piceno. Qui per la prima volta mi sono confrontato da solo con un progetto installativo site-specific (Hey dad, watch me play hard), che in genere è una modalità che svolgo con il collettivo. In questo caso c’è stato un faccia a faccia solitario tra me e uno scenario che ho fatto aprire per la prima volta al pubblico: il sotterraneo dello spazio espositivo con i suoi vecchi macchinari edili dismessi. Un luogo con una autonomia e identità preesistenti, estremamente connotato sia storicamente che esteticamente.
Pittura, corpo, organicità. I tuoi lavori trasudano vita, disagio e dinamismo a mio avviso… Raccontaci meglio quello che rappresenti.
In genere cerco di enfatizzare delle sensazioni e le mie visioni a volte sono sintesi di una narrazione fittizia che creo attorno all’immagine che mi colpisce. Ciò che evoco sono spesso derive di complessi psicologici. Un tema ricorrente – a volte in modo esplicito a volte meno – è quello dell’emarginazione. Rifiuto, messa in discussione, modificazione corporea e mentale, paranoia, precarietà, sogno: tutti elementi fortemente emotivi che si rendono dinamici in una condizione di proiezione metamorfica. Forse avverto e traduco quelle problematiche relative alla costruzione di un sé in una società dove l’unicità della personalità forte sembra essere l’unica via di sopravvivenza; o forse realizzo solo autoritratti, dove l’opera esorcizza quelle parti di me che vorrei vedere esalare l’ultimo respiro.
Riflessioni sull’arte e sul mercato
Da dove prendi ispirazione? La vita, le esperienze, o forse i lavori sono i tuoi pensieri più nascosti?
Per me l’ispirazione è strettamente legata all’idea di uno sguardo infantile che resta affascinato da qualsiasi cosa. Infatti, lasciando libero il bambino che è in me, sono in grado di cogliere la continua diversità, anche nell’apparente uguaglianza o ripetizione. L’unica cosa certa che posso affermare riguardo la mia fonte d’ispirazione è il cambiamento di prospettiva, nel senso di portarsi periodicamente su limiti e frontiere scomode rispetto al proprio nucleo originario, o a una consuetudine pacificata.
Un ragionamento che ha a che fare sia con l’arte che con la vita…
Credo che ragionare solo di arte e per l’arte e frequentare solo persone di quel sistema possa dare l’illusione che l’orizzonte sia tutto lì. Anche se dovessi finire in una ricerca autoreferenziale analizzerei e restituirei il mondo nella sua interezza e se dovessi osservarlo solo dall’interno di un sistema chiuso, sarei costretto a utilizzare strumenti critici limitati, parlare di una realtà percepita solo da un punto lontano. Per questo cerco di disperdermi in più mondi, in più realtà, per avere un serbatoio complesso, anche conflittuale da cui attingere.
Collabori in maniera “fissa” con una galleria?
Non ancora.
Che progetti hai per il futuro?
Sicuramente un periodo di esplorazione in altri Paesi.
Sei giovanissimo: cosa pensi del mercato dell’arte e come ti posizioni oggi?
Il mercato dell’arte ha la sua importanza, è stato ed è tuttora il carburante di tanta produzione artistica. Sappiamo però che valori e denaro non riescono sempre a trovare un accordo; il mercato è un organismo crudele e selettivo, e credo che spesso a molti art worker sia chiesto di tarpare la sperimentazione per una produzione che dia profitti sicuri. Io da ‘non rappresentato’ mi ritengo ancora fuori, diciamo che mi ci affaccio ogni tanto, cercando di mantenere integri i princìpi di libertà della mia ricerca.
Domanda di rito: Il tuo sogno nel cassetto…
Essere un astronauta trapezista.
Gloria Vergani
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