Quanto è inclusivo il sistema dell’arte italiano? Le risposte di 11 personalità
Questione di genere, diritti LGBTQIA+ e mondo della cultura. Approfondiamo l’inchiesta avviata sul nostro magazine interpellando 11 personalità del mondo dell’arte italiano
A corredo dell’inchiesta sull’inclusività del mondo della cultura, tra gender gap e diritti LGBTQIA+, ci concentriamo sulla situazione del sistema dell’arte italiano: quanto è già stato fatto e quali passi bisognerebbe intraprendere in futuro? Ci hanno risposto 11 protagonisti e protagoniste del settore.
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Loredana Longo – artista
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Fabio Cavallucci – critico d’arte e curatore
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Giovanni Gaggia – artista
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Francesco Pantaleone – gallerista
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Beatrice Merz – presidente Fondazione Merz
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Patrizia Asproni – presidente Fondazione Industria e Cultura
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Lorenzo Balbi – direttore MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
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Paola Manfredi – founder & director PCM Studio
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Francesco Impellizzeri – artista
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Rossella Farinotti – curatrice Cremona Art Week
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Stefano Raimondi – direttore artistico ArtVerona
Mai sentita la frase “io non ho nulla contro gli omosessuali, figurati, non hai idea di quanti gay sono amici miei”? Mi accorgo, guardando le serie tv, come LGBTQIA+ sia presente nel mondo del cinema e un po’ meno nel mondo reale, come se ci fosse una pressione a spingere ed entrare nelle case e nel nostro pensiero, un’esigenza. Il sistema dell’arte italiano è inclusivo, non lo sono alcune persone e dipende fondamentalmente dall’appartenenza a delle generazioni che non accettano una diversità, come qualcuno che porti dentro al loro sistema un pensiero che non è il loro, che mini le loro certezze. Una sorta di paura ad accettare il fatto che il mondo sia cambiato o meglio che si sia svelato, abbia tolto delle barriere e si sia messo a correre verso un’identità che anche io non riesco ancora a definire ma che è sempre esistita e sempre esisterà. Dentro ognuno di noi c’è una resistenza, che non dipende da un fattore genetico, quindi è solo culturale. L’unica via da percorrere è non resistere davanti queste cose e resistere davanti ad altre.
Se si osserva ciò che accade negli Stati Uniti e nel nord Europa, in musei e gallerie, si assiste persino a un eccesso di artisti LGBTQIA+, che in genere trattano temi LGBTQIA+. La cosa è comprensibile se si pensa alla necessità di un mondo di persone escluse, nascoste, persino perseguitate, che oggi possono finalmente uscire allo scoperto e ottenere un risarcimento. Ma se si rivolge lo sguardo all’Italia, si torna nel buio più assoluto. Persino le tematiche femministe non sono praticamente toccate, se si pensa che l’ultima grande mostra di arte femminile risale al 1980, con L’altra metà dell’avanguardia di Lea Vergine. E se non ci fosse la Galleria Frittelli, anche la poesia visiva femminista sarebbe del tutto ignorata. Cosa succederà con un governo che ha fatto dell’opposizione alle libertà di genere uno dei cavalli di battaglia insieme alla lotta ai migranti? Quanto, in una situazione culturale già di per sé pavida e imbelle, l’omofobia destrorsa peggiorerà la situazione anche dei pochi lampi di luce che si intravvedono in Italia? Io, purtroppo, non sarei ottimista.
Mentre rispondo a queste domande, studio la simbologia della bandiera LGBTQIA+ per un nuovo progetto. Sistema dell’arte: al solo leggere queste parole affiancate, ho una sensazione di smarrimento. L’arte è inclusiva: un concetto diviene universale a partire da una forma straordinaria. Nel mio pensiero, gli operatori di questo insieme non si impegnano per far sì che l’esterno sia più inclusivo. Tanto si può ancora fare con l’arte e ancor di più con quella pubblica e relazionale. Nel 2018 Daniel Quasar crea la bandiera Pride of Progress e vi aggiunge colori e strisce: bianche e blu dalla bandiera Trans, nere e marroni dal movimento black lives matter, il nero per omaggiare le persone che convivono con HIV e AIDS. La sfera viola su fondo giallo, aggiunta successivamente, rappresenta il movimento intersessuale. Usiamola e raccontiamola come forma di inclusione. Mi preme l’esterno.
Il sistema dell’arte italiano tutto sommato è abbastanza inclusivo, almeno nella mia esperienza personale, forse è stato anche questo uno dei motivi che mi ha spinto a lasciare l’attività centenaria di famiglia per aprire la mia galleria venti anni fa. Passi ne sono stati fatti tanti e certamente se ne potranno fare ancora, ma questo non solo nel mondo dell’arte quanto nella società italiana, soprattutto in questo momento politico nel quale la comunità LGBTQIA+ è continuamente sotto attacco.
L’argomento è delicato e certamente attuale. Anche se gli ambienti della cultura e dell’arte in particolare sono ben lontani dall’essere perfetti, le persone LGBTQIA+ ne sono sempre state parte attiva e integrante. Temi quali la consapevolezza personale sono alla base dei processi culturali dai quali scaturiscono, come è giusto che sia, le riflessioni sui diritti. Il timore, però, è che, di questi tempi, il mondo della cultura si lasci influenzare e intrappolare da una parte della politica che sembra voler rimanere voltata indietro, impermeabile a qualsiasi istanza di cambiamento e inclusione. Il pericolo c’è, e va contrastato concretamente per il bene di tutte e tutti.
Luci e ombre. Nel mondo culturale resistono pregiudizi e bias talmente radicati che spesso non vengono riconosciuti come tali: le donne guadagnano meno, le opere delle artiste vengono vendute a prezzi anche del 40% inferiori rispetto a quelle dei colleghi, le figure apicali nei musei sono spesso maschili. Le ombre: mentre a livello internazionale questo “nuovo corso” ha subito una accelerazione, in Italia questo processo è ancora molto lento. Le luci: è cambiata la sensibilità e si tende a dare maggiore visibilità anche alle artiste, spesso recuperandole dalla damnatio memoriae. La Biennale di Venezia del 2022, Il latte dei sogni, ha segnato una svolta dalla quale non si torna indietro: curata da una donna, ha visto esposte per la prima volta in maggioranza opere di artiste donne.
Bologna è storicamente uno dei principali centri di attivismo e cambiamento sociale; il MAMbo, come istituzione pubblica attiva in questo particolare territorio, è impegnato a dare spazio e rilevanza a progetti legati alle rappresentazioni delle identità di genere e dei diversi orientamenti sessuali. Sin dal 2011 siamo partner del Festival multidisciplinare Gender Bender, ospitando iniziative all’interno dei nostri spazi; a novembre 2022 abbiamo realizzato nella nostra Project Room la mostra Non sono dove mi cercate. Porpora Marcasciano, il movimento, dall’underground al MIT, curata da Michele Bertolino e realizzata in collaborazione con MIT – Movimento Identità Trans, Divergenti, Centro di Documentazione “Aldo Mieli” di Carrara e Centro di Documentazione “Flavia Madaschi” Cassero LGBTI+ Center di Bologna. Nell’ambito del nostro progetto di residenza Nuovo Forno del Pane Outdoor Edition, attualmente in corso, una delle artiste selezionate ha presentato una ricerca proprio sulla rappresentazione della sessualità che ci ha permesso di ospitare, in un public talk, Lewis G. Burton, DJ, performer e attivista di fama internazionale.
Il sistema dell’arte italiano è al suo interno oggi decisamente inclusivo e ha compiuto grandi passi in avanti negli ultimi 20-30 anni quanto a consapevolezza della questione di genere e al rispetto dei diritti LGBTQIA+. La nuova frontiera per la cultura italiana a questo proposito è quella di agire collettivamente per promuovere gli stessi livelli di inclusività, consapevolezza e rispetto dei diritti in tutto il mondo. In una prospettiva globale, le discriminazioni e le violazioni dei diritti di persone LGBTQIA+, tra cui molti artisti e intellettuali, sono ancora una realtà drammaticamente diffusa.
Nel 1993 ho creato Lady Muk che, cantando Muuuoviti, si rivolge al complesso sistema dell’arte contemporanea esortandolo a uscire fuori dagli schemi. Ho utilizzato la figura del travestito per evidenziare anche le barriere che la nostra società mette in atto nei confronti della diversità di genere e spronarla verso una maggiore libertà. Ho continuato ad affrontare il tema della sessualità, ma la risposta del sistema dell’arte italiano si fermava sull’estetica del lavoro eludendone il contenuto. Dal 1997 al 2007 ho esposto con la galleria Esplico Minimo di Madrid e già dalle prime interviste ho notato la profondità con cui gli spagnoli recepivano queste opere. Oggi si fa molto uso della spettacolarità, ma sembra di assistere alla Corrida del famoso presentatore Corrado: personaggi allo sbaraglio.
Quando si tratta qualunque questione che sfiori dei diritti dell’essere, dell’agire, naturalmente il campo si fa delicato. Il mondo dell’arte contemporanea affronta questi temi da sempre, sin dagli anni Sessanta. E lo ha fatto in maniera molto più coraggiosa e lineare rispetto a ora. Oggi ogni questione che gira intorno all’importante contesto LGBTQIA+ va ponderata e valutata poiché rischia di essere fraintesa. Siamo un Paese che ancora non ritiene neppure l’esistenza di diritti per le diversità, è naturale che il campo artistico debba essere un campo di battaglia. Penso che per combattere in questo campo, però, non sia più utile rivendicare identità che ci sono state negate, ma lavorare su quelle che abbiamo in maniera sottile e politica. L’artista deve continuare a fare il suo lavoro, se il sistema lo accetta solo per moda, allora si deve uscire da quel sistema. Pensiamo ad artiste e artisti come Nan Goldin, Larry Clark, Letizia Battaglia… Hanno sempre documentato il valore di coloro che erano considerati diversi, risaltando una comunità preziosa che oggi deve fare scuola.
L’intersezionalità e i diritti LGBTQIA+ sono tematiche centrali nella cultura contemporanea, spinta dal bisogno di una maggiore inclusione sociale, consapevole dell’importanza espressiva dell’identità e delle diseguaglianze. Il sistema artistico italiano ha dimostrato, soprattutto attraverso le istituzioni delle grandi città, di essere un luogo facilitatore dell’impegno civico e sostenitore del cambiamento. Questo implica un grande sforzo per i musei e i luoghi della cultura chiamati a trasformarsi da attori “neutrali” ad agenti di cambiamento. Detto questo, è evidente che confrontandosi con altri modelli più sviluppati, come quello anglosassone, ci sia ancora molto da fare per affrontare in modo continuativo e non sporadico questa tematica, capendo l’importanza e le potenzialità che porta con sé.
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Loredana Longo – artista
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Fabio Cavallucci – critico d’arte e curatore
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Giovanni Gaggia – artista
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Francesco Pantaleone – gallerista
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Beatrice Merz – presidente Fondazione Merz
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Patrizia Asproni – presidente Fondazione Industria e Cultura
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Lorenzo Balbi – direttore MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
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Paola Manfredi – founder & director PCM Studio
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Francesco Impellizzeri – artista
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Rossella Farinotti – curatrice Cremona Art Week
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Desirée Maida
Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…