Biennale di Arte Grafica di Lubiana. La nuova edizione nel segno dell’Africa
Racconterà un capitolo della storia del Novecento forse poco noto la prossima edizione della rassegna slovena: il rapporto tra il Ghana e l’ex Jugoslavia, all’insegna anche della cultura. Ecco cosa ci hanno anticipato i curatori
Apre al pubblico il 15 settembre 2023 la 35esima edizione della Biennale di Arte Grafica di Lubiana, intitolata From the void came the gifts of the cosmos e diretta dall’artista e curatore ghanese Ibrahim Mahama, assieme a un team di quattro persone. Abbiamo parlato del concetto e degli scopi della Biennale con lo stesso Mahama e con Beya Othmani, membro dell’équipe dei collaboratori.
Qual è il concetto della Biennale?
Ibrahim Mahama: la Biennale è ispirata dal mio interesse verso la politica affermativa ed emancipatrice del primo presidente del Ghana, il teorico panafricano Kwame Nkrumah. La sua visione ha stimolato la creazione di un’infrastruttura culturale, scientifica ed economica. La mia Biennale riflette sugli intrecci di questi differenti settori, costruiti con le narrazioni moderne della lotta anticoloniale e antimperialista, del nazionalismo, dell’internazionalismo e dei loro echi contemporanei. La Biennale solleva interrogativi sulle forme di vita che oggi abitano questi nuovi ambienti sociali, riflettendo sul vuoto creato dai fallimenti politici del passato e su come questi possano diventare terreno per coltivare relazioni basate solidarietà, amicizia e condivisione.
Cosa porterà a Lubiana, delle sue radici africane?
I.M.: Europa e Africa hanno una storia comune. Il periodo di stretta amicizia tra il Ghana e l’ex Jugoslavia, entrambe parte dei Paesi non Allineati, è stato segnato, tra l’altro, da scambi: gli architetti della Jugoslavia (e di altri paesi dell’Europa dell’Est) hanno lasciato molte tracce in Ghana, gli studenti ghanesi sono venuti in Jugoslavia per studiare, e viceversa. A quel tempo c’era la convinzione che fossimo uniti dalla precarietà e che fossimo qui per aiutarci a vicenda. Chiunque, in qualsiasi parte del mondo, può imparare da questo: possiamo ricadere in questa precarietà in qualsiasi momento. Le persone (in Africa) non sono povere perché non lavorano sodo, ma perché decisioni politiche ed economiche impediscono loro di uscire dalla loro situazione.
Ci racconta meglio del rapporto tra il Ghana e l’ex Jugoslavia?
I.M.: L’infrastruttura post-indipendenza del Ghana dal 1957, in particolare gli edifici creati nell’ambito del programma socialista di Nkrumah che sono stati significativamente influenzati dagli architetti dell’ex Jugoslavia, offrono una sfida e un’opportunità per esplorare questa parte della storia e far rivivere alcuni dei momenti perduti o delle connessioni aggrovigliate che un tempo esistevano tra il Ghana e la Jugoslavia.
Al giorno d’oggi, molti giovani non hanno idea di questo rapporto che un tempo esisteva tra il Ghana (e altri stati africani) e l’Europa dell’Est. La Biennale si interrogherà su come possiamo andare oltre la propaganda, guardando veramente a ciò che i “doni” che erano presenti nel movimento di “non allineamento” possono offrirci oggi – aiutarci a vicenda oltre il ruolo che il capitalismo ha svolto nel secolo scorso e oltre.
Quali criteri hai adottato per selezionare gli artisti per la Biennale?
I.M.: Ho creato una commissione curatoriale abbastanza vasta, che collaborasse alla selezione e al concept dei vari artisti. Exit Frame Collective, Alicia Knock, SelomKoffiKudjie, Inga Lace, BeyaOthmani e Patrick NiiOkanta hanno seguito il tema della Biennale, guidati dal tema From the void came gifts of the cosmos. Accanto agli artisti partecipanti, i curatori immaginano la Biennale come un vuoto e un luogo di potenzialità, e come un ecosistema di amicizie e solidarietà, storie di resistenza, liberazione e relazioni transnazionali, portate alla luce oltre il quadro centro-periferia che racchiude la possibilità di trasformare il vuoto in doni del cosmo, appunto.
Quali opere d’arte di questa Biennale trova particolarmente rilevanti?
Beya Othmani: Potrei citare La Bête, a modern tale di Yasmina Benabderrahmane, un’installazione multimediale di due storie che si svolgono durante i molteplici viaggi che l’artista ha fatto in Marocco; il ricongiungimento con i membri della sua famiglia nel villaggio di Chichaoua, e l’incontro dell’artista con “La Bête”, un enorme cantiere nella valle del Bouregreg in Marocco, regione natale della sua famiglia. L’enorme struttura, un centro culturale statale progettato da Zaha Hadid, ha prosciugato il suolo della regione, creando un paesaggio circostante arido e desertico. L’artista ha catturato e raccolto immagini da situazioni di vita reale per formare diversi frammenti video che tratta come sculture. Li mette insieme in un confronto tra un mondo dove gli esseri umani e la terra si sostengono a vicenda, e un mondo dove il cemento impone invece le sue regole.
Opere dalla decisa impronta politica, quindi…
B.O.: E ancora, Specters of the Subterranean (part 1): Rhymes and Songs for the Oil Minister di Sanaz Sohrabi, un’installazione con stampe fotografiche, vinili fotografici adesivi, componenti audio e video e documenti d’archivio, che mette in scena frammenti, eventi e archivi che compongono la storia non raccontata dell’Organizzazione dei paesi produttori di petrolio (OPEC) e la sua importanza culturale e politica per il Sud del mondo. Prende il titolo da un album musicale prodotto da Petroleos de Venezuela nell’estate del 1980, intitolato Rhymes and Songs for OPEC, che sdoganava la promessa di unire i popoli dei paesi dell’OPEC attraverso l’arte e la cultura. Sohrabi prende questo documento come punto di partenza per raccontare una storia ben diversa, non come un progetto economico ma piuttosto come uno sforzo culturale il cui significato politico per lo sfruttamento locale delle risorse e la politica decoloniale durante il periodo 1950-1980 è rimasto principalmente marginalizzato.
Che ruolo gioca la Biennale di Lubiana nel panorama culturale europeo?
B.O.: Fondata nel 1955, la Biennale ha posizionato Lubiana e l’arte slovena in un contesto globale, ha influenzato lo sviluppo di molti eventi simili in tutto il mondo e ha creato una rete attiva per lo scambio di esperienze nel campo delle arti grafiche. Dopo il 2001, la discussione di questo ruolo è diventata parte integrante della Biennale, che si è poi avventurata oltre il campo delle arti grafiche considerando nuove tecniche di riproduzione e ampliando lo spazio espositivo verso l’ambiente urbano, i media e i cartelloni pubblicitari. Questa edizione della Biennale trae ispirazione dalla storia delle arti grafiche, che è stata utilizzata in passato come strumento per favorire alleanze trans-locali. Più in generale, ripercorre il modo in cui la cultura visiva e la sua diffusione e circolazione hanno creato spazi di incontro e creatività, trasceso i confini e avviate reti di solidarietà nel “Sud” del mondo. Sin dall’inizio, la Biennale ha invitato partecipanti dai paesi partner non allineati in Africa e Asia e artisti dall’Unione Sovietica e dall’Occidente.
Niccolò Lucarelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati