Morto Jamie Reid. Era l’artista delle copertine dei Sex Pistols
L’artista britannico è morto all’età di 76 anni. Autore di copertine iconiche per la storia del rock, ha contribuito a definire l’estetica punk
Il flusso costante di immagini nel quale sguazziamo ogni giorno – frutto di un avanzamento tecnologico che abbraccia tanto il concetto di mass-media quanto le potenzialità di strumenti quali le Intelligenze Artificiali e i social – ci ha particolarmente resi indifferenti (o meglio “insensibili”) a ciò che vediamo. Quasi come se un’immagine valesse quanto un’altra. Questo ragionamento è applicabile a molti prodotti visivi attuali, dagli spot commerciali ai videoclip musicali passando per le copertine di libri e dischi. Se infatti volessimo pensare a una locandina cinematografica o alla cover di un album recente che possa essere davvero emblematica per il nostro tempo potremmo avere difficoltà a trovarla in maniera immediata. C’è stato però un tempo, ovviamente prima dell’avvento del digitale della metà degli anni ‘80, in cui il mestiere del graphic designer aveva un altro tipo di aura e in cui l’identità visiva di una band poteva davvero modificare l’immaginario collettivo. Autori come Peter Saville, al quale si deve la celebre copertina di Unknown Pleasures dei Joy Division, o Storm Thorgerson (che dal ’68 all ’81 ha curato gli artwork dei Pink Floyd) sono solo alcuni degli esempi più lampanti da poter fare. In questa lunga lista spicca sicuramente anche il nome di Jamie Reid, papà delle grafiche realizzate per i Sex Pistols, morto lo scorso 8 agosto a Liverpool, all’età di 76 anni.
L’arte di Jamie Reid
Nato a Londra nel 1947, Jamie Reid ha mosso i primi passi nel mondo dell’arte frequentando il Croydon School of Art, istituto che ha poi abbandonato per dedicarsi all’editoria indipendente con il progetto di matrice anarchica Suburban Press. Un’esperienza che, sin da subito, ha gettato le basi per quello che caratterizzerà non solo il suo stile ma addirittura quello di un preciso movimento sociale, culturale e musicale: il punk. Fortemente influenzato tanto dai situazionisti quanto da avanguardie artistiche come il Futurismo e il Dadaismo (si pensi ai collage di Hannah Höch e Raoul Hausmann, o all’utilizzo delle pagine dei giornali nelle opere di Marinetti, Carlo Carrà e Kurt Schwitters), Reid ha dato forma a un vero e proprio linguaggio destinato a rivoluzionare l’universo della comunicazione visiva. A rendere accattivante e trasgressivo il suo approccio DIY è infatti l’essenzialità: immagini simboliche rese scarne e “sporche”, altamente contrastate da “effetto fotocopia”, applicate su sfondi sgargianti e accompagnate da caratteri tipografici di forme e dimensioni differenti che ricordano le famigerate lettere anonime fatte con i ritagli delle riviste. Ed è proprio questo risultato così minimale e diretto ad aver convinto Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols nonché compagno di studi dello stesso Reid, ad affidargli l’identità visiva della storica band inglese.
Jamie Reid e i Sex Pistols
Ad inaugurare questo fortunato sodalizio è stata la realizzazione della celebre copertina del primo e unico disco dei Sex Pistols, Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols – del 1977 – e i rispettivi singoli Anarchy in the UK e God Save the Queen, dove il volto della Regina Elisabetta e la bandiera dell’Inghilterra vengono dissacrate con strappi e spille da balia. Successivamente, Jamie Reid ha poi prodotto anche la grafica della colonna sonora di The Great Rock ‘n’ Roll Swindle, il mockumentary diretto nel 1980 da Julien Temple e dedicato interamente all’ascesa e al declino di Johnny Rotten e soci. Oltre ai Sex Pistols, Jamie Reid ha collaborato anche con il gruppo world fusion Afro Celt Sound System, con l’artista Shepard Fairey (meglio noto come Obey) e, nel 2021, addirittura con il marchio di abbigliamento Supreme. Esposto in importanti istituzioni museali come la Tate modern Gallery, il Victoria & Albert Museum e il Museum of Modern Art di New York, il lavoro di Jamie Reid sarà sempre portatore di un’eredità culturale che affonda le radici in un modo di fare comunicazione, artigianale e sperimentale, completamente diverso dal quale siamo ormai abituati.
Valerio Veneruso
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