130 anni di caffè e di design. La mostra dedicata al marchio Hausbrandt
Dagli artisti alle agenzie pubblicitarie: Hausbrandt fin dai suoi esordi si è affidata alla pubblicità per promuovere il suo caffè tostato, coinvolgendo grandi nomi. A Trieste, al Salone degli Incanti, si ripercorre l’evoluzione della grafica e si delinea il contesto della grande impresa del caffè
C’era una volta la massaia triestina che comprava i chicchi di caffè verde e li tostava a casa, dopo averne scrupolosamente verificato la qualità. Poi, nella città che rappresentava il porto dell’Impero austro-ungarico, sul finire dell’Ottocento Hermann Hausbrandt ebbe un’idea di quelle buone e cominciò a vendere il caffè già tostato: un’innovazione che al principio non venne accolta con grande entusiasmo… mancava infatti un “ingrediente” oggi considerato fondamentale per lanciare un nuovo prodotto: la comunicazione.
Hausbrandt: manifesti, loghi e tazzine
Si affacciavano proprio in quegli anni gli antenati della “pubblicità” e per disegnare i manifesti venivano convocati artisti di primo piano. La scelta di Hausbrandt cadde su Leopoldo Metlicovitz, che oggi è uno dei protagonisti della mostra Hausbrandt e Trieste in corso al Salone degli Incanti. Negli anni Venti l’artista disegnò alcune locandine, peraltro variando gli stili e utilizzando sia un lettering più tradizionale sia dei font moderni per quell’epoca. Ma la “chicca” della mostra è la sua serie di bozzetti destinati a formare, in scala maggiore, a una lunga insegna per Casa Hausbrandt: i dieci disegni raffigurano omini e donnine stilizzati, inseriti in una struttura architettonica ad archi (come le “barchesse” delle ville venete) e i cui abiti formano il nome della società.
Il fondale venne usato in una fiera campionaria e in alcuni locali dove si serviva il caffè, ma lasciò poche tracce nella grafica degli anni a venire, che fu invece profondamente segnata da Luciano Biban. A lui si deve l’invenzione del logotipo di Hausbrandt, usato ancora oggi pur con rivisitazioni che vengono illustrate puntualmente nell’esposizione. Biban creò la moka umanizzata che beve un caffè e dalla tazzina si sprigiona il claim “Che piacere… un buon caffè”: il successo fu assicurato e da allora l’immagine venne adottata su tutti i materiali pubblicitari, compresi vassoi, tazzine, barattoli. Assai interessanti anche i bozzetti degli anni Trenta prodotti da una non meglio identificata “Premiata Agenzia Pubblicitaria” che riprendono puntualmente alcune locandine di Fortunato Depero: roba da plagio, insomma, ma assai divertenti anche per le frasi in rima baciata sul retro.
Attualmente il gruppo Hausbrandt è nelle mani di Martino Zanetti: negli anni Ottanta del secolo scorso il cambio di proprietà ha comportato una nuova scelta di colori, il rosso e l’oro, e una semplificazione formale, pensata da Robilant e Associati, della simpatica cuccuma. E un’ulteriore sintesi caratterizza l’odierno logo, frutto dell’agenzia austriaca Demmer Merliceck & Bergmann. Lo stesso Zanetti, che è anche pittore astratto, è intervenuto nella grafica commerciale della sua azienda: sue alcune tazzine, allestimenti di bar, il logo per i 130 anni di Hausbrandt.
Trieste, città del caffè
Non tutti sanno che Trieste è la “città del caffè”: i celebri chicchi venivano e vengono tuttora lavorati, tostati, macinati, serviti in locali storici, alcuni dei quali ancora esistenti. E Hausbrandt è ovviamente una, ma non la sola, azienda leader del settore. Una sezione della mostra illustra il rapporto tra la società e il passato glorioso del capoluogo giuliano grazie a una bella selezione di foto storiche. Infine, il focus si sposta sulle provenienze dei chicchi, evocate grazie ai sacchi di iuta, e sulle tecniche per preparare un buon “nero”, come si dice a Trieste: un’ingombrante tostatrice del 1859 si affianca alle macchine manuali degli anni Cinquanta, e poi alle celebri Gaggia e alle attrezzature dal design avanguardistico.
Marta Santacatterina
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