La guerra, il design e le opere. I rischi del non sapersi porre le domande giuste
I contenuti confezionati, instagrammabili, tutta estetica e poco pratici hanno una attitudine non umanistica e sono frutto di un malfunzionamento generalizzato. Il quale, in larga scala e ragionando per iperbole, può portare ad un più ampio conflitto
Da qualche tempo, mi sono accorto dei difetti strutturali che riguardano alcuni oggetti prodotti oggi – per esempio, alcuni elettrodomestici per bambini molto piccoli. All’inizio pensavo onestamente che fosse colpa del mio proverbiale cattivo rapporto con la tecnologia in generale. Ma poi, dato che non ero l’unico a notare questo fenomeno, ho cominciato a capire che il difetto risiede proprio nel modo in cui queste ‘cose’ sono state concepite, progettate e realizzate.
Il design, tra estetica e funzionalità
L’aspetto più evidente, e anche più sconcertante, è che i designer hanno dedicato una grande attenzione all’apparenza, all’esteriorità degli oggetti, al look, a come si presentano; una cura molto molto minore ha riguardato invece il modo, o i modi, in cui essi funzionano. O non funzionano. Sportellini che non si aprono, rotelle che non girano, tappi dalla chiusura incomprensibile, spie che si accendono quando non devono e allarmi che suonano a sproposito sono solo alcuni esempi di questo malfunzionamento generalizzato.
E questo in una zona di prodotti che, in teoria, dovrebbero essere ancora più intuitivi e facili da usare rispetto a tutti gli altri… Sembra invece che quasi tutti questi oggetti siano stati realizzati da qualcuno che era estremamente preoccupato di come sarebbero apparsi sullo scaffale del negozio o di casa, e molto meno – o per niente – di come sarebbero stati usati. (E non porsi il problema dell’uso per un designer mi pare un problema gigantesco a livello creativo, oltre che di dignità personale; un po’ come per quelle pubblicità televisive in cui non si capisce neanche quale sia il prodotto pubblicizzato.)
A che serve questo discorso, oltre ovviamente a regalarmi il dubbio piacere di lamentarmi in pubblico? Serve, forse, se come al solito proviamo ad allargare lo sguardo. I difetti di progettazione attuali, ci accorgiamo allora, non riguardano solo i dispositivi per i neonati, ma anche le opere d’arte.
Incanti, il settimanale sul mercato dell'arte Informazioni, numeri, tendenze, strategie, investimenti, gallerie e molto altro.
Render, il bisettimanale sulla rigenerazione urbana Nuovi progetti, tendenze, strategie virtuose, storie da tutto il mondo, interviste e molto altro.
Opere e oggetti di design instagrammabili
Anche queste, infatti, si sono progressivamente concentrate sul loro aspetto esteriore (instagrammabile, direbbero molti). Con il risultato che ciò che la maggioranza degli spettatori chiede, in un certo senso, ad un’opera è qualcosa che probabilmente fino a poco tempo fa sarebbe risultato quanto meno strano.
La “richiesta” è il frutto di una singolare distorsione: l’opera non è infatti un’immagine pubblicitaria o, appunto, un oggetto di design. Oppure sì? Fatto sta che, come mi sembra, possiamo rintracciare una certa rozzezza nel tipo di domande che in generale rivolgiamo ad un’opera – e ancor più nel tipo di risposte che esigiamo da essa. Questa rozzezza consiste in un appiattimento, in una certa monodimensionalità.
Non è in fondo un ragionamento così lontano rispetto a quello che da anni sta portando avanti Martin Scorsese, insieme ad altri autori, sul cinema contemporaneo attraverso il concetto di “contenuto confezionato” (manufactured content). Del resto, come spesso sottolineiamo su queste pagine, è evidente che in molti oggi stanno conducendo le medesime riflessioni nei vari territori culturali, e che gli stessi problemi riguardano e attraversano praticamente tutti i linguaggi.
Persino la dimensione del presente che rischia di essere quella più pervasiva, più caratteristica del nostro tempo, quella che influenza l’intero contesto ma che, soprattutto nell’arte contemporanea, non viene quasi mai nominata se non in chiave retorica – vale a dire, la guerra – non è molto distante dal nostro ragionamento.
L’arte contro la guerra
Da che cosa nasce infatti la guerra, se non dal non sapere porre le domande giuste, dalla profondissima disabitudine all’immedesimazione nell’altro, per abbandonarsi invece con pigrizia al vizio delle tifoserie contrapposte, che esclude per definizione ogni riflessione critica e ogni analisi articolata?
La guerra, in fondo, è il difetto di progettazione più devastante che una civiltà possa produrre. E un’arte migliore (migliore: non più efficiente) è una delle poche cose in grado di correggerlo.
Christian Caliandro
Gli episodi precedenti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati
Lettera, la newsletter quotidiana Non perdetevi il meglio di Artribune! Ricevi ogni giorno un'e-mail con gli articoli del giorno e partecipa alla discussione sul mondo dell'arte.
Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…