Il collezionismo secondo Gianni e Giuseppe Garrera. Dai libri all’arte contemporanea

L’arte di disobbedienza e di lotta poetica, con particolare interesse per gli artisti italiani degli Anni ’60 e ’70, è fulcro del collezionismo dei fratelli Garrera. Abbiamo chiesto loro come si diventa collezionisti

Uno, Gianni, è filologo musicale e traduttore (ha curato le opere estetiche di Kierkegaard per i ‘Classici del Pensiero’ BUR), drammaturgo nel teatro Stabile di Catania e docente di Drammaturgia all’Accademia di Mimodramma di Napoli; l’altro, Giuseppe, è musicologo e storico dell’arte. Entrambi sono collezionisti appassionati. E proprio di collezionismo, nelle sue diverse incarnazioni, abbiamo parlato con i fratelli Garrera, in occasione della mostra La vita è un’altra cosa, che alla Fondazione La Rocca di Pescara ha portato un nucleo della collezione Garrera legato a un’idea dell’arte come lotta poetica. 

La vita è un'altra cosa. Una selezione dalla Collezione di Gianni e Giuseppe Garrera, installation view at Fondazione La Rocca, Pescara, 2023
La vita è un’altra cosa. Una selezione dalla Collezione di Gianni e Giuseppe Garrera, installation view at Fondazione La Rocca, Pescara, 2023

Intervista a Gianni e Giuseppe Garrera

Com’è iniziata la vostra avventura collezionistica?
Con l’arrivo a Roma, già dai primi girovagare per la città, nell’impatto obbligato con i ruderi antichi, e dopo con la scoperta spiazzante, meno evidente, dei ruderi che anche la modernità produce e spande. I primi beni posseduti furono delle acqueforti di Piranesi che procedevano da un fallimento di beni: in un momento si concentrarono l’arte del fascino delle rovine, la dispersione delle eredità, l’avventura economica (la cifra di un’opera d’arte è sempre nell’ordine fantastico perché esula dagli ordinari criteri di spesa), l’assoluta superfluità e nobiltà dell’oggetto: tutto ciò ha prodotto il segno di riconoscimento della conquista di una terra attraverso un bottino, perciò una modalità comunque imperialista. A Roma è un attimo che si cominci a girare per gallerie, antiquari, robivecchi e atelier e a sognare di trasfigurare con cose, oggetti e materiali lo scorrere consueto dei giorni, nella certezza che prima o poi si incapperà in un oggetto fatato. 

Quali traiettorie ha seguito il vostro collezionismo nel corso del tempo?
È nato all’inizio da un vizio della giovinezza: i libri e la lettura (cioè molte giornate passate ingiustificatamente, in mezzo alla vita, a leggere); il desiderio infantile di accumulare e possedere una grande biblioteca si è presto corrotto a contatto con le copertine rare, i primi libri di valore e speciali e d’artista acquistati, fino a divenire inseguimento di materie e idoli (all’inizio ancora carte) e colori, ori, smalti e azzurriti (diremmo sempre più azzurro e oro).Fu proprio un cambio di postura a sancire un’evoluzione estetica: dal libro tenuto in mano e letto avidamente negli anni dell’adolescenza e della giovinezza al libro innalzato come un’ostensione. Ci era subito parso chiaro che l’opera d’arte che impiegava in sé la parola, e che noi avevamo cominciato a conoscere, fosse un’appendice dell’arte dell’eloquenza. Ci si trovò davanti a una serie di lavori che cominciammo a collezionare perché avevano in comune la rappresentazione della parola, l’apparenza grammaticale, la comunione della bellezza logica e grafica delle proposizioni, dei giudizi e delle definizioni. Ci interessava l’aspetto tipografico della persuasione, i fenomeni mentali che divengono segni visibili, la scrittura artefatta della poesia concreta. Fu una trasfigurazione della nostra biblioteca adolescenziale.

La collezione d’arte dei fratelli Garrera

La vostra collezione di arte moderna e contemporanea si caratterizza per una certa libertà in termini di cronologia, media, temi, artisti. Vi sono tuttavia alcuni assi portanti legati, ad esempio, a movimenti come la poesia visiva o ambiti come quello femminista nonché a determinati artisti (come Mirella Bentivoglio, Joseph Beuys, Matteo Fato, Luca Vitone). Come si è determinato l’interesse nei confronti di questi nuclei collezionistici? 
Nel primo caso, soprattutto il femminismo, e all’interno l’amicizia con Mirella Bentivoglio e l’acquisto di tutto il possibile della sua attività, si lega ad ammirazioni speciali e a pensieri di rivolta (per Mirella Bentivoglio l’arte istituzionale, dispendiosa, museale attesta la stortura irrimediabile del patriarcato e di una civiltà maschile). Sono stati quindi alfabeti e abbecedari al femminile, materiali casalinghi, certa repellenza al Mercato e alle valutazioni, e alla dimensione dell’opera, a sale personali, allestimenti, cataloghi monografici, listini, esibizionismo di quadri. 
Ma nell’interesse per forme così radicali di guerriglia poetica, come tutta la poesia visiva, c’è la memoria della nostra personale storia familiare, e d’Italia: genitori emigrati al Nord, operai alla Fiat, l’orrore della fabbrica, l’indottrinamento pubblicitario, e il loro destino, senza scampo, di consumatori felici, seduti tutte le sere davanti al televisore. La poesia visiva è una rabbia permanente contro le lingue del potere e della persuasione.

In che modo il collezionismo è legato alla vostra dimensione intellettuale – nel caso di Gianni relativa alla filologia musicale e la traduzione teatrale; in quello di Giuseppe, musicologia e storia dell’arte? 
Con la fine della giovinezza già la scrittura ha sostituto la parola orale e le conversazioni, i dialoghi fino a notte fonda, l’esercizio intellettuale dell’amicizia giovanile. L’opera d’arte poi diviene addirittura un monologo. Il collezionismo è un preoccuparsi di ciò che si ha e comporta una revoca della giovanile rottura con la tradizione. Ma il collezionismo è legato solo superficialmente alla dimensione intellettuale, solo per dare alla collezione un tono, una dignità, una giustificazione; più passano gli anni e più ci si accorge che si colleziona per ordinare e allestire altari, mausolei, archi di trionfo, corone, splendori, vanti e vanità, cioè che il collezionismo appartiene allegoricamente a una fonte volgare che consiste nell’arraffare, nel bottino, nella spoliazione, nell’incetta, nell’avere di più (i soggetti depredati con febbre sono il tempo, i giorni, la vita, e si prende da tutto il proprio passato, e caso mai la dimensione intellettuale serve a essere più zelanti): l’orizzonte finale è ergersi un po’ assurdamente, in mezzo agli amici e ai propri familiari perplessi e attoniti, come principi, faraoni e reggitori di non si sa bene che regno (spesso il risultato finale all’occhio profano è un cumulo incomprensibile di macerie custodite e ammassate).

La vita è un'altra cosa. Una selezione dalla Collezione di Gianni e Giuseppe Garrera, installation view at Fondazione La Rocca, Pescara, 2023
La vita è un’altra cosa. Una selezione dalla Collezione di Gianni e Giuseppe Garrera, installation view at Fondazione La Rocca, Pescara, 2023

In occasione della mostra a Pescara viene presentata una selezione di diversi materiali dalla vostra collezione raccolti intorno a una nozione di arte come lotta poetica, bisogno di libertà, disobbedienza, intervento sociale e partecipazione. Come si è generata l’attenzione nei confronti di questi temi e come ha risposto la vostra strategia collezionistica?
Questo tipo specifico di ricerca si è generata in primo luogo come disagio sociale, e cioè un imbarazzo verso le gallerie d’arte, con il disprezzo che nasce per ambienti danarosi e con una certa supponenza economica, e dove il discrimine è di ceto e di valuta, e con dunque, inevitabilmente, una vergogna politica. Quasi tutte le ricerche di lotta poetica più radicali hanno tale segno inequivocabile distintivo: sono gratuite, cioè operano in primo luogo un rovesciamento dell’economia fino al culto del dono. Queste opere sono le più difficili da trovare perché sono state date gratis e si sono disperse, hanno trovato il mercato disattento, non complice, sono state capaci di appartenere alla perdita e alla dispersione: povere, non riconoscibili (il più delle volte  semplicemente perché non avevano la cornice, o si sceglievano materiali miseri e cioè anche fuori dal confort dell’atelier), sono opere soggette a perdita perché operano in mezzo alla gente e sulla strada, fuori dalle mura rassicuranti di museo o galleria, rinunciano al prestigio del valore di mercato, entrano a far parte della leggenda e, da parte del collezionista, richiedono operazioni di attenzione e accudimento. Già il loro statuto iniziale è un atto politico, un sogno di comunità sociale: sono state una cosa che non costava (aderiscono alla prima regola dell’economia del paradiso: “prendete gratis”).

Simone Ciglia

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Simone Ciglia

Simone Ciglia

Simone Ciglia (Pescara, 1982) è Career Instructor presso la University of Oregon. Le sue aree di ricerca si concentrano sugli spazi marginali nelle pratiche artistiche contemporanee, all’intersezione di ambiti quali l'agricoltura, l'artigianato e gli impulsi utopici / distopici. Lavora come…

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