Affamati di fama. Fenomenologia dei Grandi Artisti Incompresi
Essere un grande artista è difficile. Se poi si è anche incompreso si delineano due strade: la rassegnazione è una e la speranza è l’altra
Il mondo dell’Arte è come il gioco del Monopoli, se non ti danno i soldi puoi solo guardare ma non giocare. Esistono due tipi di G.A.I. No! non parlo dei “Giovani Artisti Italiani”, di questi ultimamente se ne parla fin troppo, ma alla fine è sempre la solita pastina. Parlo, bensì, del mio G.A.I. – “Grandi Artisti Incompresi”.
Il primo tipo di Grande Artista Incompreso
Ci sono quelli che ambiscono al successo e senza il quale non riescono a vivere, o vivono male. Questo genere di “grande artista” se soffre di depressione può arrivare fino al suicidio. Un esempio per tutti, Luigi Tenco. Lui pur essendo un grande cantautore, poeta e compositore, quando questo non gli veniva riconosciuto cadeva facilmente nello sconforto più profondo e non riusciva a trovare la forza mentale per reagire. A lui non importava sapere che questo spesso accadeva a molti artisti in diversi ambiti e discipline, non gli interessava sapere che era accaduto in passato a moltissimi intellettuali e scienziati di ogni sorta. Tenco attribuiva al riconoscimento altrui un’importanza esagerata, che era, probabilmente, superiore all’apprezzamento di sé stesso per le proprie capacità creative. Non si accontentava di creare opere che solo in seguito sarebbero state capite, lui viveva il presente come unica e sola imprescindibile soluzione, e forse aveva ragione. Ma si sa che subordinare l’importanza di quello che si fa, sempre e solo al giudizio degli altri, non aiuta di certo a credere fino in fondo in quello che si è, e si sta facendo.
Per questo capita che personaggi di immensa intelligenza, se fragili e deboli, cadano facilmente nel baratro. Non essere supportati da altrettanta forza di pensiero, che contrasti e combatta i cattivi pensieri, logora dentro il loro io, portando questi artisti, il più delle volte, sul punto di smettere o interrompere la loro attività. Quando non arrivano addirittura al gesto estremo che li spinge a troncare quello che per loro è diventato solo un crudele gioco che gli rende la vita insopportabile. Un atteggiamento che si potrebbe definire infantile, anzi è sicuramente infantile, perché sarà pur vero che si vive per gli altri, ma non si può vivere solo per gli altri: credo che ognuno di noi debba trovare una centralità che ci permetta di essere noi stessi, e vivere quello che si è, senza troppe aspettative, specialmente se questo diventa malatamente imprescindibile per una sana e tranquilla esistenza. Non si può pretendere di piacere ed essere capiti dal mondo intero; è invece vero che è proprio l’incomprensione, il più delle volte, il destino di coloro che con la loro genialità precorrono i tempi. Cercare sempre e sistematicamente l’approvazione degli altri produce una sorta di affamamento di fama che diventa controproducente. Questo perché i GAI sono sì fuori di testa e fuori dal coro, ma diversi da loro, è così che cantano i Maneskin.
Il secondo tipo di Grande Artista Incompreso
C’è poi il secondo tipo di Grande Artista Incompreso: quello che pur non vedendosi riconosciuti tutti i meriti che gli spetterebbero, finanche un giusto successo al quale anche lui ambirebbe, non soffre di grossa depressione ma è consapevole che quello che gli accade è nell’ordine delle cose. Trova così la forza di vivere, e godersi al meglio tutto ciò che di buono consegue e ottiene con le sue speciali capacità creative. E qui, volendo per coerenza rimanere nell’ambito musicale, si potrebbe fare l’esempio di Ivano Fossati. Anche lui un grande cantautore, poeta e musicista, che pur godendo del seguito di molti esperti estimatori, a suo stesso dire soffre di amarezza per non essere mai riuscito a raggiungere quel successo di pubblico, e anche commerciale, che hanno invece avuto (quasi inspiegabilmente, aggiungo io) altri cantanti del passato con capacità certamente inferiori alle sue. Questa categoria di GAI, non demorde, e sceglie di sopravvivere dando vita, sostanza e forma ad un enorme e prezioso lascito di opere che molto probabilmente verrà apprezzato, compreso e valorizzato a pieno, solo in seguito. Molto spesso questo accade dopo la morte di questi GAI, e cioè quando ciò che di loro dava più fastidio sparisce, agli occhi e alle orecchie di coloro che le giuste gratificazioni, chi sa per quale motivo, non hanno mai voluto riconoscergli e conferirgli fino in fondo.
Questi artisti continuano nella loro opera, accumulando un prezioso lascito per coloro che in futuro avranno la lungimiranza di apprezzare e adoperare tutto ciò che hanno fatto. Questo perché hanno dentro di sé quello che pure io sento in me: una voce che fa sorgere una necessità alla quale non riesci a sottrarti, nonostante sai bene che stai realizzando una tale quantità di opere che probabilmente, ma più verosimilmente difficilmente verrà mai esposta, tanto meno venduta. Credo sia una sorta di quella che si chiama “Sindrome della formica”, un istinto irresistibile che ti porta a fare fino in fondo quello che fai, e ritieni di fare bene. Questo perché diversamente non potresti fare. Hai la forte percezione come fosse un obbligo al quale il destino ti ha assegnato, e non puoi cercare di evitarlo, un compito che ti è stato conferito e al quale non puoi scampare. Scoprì così di avere in te una forza di volontà più grande di quella che credevi di avere, e che non sapevi di possedere, e non sai bene neanche da dove provenga. È per questo motivo che mi ritrovo sempre più con una quantità di opere e documentazione artistica sparsa qui e lì, riempiendo più stanze ed ambienti per il Centro Italia. Materiale che spero un giorno possa uscire alla luce del sole ed essere apprezzato o disprezzato, ma comunque in qualche modo valutato da futuri fruitori che ne potranno decretare il destino.
La riflessione di Pino Boresta
Ho maturato questo tipo di riflessione durante il mio soggiorno in Svizzera per la fiera di Art Basel, a cui non ero mai stato, e forse, visto il contesto, non è un caso che tale pensiero mi sia sorto proprio in quel frangente. Una meditazione, che in anteprima, ho pure sciorinato a un caro e noto collega che inaspettatamente ho incontrato alla fiera; a seguito della sua annotazione sul fatto che ci trovassimo in un contesto all’interno del quale noi eravamo dei corpi avulsi, così come lo era il nostro lavoro d’artisti, differente da quello degli artisti lì esposti. La mia risposta è stata che se non ci fossero artisti con opere come quelle dello stand di fronte al quale eravamo seduti, molto probabilmente, non esisteremmo neanche noi, e un giorno anche lui (o forse è già così) si potrebbe trovare da quella parte della barricata. Questo perché, spesso accade che la storia dei grandi artisti incompresi ricalchi quella della favola del brutto anatroccolo, il quale però, il più delle volte, fa la fine del cigno della famosa danza. Uno per tutti, Bas Jan Ader.
Pino Boresta
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