Anche le interviste sono critica d’arte (basta farle bene!)
Una buona intervista non è assolutamente un genere acritico. E un buon intervistatore non è un presentatore, né un valletto. Tutt’altro. Ecco qualche esempio di interviste che hanno cambiato il pensiero sull’arte
Tornando sul discorso della critica d’arte. Più volte nel mentre degli scambi e dei botta e risposta intercorsi sul tema dopo un primo intervento di Gian Maria Tosatti su Il Sole 24 Ore si è fatto riferimento al formato dell’intervista, sottolineandone la acriticità e indicandolo quasi come la negazione della critica stessa, contrariamente alla recensione (che però per essere tale pare debba essere negativa).
Soprattutto, in una intervista radiofonica sulla Radio Svizzera Italiana lo storico dell’arte Michele Dantini avrebbe definito, proprio in virtù di ciò, l’intervista come l’atto passivo di “un Pippo Baudo che passa il microfono”.
Le interviste che hanno cambiato la storia
Ammesso che Baudo abbia mai veramente passato un microfono in vita sua, mi corre però l’obbligo di fare una precisazione. Una buona intervista non è assolutamente un genere acritico. E un buon intervistatore non è un presentatore, né un valletto. Tutt’altro.
Le buone interviste hanno avuto nella storia il ruolo di far crollare gli imperi, di mettere in difficoltà i potenti, di costruire delle storie per l’avvenire. Qualche esempio tra i più banali. Non si può dimenticare (tanto che un film nel 2008 ne ha ripreso la storia) la famosa intervista tra David Frost e Richard Nixon, ad esempio. O quelle di Enzo Biagi a Silvio Berlusconi (1986) e Tommaso Buscetta (nel 1988).
Solo in ambito culturale, pochi mesi fa veniva a mancare in Italia un grande giornalista famoso per le sue interviste, Gianni Minà. La capacità che Minà ha avuto di portare all’opinione pubblica le voci di personaggi anche controversi, tra i quali Diego Armando Maradona e Fidel Castro, facendoli sbottonare come se fossero in una seduta dallo psicologo non mi sembra derubricabile all’atto di “passare il microfono”. E, infine, per concludere questa carrellata con un fenomeno di costume, che in realtà è però tutta politica, tanto da condizionare le sorti della Corona Britannica ancora oggi, le famose rivelazioni di Lady Diana alla BBC nel 1995: la principessa definì in questo contesto il suo matrimonio con l’allora Principe del Galles, troppo affollato.
Le interviste nella storia dell’arte
Dantini fa spesso riferimento nel suo discorso critico alla figura di Carla Lonzi, ma occorre ricordare che uno dei libri più noti e apprezzati, e sicuramente tra quelli che maggiormente stanno influenzando oggi il discorso storico artistico in Italia (e non solo) è Autoritratto che, tuttavia, è un grande libro di interviste, nel quale la voce di chi le conduce si smaterializza. Come scrive Valeria Venditti su Doppiozero: “al contempo, la critica d’arte (persona e opera di mediazione) non scompare: è la sua presenza a garantire la diffusione di queste voci. Lonzi è in quel lavoro il soggetto-prisma che incamera la luce e, attraverso l’operazione di montaggio di parole e immagini, la diffrange”.
Sempre Dantini cita il curatore e direttore artistico della Serpentine Gallery Hans-Ulrich Obrist, il quale dell’intervista ha fatto proprio un genere tutto suo, facendo anche riscoprire autori che pur portando avanti la propria ricerca con serietà ed autorevolezza, non avevano ancora avuto il giusto riconoscimento. Il suo libro Interviews, pubblicato nel 2003 da Charta, con una foliazione di 500 pagine e tutto l’allure di quello che poi si è rivelato un progetto in pieno svolgimento, mai concluso, rappresenta non solo una importante mappatura dell’arte contemporanea nel mondo, ma anche tutta l’essenza del discorso artistico, personale e anche umano dello stesso Obrist che qualcuno, infatti, ha definito il curatore che non dorme mai. Indimenticabile è anche il lavoro di Robert Storr, non proprio una personalità fragile e sicuramente come si direbbe oggi uno che non la manda a dire, che con il suo volume di trenta interviste pubblicato in Italia da Il Saggiatore, ha regalato alcune delle pagine più importanti e significative della storia dell’arte. Andando più indietro nel tempo, fanno scuola le nove interviste di David Sylvester a Francis Bacon (1962-1986) che offrono chiavi di lettura e di riflessione sul pensiero contemporaneo, ma anche un ritratto ben preciso dell’artista e dell’uomo.
Ingredienti per una buona intervista
Cosa fa dunque di una intervista una buona intervista? Sembrerebbe scontato, ma l’attenzione che si è data a questo genere, un po’ bistrattandolo, ci offre l’occasione e ci pone il dovere di ripeterlo.
Innanzitutto, la storia che ha da raccontare. E poi la chimica, o la tenzone che si crea tra i soggetti dialoganti. È una danza che richiede una fondamentale componente umana e una capacità di provare empatia con il soggetto del dialogo, sia che si voglia portarlo ad aprirsi, sia che invece s’intenda tirare qualche stoccata. Richiede la sospensione del giudizio e comunque il rispetto per chi sta parlando, la capacità di mettersi in ascolto e allo stesso tempo di intervenire per deviare il discorso e portarlo da un’altra parte. Più che un presentatore, un buon intervistatore è un regista ed è un consigliere fraudolento. Ti porta dove vuole lui o lei, e lo fa lasciandoti credere che sia tu a condurre il gioco. Ti fa dire cose che magari non avevi proprio in programma di dire. Ed è per questo che sempre più spesso le persone chiedono (e si spera non vengano esaudite) di poter rivedere le proprie interviste prima della pubblicazione. Perché l’intervista – non proprio un atto passivo – è un genere che ancora fa molta paura. Proprio come la buona critica d’arte.
Santa Nastro
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