Il cinema di carta di Giancarlo Berardi in mostra a Città di Castello
Sceneggiatore genovese tra i più importanti della sua generazione e firma nobile del fumetto italiano, Berardi è noto per aver creato il personaggio di Ken Parker, ispirandosi a Robert Redford
Giancarlo Berardi (Genova, 1949) è un creatore di fumetti che al fumetto ha dato un nuovo statuto, trasformandolo in graphic novel ogni mese in edicola, creando un “Dylan Dog” prima di Dylan Dog, rendendo la serie western un “paese per giovani”. La mostra Giancarlo Berardi. Un narratore tra le nuvole (fino al 29 ottobre 2023 a Città di Castello, Palazzo Facchinetti) riesce bene a illustrare questo “Big Bang”, un viaggio che lo sceneggiatore ha percorso a ogni latitudine fin dagli Anni Settanta, quando in USA non entra nello staff di Spider Man perché allergico ai supereroi, oppure quando vede le sorelle Giussani e Sergio Bonelli spalancare gli occhi di fronte ai suoi soggetti per Diabolik e Tex: storie troppo diverse dallo standard dei personaggi perché troppo realistiche, troppo “vive” per la carta, a tal punto che gli editori ne fanno albi fuori serie.
La carriera di Giancarlo Berardi
La penna di Berardi viaggia finalmente libera con Ken Parker, personaggio che crea con il disegnatore Ivo Milazzo e che esce nel luglio del 1977, nella disillusione degli anni di piombo e in piena era punk. Ken è un cacciatore di pelli con i tratti del Redford di Corvo Rosso non avrai il mio scalpo, film del 1972 che offriva una nuova visione dei nativi americani da parte di Hollywood. Ma soprattutto è un personaggio che cambia, ascolta, invecchia e che a volte può anche sbagliare.
Nella saga, edita in albi da edicola e riviste fino al 1998, con un’ultima avventura nel 2015, non c’è cavaliere solitario o “giustiziere”; nessuna linea netta divide gli uomini dagli eroi, ma un uomo con un “lungo fucile” (come lo soprannominano gli indiani) con un colpo solo, usato non per uccidere ma per procacciarsi cibo o difendersi, in mille incontri con l’altro: il nativo, il colpevole di colpe altrui, il saltimbanco, l’oppiomane, il militare ottuso, la schiava emancipata nell’animo, il pioniere alla ricerca di futuro soltanto sognato, a creare un’antologia di Spoon River dove i personaggi non parlano affatto dalle proprie tombe, ma da vignette che risuonano come mai prima nel fumetto italiano.
L’innovazione “cinematografica” di Berardi in mostra a Città di Castello
Nelle sceneggiature di Berardi i tempi della pagina sono un cinema di carta, una “nuova Hollywood” che trasforma la linearità d’azione classica in montaggio alternato, dissolvenze e narrazione sincopata, tra scene e luoghi diversi, anche diversissimi, ma in contrappunto apparente e altamente poetico.
I dialoghi sono scarni, anzi il silenzio diventa lo scenario perfetto per muovere gli acquerelli iconici di Milazzo (ma anche le tinte crepuscolari di Giorgio Trevisan); le didascalie scompaiono e con esse anche il baloon pensiero dalle nuvolette dei personaggi. Entra in scena la vita, con i suoi tempi e le sue pause, anche con i suoi fallimenti. In alcuni episodi il protagonista è solo spettatore oppure si palesa nelle ultime pagine. In altre la sua vicenda si incrocia con i fatti della storia e ci mostra come questa sia spesso fatta dagli “ultimi”.
Ma c’è anche il sorriso e un’ironia che rimescola le tinte dell’eroe tutto di un pezzo, che dopo Ken Parker non sarà più lo stesso, e che si respira oggi in Julia, criminologa contemporanea con i tratti di Audrey Hepburn, che gli ha dato il cambio nel 1998 e che è giunta al numero trecento, con gli stessi ideali del “fratello” maggiore.
Giuseppe Sterparelli
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