120 pittori per capire dove va la pittura italiana. La mostra alla Triennale di Milano
Molti giovani artisti, la nostalgia del passato, nel ricordo di Mario Sironi, l’occhio al futuro. Ecco com’è la mostra Pittura Italiana Oggi
Dentro la mostra Pittura Italiana Oggi si nascondono tante mostre. I 120 pittori (le opere sono un po’ di più) possono essere ricombinati e riallestiti infinite volte raccontando storie e versioni diverse della pittura italiana contemporanea. Artisti e artiste, nati tra il 1960 e il 2001 presentano una selezione di opere recenti realizzate tra il 2020 e il 2023 per cercare di raccontare una fotografia di ciò che i pittori reputano necessario rappresentare nell’epoca che abitiamo. Un lasso di tempo scelto che è “lungo e brevissimo nel percepito” come suggerisce il curatore Damiano Gullì e che ci ha visti attori di uno “schizofrenico ininterrotto flusso di eventi e informazioni”. In questa finestra temporale gli artisti ci hanno mostrato come la pittura sia ascolto del mondo, sia esso lo zeitgeist di un’epoca o l’universo interno e immutabile delle cose intime. L’allestimento, progettato da Studio Italo Rota, permette di predisporre le opere secondo un “dinamico gioco combinatorio” suggerendo solamente alcune delle infinte ricombinazioni che questa mostra può rappresentare, ma lasciando al visitatore la libertà di muoversi agilmente tra i moduli allestitivi in cerca della propria chiave di lettura per questa contemporaneità.
La mostra di pittura a cura di Mario Sironi
La prima impressione che viene suggerita dall’allestimento delle è che la pittura non deve essere necessariamente bidimensionale, mostrando una soluzione antica ma inedita alla saturazione dell’immagine a cui siamo sottoposti in questa epoca. Molte opere infatti diventano scultoree. Bosetto, Bonafini, Piermattei, Frigo, Visentin e Kvas, richiamano il concetto di pittura murale esplorata con quattro grandi mostre proprio in Triennale a partire dal 1933, anno della mostra Pittura murale e scultura decorativa a cura di Mario Sironi. Alcune delle opere della generazione nata prima degli Anni ‘80 si distaccano dal flusso incessante di dipinti che si accavallano in mostra grazie alla loro capacità di costruire un senso di mistero e stupore negli occhi del visitatore. Artisti come Manuele Cerutti, Pierpaolo Curti, Oscar Giaconia, Pierluigi Pusole, Andrea Respino e Pietro Roccasalva sono di grande stimolo per la generazione successiva di pittori mostrando l’intensità e la potenza che si riesce a produrre negli anni con il rigore nella pratica e la costanza della disciplina.
I giovani artisti in mostra alla Triennale di Milano
Tra le molteplici mostre che possono essere costruite nell’immaginario del visitatore che ripercorre più e più volte il grande corridoio espositivo semicircolare del primo piano della Triennale, c’è un orizzonte che appare se si decide di seguire quel filo rosso che collega le opere degli artisti che vivono l’oggi come un’anticipazione del futuro piuttosto che come il ricordo del passato. Sono infatti 65 su 120 gli artisti in mostra nati dopo gli Anni ‘80: si tratta di quei pittori che non superano i 45 anni, in ascolto del presente con la necessità di dovergli dare un senso in grado di reggere le sfide che dovranno affrontare nei prossimi anni. Da questo orizzonte sotterraneo, se raffiguriamo ogni dipinto come una finestra affacciata sullo stesso panorama visto da inclinazioni differenti, emergono chiaramente alcuni tratti inquietanti e allo stesso tempo lirici.
Pittura Italiana Oggi: la solitudine del pittore
La sensazione più invadente è la desolazione, la solitudine che attraversa molte delle opere di cui nessuna tra le 65 in questione contiene più di 5 figure umane al loro interno. Le opere di Maramotti, Portadino e Tonoli mostrano una condizione in cui spesso l’essere umano scompare, dove i paesaggi privi della nostra presenza diventano astratti e sublimi: a volte post-apocalittici a volte metafisici. Un senso di sollievo che la terra prova in assenza dell’uomo. Quella di Braida, del giovanissimo Pleuteri e di Cremonini è una natura sopraffatta che cerca di riconquistare il proprio equilibrio, ma appare ancora inquieta e inquinata da ciò che l’uomo ha prodotto. Il nostro apparire non è stato privo di tracce ma anzi ha modificato per sempre il paesaggio, creando cicatrici e solchi che il mondo non potrà rimarginare. Scompare l’uomo e con lui anche il divino, ma non il bisogno di connessione con l’oltre: una spiritualità che si fa primordiale e ancestrale come nella notevole opera di Alici, Bongiorni e Angelini. I pochi volti che appaiono sono privi di identità: confusi, nascosti o mascherati alludendo ad un paganesimo primitivo, simile a quello della civiltà delle origini che inventa i sacrifici per sollevarsi dal senso di colpa provato nei confronti del mondo, quando ci scoprivamo capaci di trasformarlo.
Pittura Italiana Oggi: la relazione tra opera e umano
Alcune delle opere risolvono questa inquietudine con fragili tentativi di ancoraggio: chi come Moretti trova un senso nell’intimità di un presente che si cerca di far perdurare eternamente, chi nei rapporti intimi e fluidi e chi nelle lotte identitarie come Emilio Gola, Iva Lulashi e Chiara Enzo. Altri come Perucchini e Mangoni si agganciano ad un passato fatto di tradizioni e memorie che si cerca di tenere in vita. Infine, in due delle opere di più forte impatto della mostra Rossetti e Pecoraro suggeriscono l’idea dell’essere umano demiurgo, che seppur tenta di cucire e sanare il mondo, lo fa nascondendosi da esso. Si cela da un mondo naturale estremamente desiderato ma oramai sottomesso e addomesticato e per questo imprevedibile. Questa solitudine e desolazione ruota attorno al senso di colpa provato dall’uomo, Banchelli e Spagnoli ci mostrano come sia meglio scomparire e migrare piuttosto che accettare su di sé il fardello della condizione esistenziale e semidivina di Homo Faber capace di trasformare il mondo in maniera oggi apparentemente irreversibile. Pittura Italiana Oggi anticipa il futuro raccontandoci ciò che le nuove generazioni di artisti sentono di questo presente: si tratta di una pittura principalmente figurativa, che raramente diventa, come nel caso di Politi e Martinucci, astratta solo quando nega o ricerca un centro che nel mondo delle forme si stenta a trovare. Una pittura che racconta della forza di una civiltà e di una modernità, nata secoli fa proprio in Italia, dove l’uomo soccombe alla sua stessa creazione, in un ciclo eterno di rigenerazione in cui facciamo ancora fatica ad immaginare come sarà l’apparire della prossima stagione.
Marco Bassan
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati