Il fenomeno delle Pussy Riot spiegato bene grazie ad una mostra in Danimarca
Il collettivo femminile che ad oggi conta undici iscritte, nacque nel 2011 come gruppo di protesta femminista con sede a Mosca, e divenne popolare per la sua musica punk estremamente provocatoria. Ecco cosa fa invece oggi
Fino al 14 gennaio 2024, il Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca, sulla costa dell’Øresund a Fredensborg, ospita una mostra straordinaria dedicata alle Pussy Riot, il collettivo artistico femminista-attivista nato a Mosca nel 2011, e ne documenta la sua storia decennale attraverso un ricco repertorio di foto e video.
La storia delle Pussy Riot è intensa: il collettivo, che ad oggi conta 11 donne iscritte, nacque nel 2011 come gruppo di protesta femminista con sede a Mosca, e divenne popolare per la sua musica punk estremamente provocatoria. I temi affrontati dal collettivo sono sempre stati scomodi all’interno del regime autoritario russo di Vladimir Putin, e difatti la loro lotta coraggiosa e non violenta contro il regime ha portato all’arresto di vari membri nel corso degli anni.
Chi sono le Pussy Riot
La loro azione più celebre – che portò le Pussy Riot ad essere conosciute in tutto il mondo – fu quella che coinvolse cinque membri del gruppo, le quali misero in scena uno spettacolo all’interno della Cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca avvenuta il 21 febbraio 2012 e che venne successivamente intitolato “Mother of God: Drive Putin Away“. Questa azione venne condannata come sacrilega dal clero ortodosso, il quale, al tempo, sosteneva la campagna elettorale portata avanti da Putin. Poco tempo dopo, due membri del gruppo, Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alyokhina, furono arrestate accusate di teppismo. Successivamente, fu arrestata anche Yekaterina Samutsevich. In seguito agli arresti, le tre vennero definite “prigioniere di coscienza”, da Amnesty International.
La performance è ora esposta al prestigioso Louisiana Museum attraverso foto e videoclip, permettendo ai visitatori di rivivere questo momento cruciale nella storia delle Pussy Riot.
Le Pussy Riot sono sempre state in prima linea nella loro lotta contro l’autoritarismo, una piaga che va ben oltre i confini russi. L’oppressione e l’abuso di potere sono diffusi in tutto il mondo in varie forme, e le Pussy Riot rompono il silenzio attraverso le loro performance e la loro musica.
Pussy Riot: il video I Can’t Breathe
Nel 2015 realizzarono un videoclip intitolato “I Can’t Breathe“, che prende nome dalle ultime parole di Eric Garner mentre veniva tenuto a terra e schiacciato dalla polizia di New York City. Nel videoclip, i membri della band indossano la divisa e vengono sepolti vivi mentre cantano, simboleggiando che quando la polizia uccide qualcuno, muore anch’essa con loro, metaforicamente e talvolta letteralmente. Nel 2016 tornarono sulla scena con “Make America Great Again”, un brano potentissimo nel cui videoclip Trump, interpretato da uno dei membri delle Pussy Riot, affligge torture alle sue vittime, consegnate dagli assaltatori.
“Chiunque può essere le Pussy Riot” è il motto del collettivo, e sottolinea che chiunque abbia il coraggio di lottare contro le ingiustizie e usare la propria voce e il proprio corpo contro l’autoritarismo fa parte di questa lotta. Le Pussy Riot rappresentano l’aspirazione a rompere il silenzio e agire. Si tratta di un’idea politica che appartiene a tutti coloro che non accettano la sottomissione.
Da Vojna alle Pussy Riot
Tolokonnikova, che rappresenta il volto delle Pussy Riot, fa attivismo da moltissimi anni: assieme all’ex marito Pyotr Verzilov, era membro del Vojna, ovvero un gruppo di artisti conosciuti per le loro performance art provocatorie. Una di queste fu “Fuck for the Heir Puppy Bear” attuata nel 2008: circa venti persone si assemblarono nel Museo biologico di Mosca e, per contestare l’elezione di Dmitry Medvedev, dopo essersi spogliate, ebbero un rapporto sessuale accanto alla teca di vetro di tassidermia che conteneva un orso di peluche. Il cognome di Medvedev, infatti, deriva dalla parola russa medved, che significa proprio “orso”.
La mostra al Louisiana documenta anche un’altra azione eclatante avvenuta durante la finale della Coppa del Mondo FIFA 2018, quando alcuni membri delle Pussy Riot, travestiti da poliziotti, invasero il campo per protestare contro arresti illegali.
Le Pussy Riot si autodefiniscono punk, enfatizzando il loro spirito ribelle e indomito. I loro concerti sono vere e proprie performance artistiche, con abiti colorati e il loro iconico passamontagna. I testi, politicamente carichi, vengono urlati sul palco e la loro voce e il loro corpo diventano strumenti fondamentali per comunicare messaggi politici a un mondo spesso sordo e cieco. E sfidano questo silenzio, lo distruggono, facendolo a pezzi e gettando in aria le schegge, spesso sporcandosi le mani.
Femminismo, antiautoritarismo e opposizione
Il gruppo incarna una politica del coraggio, basata sull’anarchia, che ha ispirato molte persone in tutto il mondo nel corso degli anni, divenendo un vero e proprio simbolo.
Femminismo, antiautoritarismo e opposizione a Putin sono alla base del loro progetto. La lotta femminista è prevalente: il governo russo, basato sulle discriminazioni di genere, è fortemente sessista, e le canzoni delle Pussy Riot, non contenute in un album convenzionale, sono raccolte sotto il titolo “Ubey seksista” (Uccidi il sessista) e affrontano questo tema.
Nadia Tolokonnikova ha condiviso la sua esperienza come attivista al Ted2023, raccontando delle sue sfide, degli arresti e delle violenze subite dalla polizia russa. Ma ha anche parlato della sua tenacia, e di come non abbia mai smesso di credere nei suoi ideali e in quelli degli altri membri delle Pussy Riot: “Ho lasciato quello che stavo facendo e mi sono promessa che avrei dedicato la mia vita alla resistenza. […] Per resistere, abbiamo usato le nostre forti voci, maschere da sci dai colori accesi, vestiti, coraggio, impegno e arte performativa. Ci presentavamo in pubblico, senza preavviso, in stile guerriglia. Senza aver nessun permesso. E ci esibivamo, predicavamo in edifici governativi, piazze, centri commerciali e venivamo arrestate quasi ogni giorno, venivamo rilasciate e tornavamo all’azione”.
Attraverso la loro arte, la loro musica, la loro voce, le Pussy Riot hanno attirato l’attenzione mondiale, sensibilizzando la popolazione russa e internazionale e portando a grandissimi cambiamenti. E nel 2022 hanno creato un fondo raccogliendo circa 7 milioni di dollari per l’Ucraina.
La stessa Tolokonnikova, riconoscendo la determinazione e l’influenza del collettivo sulla società, ha dichiarato:“La ragione per la quale sono diventata pericolosa per il sistema non è per qualsiasi potere fisico io possa avere, ma perché il coraggio è contagioso. Tutti noi abbiamo questo potere. Usarlo è un’azione morale”
La loro arte è dunque diventata strumento di guerriglia per ottenere riscatto, libertà e giustizia. Ed è soprattutto diventata il veicolo attraverso il quale comunicare messaggi importanti che difficilmente, data la loro forza straordinaria, possono essere ignorati. La mostra al Louisiana Museum, attraverso la sua straordinaria potenza espressiva, sostiene tutte le voci critiche contro i sistemi autoritari e celebra il potere delle Pussy Riot, incarnando la forza di coloro che non si arrendono mai.
Barbara Blasi
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