I progetti artistici sperimentali possono essere istituzionalizzati? Risponde Gino Gianuizzi
Non è necessario, spiega Gino Gianuizzi, fondatore di Neon, galleria di ricerca a Bologna. I principi che muovono i due poli del discorso sono completamente opposti. Abbiamo raccolto qui la sua opinione
A Bologna, l’esperienza della Galleria Neon si è protratta per trent’anni, dal 1981 al 2011. “Una storia anomala”, la definisce il suo fondatore, Gino Gianuizzi, nell’introdurre il volume NO, NEON, NO CRY (edito dal MAMbo) che quella vicenda originale e anticonformista cerca di raccontarla raccogliendo le voci di amici, artisti, curatori, appassionati, galleristi, assistenti di gallerie, studiosi, professori. Negli scorsi giorni, come ricorda Livia Montagnoli in questo articolo, il ruolo esercitato da Neon ha favorito un dibattito dagli esiti non scontati a partire dalla relazione, nato sul profilo Facebook dell’Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna Mauro Felicori. Ora questo dibattito prosegue sulle pagine di Artribune, ricordando che nella storia dell’arte italiana esistono molte vicende, come Neon, che hanno fatto sperimentazione, lanciato artisti oggi fondamentali, costruito idee e movimenti. Come fare per salvaguardare questo tipo di esperienze? Come garantirne la storia e la sopravvivenza? É giusto o sbagliato chiedere alle istituzioni di occuparsene? E cosa succede quando una dimensione sperimentale entra nelle maglie di un sistema istituzionale? Lo abbiamo chiesto al fondatore di Neon, Gino Gianuizzi.
Parola a Gino Gianuizzi
Esistono, o forse si dovrebbe dire che sono esistite diverse esperienze in tal senso. Il contesto è cambiato, tutto intorno. Ritengo comunque che gli interessi delle istituzioni siano e siano stati sempre connessi e dipendenti dagli interessi della politica, è un legame-subordinazione inevitabile. Quindi queste esperienze-luoghi-iniziative risultano interessanti per le istituzioni nel momento in cui appaiono utili nell’ambito di strategie di acquisizione di consenso (ad esempio a Bologna per tentare di ricucire i rapporti fra le istituzioni e la popolazione giovanile dopo la rottura del ‘77 era stato costituito il Progetto Giovani).
Da “giovane neon” avevo acquisito la consapevolezza di svolgere un ruolo sostitutivo rispetto alle istituzioni, non alternativo. Ero certo che Neon occupasse uno spazio e si occupasse di svolgere un lavoro di ricerca e di promozione di cui si sarebbe dovuto fare carico quell’entità astratta che è l’istituzione, di conseguenza sarebbe stato logico che l’istituzione sostenesse chi faceva tale lavoro.
Rapporto tra spazi sperimentali e istituzioni
Oggi non mi sembra possibile e forse nemmeno importante garantire la storia e la sopravvivenza di queste esperienze-luoghi-iniziative. Quando il modello complessivo è improntato a principi che nulla hanno a che fare con le energie che muovono (muovevano?) queste esperienze, che senso avrebbe? L’approccio delle istituzioni è guardare a queste esperienze come a fenomeni marginali da tutelare, ma non c’è nessuna volontà di intervenire sul quadro globale, che è informato da istanze totalmente divergenti rispetto a quelle che muovono (muovevano?) queste esperienze. Le voci dissonanti sono necessarie per garantire la conservazione del sistema, e se le istituzioni se ne occupano lo fanno perché è politicamente opportuno. Se queste esperienze-luoghi-iniziative sono veramente indipendenti avranno un loro spazio e tempo di vita più o meno lungo (You got to burn to shine). Poi diventeranno materiale di ricerca per storici dell’arte, ricercatori universitari, collezionisti di qualsiasi cosa. In alternativa possono diventare articolazioni dell’apparato istituzionale.
Gino Gianuizzi
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