Annamaria Tosini, l’arte come strategia di sopravvivenza. A Palermo mostra a 10 anni dalla morte

Una tra le tante storie di umanità e creatività che rischiava di restare sconosciuta. Dieci anni fa moriva Annamaria Tosini, grande dame della borghesia palermitana, che all’arte si dedicò negli ultimi tristi anni della sua vita

C’è una frattura decisiva nel commovente romanzo esistenziale di Annamaria Tosini (Palermo, 1930-2013). L’ora affilata di un ribaltamento: tra il prima e il dopo, fra la trama felice di una vita perfetta e il dramma in cui improvvisamente si accartocciò il racconto. Fu certamente il caso a orientare i destini di questa storia. Ma vi si sommò, poi, il male peggiore: l’assenza di ascolto e di compassione. Parla di “morte civile”, Eva Di Stefano, storica dell’arte e autorevole studiosa di Outsider Art, a proposito dell’epilogo di questa vicenda dai contorni irregolari. Una vicenda in cui lei stessa inciampò casualmente e che la coinvolse sul piano sia professionale che emotivo, realizzando quella corrispondenza fra arte e vita che è spesso orizzonte inevitabile per gli artisti, ma che anche nella pratica appassionata di certi intellettuali diventa postura, sguardo, scrittura.

L’incontro tra Annamaria Tosini ed Eva Di Stefano

Oggi, a dieci anni dalla scomparsa di questa affascinante figura, Di Stefano torna a dedicarle un appuntamento espositivo nella sua città, Palermo. Dopo l’ampia mostra postuma del 2013, allestita all’Orto Botanico, un nuovo progetto è realizzato con Riso e la Fondazione Orestiadi, negli spazi della Cappella dell’Incoronazione, sede distaccata del museo.
L’incontro con Annamaria Tosini rappresentò non solo la scoperta di un talento insospettato, ma anche un’occasione di amicizia, solidarietà, vicinanza. La conobbe nel 2012, tra le anonime stanze di una struttura per anziani con fragilità fisiche e psichiche; qui era ricoverata da oltre un decennio, sottoposta a interdizione giudiziale dalla famiglia, a seguito di una serie di circostanze controverse. Era lì, con i suoi 82 anni e il suo proverbiale entusiasmo per la vita, piegato dalla durezza delle cose, ma non appassito. E lì continuava a reclamare l’unica grazia possibile: la restituzione della libertà, il permesso di violare quei muri giuridici e materiali. 
L’ho incontrata in una casa di riposo alla periferia di Palermo. In una piccola stanza con un balcone dove gli uccelli vengono a dissetarsi nelle ciotole d’acqua che lei prepara per loro, dove su una sedia le bucce d’arancia si essiccano all’aria prima di trasformarsi in rose nelle sue sculture, tanto fragili quanto preziose. Ha un viso di sole, occhi d’azzurro intenso, porta fiori nei capelli e al collo piccoli nastri dorati. Illumina la stanza con i suoi racconti, ha 82 anni, eppure chiunque le stia accanto appare a confronto un’ombra o una larva senza vita. È una sciamana, dice lei, e si è disposti a crederle, forse davvero appartiene nel profondo ad un altro tempo ed altre contrade, forse questo è il segreto di una vita che, prima di approdare in questo luogo, si è scontrata con il pragmatismo e la medietà della nostra epoca e ne è stata sconfitta e sopraffatta”.

La dolce vita di Annamaria Tosini

Cresciuta e vissuta tra gli agi della borghesia imprenditoriale palermitana – il padre era proprietario di una nota cartoleria e di una tipografia; il marito, l’ingegner Francesco Gambino, collaborava con importanti imprese di costruzione – era stata una donna bellissima, colta, con un forte senso estetico e una personalità indomita, originale. Un’eccentricità, la sua, che si nutriva di passioni forti: la letteratura, la musica classica, la botanica. Del denaro non le era mai importato, tantomeno di ostentarlo come status sociale; e quel lusso a cui era sempre stata avvezza trovava in lei una declinazione alta, vicina a un’idea di indipendenza, di libertà creativa, di ricercatezza e anticonformismo. Illustri personalità del mondo dell’arte e della cultura (da Carla Fracci a Borges) erano spesso ospiti delle sue dimore: la casa di città, in viale Regina Margherita, e la villa di Casteldaccia, dove aveva costruito il suo giardino magico, trionfo di arbusti, piante, aiuole fiorite, laghetti, sentieri. Un luogo del nascondimento ma anche della rivelazione, dell’intimità e della condivisione. Un locus amoenus in cui tutto era luce, frescura d’ombra, riparo, armonia di timbri e di suoni. Leggendarie le sue feste, organizzate con dedizione in questo angolo di paradiso, citate persino fra le pagine delle locali cronache mondane.
Lentamente, però, venne il tempo della disillusione, il tramonto della buona sorte. A spezzare l’idillio fu, negli anni Ottanta, “il progressivo fallimento economico del marito, stritolato da inadempienze delle imprese di costruzioni di cui era consulente, da minacce mafiose, dalla corruzione della pubblica amministrazione. Il tenore di vita diventa sempre più incompatibile con la reale situazione finanziaria fino al completo collasso, a cui fa seguito nel 1997 la morte del marito”. È con quel lutto, racconta ancora Di Stefano, che Annamaria scivola in un crollo psichico, rifiutando la realtà e opponendosi con tutte le forze alla decisione dei familiari di vendere la villa: si asserraglia in casa con il figlio minore Alessandro e prova a resistere alle pressioni degli altri, alla morsa dell’indigenza, alle logiche sociali e finanziarie. Il tenore di vita di un tempo non poteva più essere mantenuto, ma a lei sembrava non importare. Lasciare il meraviglioso giardino, il nido edificato con l’amato compagno, il luogo dell’incantesimo e della gioia? Perché? La diagnosi sanitaria, il provvedimento di interdizione, la nomina di un tutore legale e il successivo ricovero coatto furono la feroce conseguenza. Più nulla le apparteneva, nemmeno la propria voce, il proprio sguardo, la volontà.

L’arte come libertà 

Nel vuoto imposto in cui oramai si muoveva Annamaria, costretta alla solitudine e a una quotidianità spoglia, denudata, cresceva il bisogno d’evasione. Come riappropriarsi di sé, delle trascorse stagioni ed emozioni? Serviva una “strategia di sopravvivenza“, come la definisce Eva Di Stefano. IIl sipario era calato sul teatro di ieri, popolato di affetti, legami, splendide case, e le amate piante, i fiori, gli oggetti d’arredo, gli eccentrici cappelli, i concerti, i libri, le feste, la poesia. Accumulatrice di passioni e di bellezza, inizia così ad abitare quel vuoto, provando ad abbassarne la frequenza. Lo riempie, lo trasforma, lo ribalta in occasione di scrittura. E s’inventa un teatro parallelo. Prende in mano tutto ciò che trova, scarti che ha disposizione nei pochi metri quadrati calpestati, e ne fa nutrimento estetico, psicologico, sentimentale.
Come tutti gli outsider artist era priva di formazione ed ambizione artistica, ma alla scultura scelse di affidare la scansione dei giorni e delle ore, la sua cronologia dell’alienazione. Con quell’ingenuità e genialità, misteriosamente interconnesse, che storie come queste ci hanno insegnato a documentare. Si parla, in questi casi, di insopprimibile fame d’espressione, un istinto, quasi un rapimento. Che però ha in sé tutto il controllo, il metodo e la cura necessari. Così s’impone l’intelligenza del desiderio.

Annamaria Tosini, un'immagine della Pietà
Annamaria Tosini, un’immagine della Pietà

Le sculture di Annamaria Tosini

Fragilissima la materia prima dei suoi lavori: carta, soprattutto, ma anche frammenti di tessuti, tovaglioli, biancheria intima e vecchi foulard, e ancora piume d’uccello, bucce di frutta essiccate, fazzoletti, cartone, spago, foglie, fili di lana. Riciclando, plasmando, assemblando con le sue stesse mani, quindi servendosi di colori a tempera, Tosini produce enormi quantità di sculturine figurative, leggere, effimere, drammaticamente espressive e dense di riferimenti iconografici. Angeli, putti, Cristi, Madonne con Bambino, immagini della Pietà, fino all’effige di Santa Rosalia, patrona di Palermo: tutti temi ricorrenti, particolarmente presenti nella rigorosa selezione della mostra palermitana, allestita all’interno di un ex spazio religioso e valorizzata dalle essenziali bacheche in cartone pressato, ideate da Enzo Fiammetta per accogliere la leggerezza policroma delle piccole sculture.
Il tema del sacro, però, non viene attraversato da Tosini sull’onda di un ardore mistico o confessionale. A guidarla è piuttosto la dolcezza di una vocazione introspettiva, che traghetta verso l’universale il suo personale bagaglio psichico e affettivo. È così per il tema della maternità, ad esempio, con il pensiero costante riservato ai figli, mentre tra le decine di raffigurazioni si avverte l’eco di affreschi, chiese, oratori, racconti biblici e icone della tradizione, conosciuti nel corso della vita e divenuti il proprio arsenale simbolico. È poi il topos del femminile a ritornare con forza, non solo con riferimento alla Natività. La sirena, l’odalisca, la geisha, l’acrobata, la ballerina, sono archetipi in cui l’artista si riflette e si reinventa, sperimentandosi tra sogno, vigore e inquietudine, e arrivando in qualche caso a concedersi un’immagine di sé, come nel delicato Autoritratto in bianco con figlio.  In mezzo a pappagalli, maschere, ventagli, fiori, spiccano preziosi frammenti della gioia che fu: dal delizioso tableau musicale Mentre ascolto Frescobaldi, in cui prende vita un concertino da camera, all’icastica Le mani di Richter, forse un omaggio al celebre pianista russo; dal bouquet floreale il cui titolo, inserito in forma di iscrizione, ci riporta fin dentro Villa Tosini (Il Giardino delle Emozioni), alle due figure nascoste in un’alcova sospesa, barca, culla o nido d’amore, su cui Tosini sparge versi in italiano e in francese – “Una porta nel vuoto… le bonheur amoureuse… l’eau, les fleurs, les oiseaux… ou est l’amour… n’existe pas la mort…” – appuntando in nota “Ascolto Bach, 2° suite per violoncello”. 

Annamaria Tosini, Santa Rosalia
Annamaria Tosini, Santa Rosalia

La distruzione delle opere 

Opere minute, artigianali, preziose, “vulnerabili come la sua anima in pena”, commenta la studiosa.Figure che implodono, si attorcigliano, quasi sul punto di sfaldarsi e di tornare a essere materia emotiva, spirituale, risucchiate dall’infinita energia della natura. Con la loro commovente ingenuità, assomigliano a un improbabile mix di porcellane Biscuits, statuette sacre, amuleti, bambole di zucchero o di pezza, fiori di cartapesta, decorazioni e stucchi barocchi.
E a sfilarne alcune dalle mani insensibili (o solo inconsapevoli) del personale medico fu proprio l’intervento di Eva Di Stefano, che grazie al suo ruolo di docente e fondatrice presso l’Università di Palermo dell’Osservatorio Outsider Art, riuscì a ottenere l’autorizzazione legale per portar via quei manufatti, altrimenti destinati alla spazzatura. Solo le ultime 94 opere, realizzate tra il 2011 e il 2013, hanno dunque trovato salvezza: della corposa, precedente produzione non esiste più alcuna testimonianza.
Così resta oggi una straordinaria memoria di lei, in questo corpus di oggetti poveri, improvvisati, in questo coro di volti imprecisi, sognanti, mesti, delicati. E fra le pagine e le note sparse lasciate da Annamaria Tosini, queste righe si impongono, con la forza del volto nello specchio e la semplicità di una metafora perfetta: “Sono la rosa di Gerico, la pianta che nel deserto resiste alla siccità per mesi, per anni. Secca apparentemente, rotola come impazzita alla ricerca d’acqua, quando la trova riprende vita”. Per quella libertà mai recuperata, per quel giardino perduto, per quella passione custodita e reinventata, con l’ostinazione di una mente ferita eppure lucida, il gesto creativo divenne cura, voce e rifugio durante la ricerca di un senso per continuare a vivere. Un modo per non spegnere la fame, la sete. Raccontandosi tra l’affanno e la tenerezza, tra i sentieri del ricordo e il fuoco dell’immaginazione.

Helga Marsala

I brani di Eva Di Stefano sono tratti da Annamaria Tosini. Giardini e sculture di carta (Glifo Edizioni, Palermo 2013), catalogo dell’omonima mostra presso l’Orto Botanico di Palermo, a cura di Eva Di Stefano

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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