Gli ambientalisti estremisti disprezzano le opere d’arte
Nelle ultime azioni promosse dai gruppi ambientalisti si coglie non solo una certa coazione a ripetere che ne fa scadere il valore comunicativo, ma anche l’ostentazione di una ostilità generazionale nei confronti dell'arte
Dal primo scandaloso “raid” del 14 ottobre 2022, messo a segno dai ragazzi del movimento ‘Just Stop Oil’ contro il vetro a protezione de I girasoli di van Gogh alla National Gallery di Londra, alla sequenza globale delle altre “performances” nate e agìte sempre nell’ambito dell’attivismo ambientalista di ultima generazione, è stata favorita una reazione civica ambigua e involutiva fatta di un mix di approvazione e disapprovazione.
Le azioni degli ambientalisti e il dada
In sostanza, questi stress-test comunicativi non hanno fatto registrare quell’esito di crescente empatìa con la causa ambientalista, e la loro provocazione mediatica non può essere letta, in filigrana (come suggerito dall’editoriale di Marcello Faletra del 5 novembre scorso) con le azioni di insubordinazione che segnarono il carattere del dadaismo nei primi decenni del novecento o con le seconde avanguardie degli anni sessanta: entrambi movimenti dominati dalla manipolazione del linguaggio dell’arte per rifondare una nuova verginità dello sguardo e delle emozioni. Il dadaismo non fu solo arnese di effrazione e smantellamento dell’antico gioco delle immagini, non dimentichiamolo, fu anche territorio dell’invenzione poetica e di liberazione del linguaggio espressivo (basti pensare, come paradigma, agli oggetti inventati e alle fotografie di Man Ray); e le neoavanguardie, quando applicate alla critica sociale, hanno posto le basi per una evoluzione del linguaggio dell’arte, caricandolo di nuove informazioni e nuovi atteggiamenti che furono, si, funzionali alle nuove tesi e prassi antagoniste ma pur sempre in un terreno di provocazione con un chiaro proposito evolutivo del linguaggio (come non pensare – in modo esemplare- alla vocazione interdisciplinare del movimento internazionale Fluxus e alla sua ricchezza di idee e all’incontro delle tante intelligenze come fu per il dadaismo?).
La farina di Ultima Generazione su Andy Warhol
Ammetto che all’inizio di queste performances ecologiste, la mia coscienza civile e di artista percepiva una carica effrattiva simbolica, pura e spontanea. Simpatizzavo con quelle prime azioni che usavano l’arte per amplificare il loro messaggio: mi sembrava che l’uso dell’arte fosse “strumentale” all’azione, una sorta di sottile alleanza che avrebbe quantomeno mantenute le sue modalità e cautele performative.
Ma, a dire il vero, tra i più recenti raid, le cui cronache sono pervenute a me, la mia attenzione critica va al 18 novembre 2022 quando un gruppo appartenente a “Ultima Generazione” sommerse di farina (ripeto: farina, quella di cui si fa il pane!) un’opera di Andy Warhol esposta nella mostra alla Fabbrica del Vapore a Milano. Quella rimase, nella mia percezione, come conferma che la ripetizione del gesto effrattivo nei musei in nome dell’attivismo ambientalista era mutata, aveva prevedibilmente perso mordente e lucidità simbolica: penso inoltre che da allora siano repentinamente cambiate le modalità e la prossemica delle azioni, e così oggi ne registro l’inefficacia e persino la negatività.
Oggi (nei nuovi raid messi a segno) colgo non solo la temuta coazione a ripetere che ne fa scadere il valore comunicativo, ma anche l’ostentazione di una vera e propria ostilità generazionale nei confronti dell’arte, dell’opera d’arte e dei luoghi dove questa produzione umana viene storicamente conservata, valorizzata e messa in scena: i musei. Ne colgo anche una forte carica denigratoria, una vera e propria umiliazione nei confronti degli oggetti più inermi che la cultura concepisce: le opere d’arte.
Questi nuovi raid stanno ab/usando delle opere d’arte celebri, scelte per eclatanza, con una nuova e diversa carica aggressiva: stavolta nessun vetro, nessun diaframma si interpone tra lo sfregio e l’opera; si agisce ‘al vivo’ (con la certezza del danno) sul corpo stesso dell’opera alla quale non si riconosce più alcuna vitalità estetica, spirituale, persino “erotica”: lo stesso principio “politico” [in rapporto proporzionale] con cui la mafia ordinò l’attentato dinamitardo al padiglione di Arte contemporanea di via Palestro, a Milano (con l’obiettivo di punire l’opera d’arte, per una dinamica estorsiva, in termini psicologici e patrimoniali, proveniente da contesti estranei all’arte: perlomeno lì la ‘filiera’ del male era garantita “in coerenza”; qui si vorrebbe veicolare il messaggio positivo e le urgenze ambientali attraverso la negatività di un’azione di sfregio). Ecco perché questa specifica concezione dell’antagonismo ambientalista non sta funzionando e non può funzionare.
Le opere d’arte come ostaggi
A quanti, fuori e dentro al mondo dell’arte, con facilità sacrificherebbero all’attivismo radicale le opere d’arte celebri ‘come ostaggi’ (è arbitrario usare oggi questi termini, lo so) dico no.
Se vogliamo, invece, ridiscutere del portato borghese dell’arte (l’antica tesi di Proudhon e dell’anarchismo delle origini), ritenendola dunque “da giustiziare”, allora parliamone, ma non possiamo tenere un piede in due scarpe; dobbiamo, in quel caso, essere pronti a sacrificare e deprezzare a tal punto l’opera d’arte da ritenerla (nel mondo contemporaneo), tra tutte le merci imputabili, la più prossima ad essere punita per essere divenuta, per etica ed economia, l’oscuro oggetto del desiderio del capitalismo e della borghesia economica mondiale.
Alfonso Leto
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