Dialoghi di Estetica. Su Lo scolabottiglie di Duchamp di Migliorini
Chi e cosa decide che cos’è arte? Questa è una delle domande a cui tenta di rispondere il libro del grande filosofo. Ce ne parla Roberto Paolo Malaspina
Un artista che ha trasformato profondamente le arti, i modi di farle e di discuterle: Marcel Duchamp. Ne ha esaminato la poetica il filosofo Ermanno Migliorini, mettendola in relazione ai temi del valore e del discorso critico. La casa editrice Johan & Levi ha ripubblicato il suo libro “Lo scolabottiglie di Duchamp”. Ne abbiamo parlato con Roberto Paolo Malaspina – storico dell’arte, attualmente dottorando in estetica presso l’Università degli Studi di Milano e membro del progetto ERC AN-ICON guidato dal Prof. Andrea Pinotti – nonché autore della prefazione del volume.
Il libro Lo scolabottiglie di Duchamp secondo Roberto Paolo Malaspina
Originariamente Lo scolabottiglie di Duchamp è stato pubblicato nel 1970 per le Edizioni d’arte Il Fiorino di Firenze. Quali sono le principali ragioni che hanno motivato questa nuova edizione con la casa editrice Johan & Levi?
Johan & Levi ha sempre avuto un occhio particolarmente attento ai dibattiti sulle arti contemporanee. La pubblicazione di questo volume ne è un’ulteriore conferma. La figura di Duchamp, uno dei protagonisti del testo, è infatti stata oggetto di una recente riscoperta teorica e storico-artistica. Pensiamo a saggi fondamentali quali The Apparently Marginal Activities of Marcel Duchamp di Elena Filipovic e mostre come l’attualmente in corso Marcel Duchamp and the Lure of the Copy alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia. L’attenzione dedicata all’artista, o all’an-artista, come preferiva essere chiamato, ha determinato un’importante rivalutazione delle sue attività teoriche e curatoriali che, ancora oggi, attivano riflessioni ontologiche sull’arte attuali. A differenza di quello che il titolo del volume sembrerebbe suggerire, Duchamp è pero solo uno dei protagonisti della riflessione di Migliorini che si insinua con particolare acume nel suo presente e negli artisti a lui contemporanei. Io credo che un testo come Lo scolabottiglie di Duchamp – ed è quello che ho cercato di sottolineare con la mia prefazione – sia oggi particolarmente rilevante per due motivi. Da una parte esso situa storicamente un pensatore attento che, in sincronia con la riflessione sull’istituzione artistica e critica – si pensi ad autori come Arthur Danto e George Dickie – anche in Italia propone un ragionamento analitico che interroga gli spazi e i protagonisti dell’art world. Dall’altra, il volume riaccende una questione essenziale anche per la nostra contemporaneità: quali sono gli elementi, i processi e gli attori che decidono cosa è arte?
Rispetto ad altri libri di Migliorini – si pensi, ad esempio, a Conceptual art, L’arte e la città, Miseria della critica – questo è un volume che offre anche una sintesi significativa del suo lavoro in filosofia dell’arte. Uno dei temi cruciali è infatti quello della valutazione: come viene affrontato dall’autore?
Il processo valutativo dell’opera d’arte è al centro del volume di Migliorini. I capitoli al cuore del testo sono infatti dedicati a un’ampia analisi dei metodi e delle teorie filosofiche che permettono di decretare l’artisticità di un oggetto o di una pratica. La domanda a cui il volume tenta di rispondere potrebbe essere riassunta in qualcosa come: un oggetto quale lo Scolabottiglie duchampiano o altre forme di ready-made, objet trouvé e pratiche neoavanguardiste, posseggono un valore d’artisticità determinato dalla pura intuizione ed evidente di per sé, o è esso costruito seguendo un più ampio sistema logico-valutativo, consequenziale a un preciso schema di valori? Per rispondere a questa domanda Migliorini utilizza diversi stili e metodologie d’analisi. Data la sua identità di filosofo analitico, il principale strumento teorico è la riflessione assiologica, tra gli altri, di George Edward Moore e del suo Principia Ethica (1903). Moore, interessato alla definizione del concetto di “buono” [good] in senso etico, sostiene che esso è spiegabile solo attraverso l’intuizione, nel senso che, nel tentare di perimetrarlo, il concetto sfugge a uno schema logico e discorsivo che ne comprovi la bontà. Questo percorso concettuale, nella filosofia di Migliorini, viene traslato alla valutazione artistica: ciò che Moore definisce con l’etica, Duchamp lo fa con l’arte. Proponendo un oggetto, lo scolabottiglie, il cui valore d’artisticità è “evidente di per sé”, esclusivamente intuibile e non deducibile da schemi valutativi, la critica tradizionale e le sue valutazioni, non potranno che accettare o meno il valore artistico dell’oggetto, senza proposizioni ulteriori che ne spieghino logicamente la ragione. La riflessione sui processi valutativi è sicuramente molto complessa. Credo tuttavia che proprio questa complessità, determinata dalla radice etico-morale, prima che estetica, del ragionamento, dia al testo un peso specifico molto importante anche per la lettrice e il lettore contemporanei.
Il discorso critico di Migliorini secondo Roberto Paolo Malaspina
Un tema altrettanto importante per lo sviluppo delle ricerche estetiche di Migliorini è quello del discorso critico: come lo affronta e come si ricollega alla sua riflessione sull’arte contemporanea?
La critica d’arte è forse il principale oggetto d’analisi del volume e, probabilmente, di tutto il percorso filosofico di Migliorini dedicato alle arti. Leggendo il testo per la prima volta, mi è sembrato che l’autore descrivesse una vera e propria coreografia fra arte e critica. Esse si rincorrono, si sfidano, e proprio in questa tensione risiede la potenza dell’arte presa in esame dall’autore. La critica, in difficoltà di fronte a opere come un cubo di Tony Smith, perde gli strumenti che tradizionalmente le sono stati conferiti. Essa non potrà che ricorrere alla tautologia, proprio perché l’oggetto artistico a cui si rivolge sembrerebbe aver raggiunto quel “grado zero della ‘significazione’” per cui il ricorso a elementi discorsivi – come appunto quelli della critica tradizionale – apparrebbero inutili o, quantomeno, poco efficaci. Allo stesso tempo però l’arte minimal e conceptual, tra le principali correnti analizzate da Migliorini, derivano la loro potenza espressiva esattamente da quella stessa tensione, in un chiasma costante con l’apparato linguistico della critica, senza il quale, paradossalmente, la loro carica estetico-artistica verrebbe meno.
Uno degli insegnamenti che può essere tratto dal libro è che il discorso sull’arte richiede un costante rinnovamento, esito che sembra rivelare anche una sorta di simmetria con la stessa condizione che caratterizza le arti: la loro continua mutevolezza. Che cosa ne pensi?
Sono molto d’accordo. La coreografia fra arte e critica sembra proprio descrivere questo tipo di movimento. Quello di ‘arte’ è per eccellenza un concetto mutevole. Essa è storica, come ogni categoria critica o estetica, nel senso che è soggetta ai parametri mutevoli che caratterizzano un determinato perimetro sociale, politico e geografico. “Uno dei compiti principali dell’arte è sempre stato quello di creare esigenze che al momento non è in grado di soddisfare”, recitava il celebre motto di Walter Benjamin. E tra queste esigenze, come ci dimostra il volume, vi è anche quella di interrogare costantemente quei dispositivi apparentemente extra-artistici (le istituzioni, la storia, la critica) che compartecipano alla definizione del concetto di arte stessa.
Andando ancora più in profondità, anche la riflessione che Migliorini formula sul valore – pur essendo primario, libero da motivazioni, ha comunque delle ragioni alla sua base – rivela quella tensione nel procedimento valutativo che prima di essere di dominio della dissertazione teorica apparterrebbe già al dibattitto che anima le stesse poetiche degli artisti.
Il testo di Migliorini potrebbe essere letto anche come un saggio sullo sconfinamento. Gli artisti analizzati, e ulteriormente approfonditi nel successivo Conceptual art (1972; 2014), fanno dell’appropriazione dei metodi della filosofia un punto centrale della loro pratica. Nella prefazione ho cercato di rendere questo concetto con una metafora architettonica: Duchamp e i suoi eredi occupano l’edificio estetico, ne rubano le metodologie e, così facendo, ne mettono in discussione la struttura portante. L’arte del decennio degli anni Sessanta produce proprio queste forme di appropriazione che determinano una fluidificazione disciplinare essenziale, come del resto acutamente prevede Migliorini, per gli sviluppi dell’arte futura.
Lo scolabottiglie di Duchamp ha una sua specificità: si basa sulla fruttuosa combinazione di analisi filosofica e riflessione critica sulle arti. A tuo modo di vedere, guardando al futuro, quali possono essere gli esiti che offre la ripresa di questo approccio rispetto alle ricorrenti trasformazioni delle arti?
Lo scolabottiglie di Duchamp è un testo direi storicizzato. Questo però non toglie alcun merito a Migliorini e alla sua estrema attualità. Io credo che una crasi metodologica come quella proposta nel volume sia oggi assai rara. Le motivazioni sono molteplici, dall’evoluzione dell’art world all’influenza della post-modernità sull’ontologia dell’arte e sulle pratiche artistiche. Quello che penso sia però importante oggi, sia nella lettura de Lo scolabottiglie di Duchamp, sia nella ripresa delle sue metodologie, è che entrambe ci permettono di rifocalizzare un problema: chi e come decide cos’è arte? La questione potrebbe apparire polverosa ad alcuni, ma ritengo che testi come questo aiutino la lettrice e il lettore contemporanei ad acquisire degli strumenti essenziali per rispondervi. Una domanda che, anche se apparentemente i giorni dello shock critico per un ready-made sono finiti, continua a dover essere posta. Chi da voce, spazio e tempo a determinate espressioni piuttosto che ad altre, perché e con quale logica? Lungi dal proporre una posizione nostalgica, credo però che tornare alle basi filosofiche del problema possa aiutare a concepire una critica più consapevole e con strumenti inediti per una lettura del presente artistico dall’alto potenziale politico, oltre che teorico.
Davide Dal Sasso
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