La Sindrome di Stendhal e gli effetti delle opere d’arte
L’attribuzione della scoperta è da ricondurre a una psichiatra fiorentina, Graziella Magherini, morta il 10 dicembre 2023, dopo una lunga vita dedicata alla ricerca. Ma che cos’è esattamente la Sindrome di Stendhal?
Quando si cita la Sindrome di Stendhal, ci si riferisce a opere d’arte dal grande potenziale estetico: così grandiose e straordinarie, da fare quasi venir meno chi le ammira. E non si tratta di un’esagerazione esclamativa, bensì di un disturbo psico-somatico reale – seppur non molto frequente. L’attribuzione della scoperta è da ricondurre a una psichiatra fiorentina, Graziella Magherini (Firenze, 1927 – 2023), venuta recentemente a mancare dopo una lunga vita dedicata alla ricerca. A lei si deve lo studio di questo curioso fenomeno, che sembra essere comune soprattutto tra i viaggiatori appassionati di cultura.
Non tutte le opere d’arte però causano la “sindrome”: si richiede un certo carattere estetico, capace di suscitare forti reazioni emotive. E vale sì per i dipinti, ma anche per le architetture più maestose. Il tema degli effetti sulle persone prodotti dall’arte è molto affascinante. E ancora in parte ambiguo. Gli aspetti visivi, il contesto in cui ci si trova, il background culturale del singolo, le informazioni descrittive fornite. Tante le variabili che possono influenzare l’impatto. Sono numerosi gli studi scientifici pubblicati sul tema – non privi di limiti, né di domande ancora senza risposta. Qui, con scopi divulgativi e senza entrare troppo nel merito della disciplina, ne si vuole raccontare qualche evidenza. Utile, se non altro, a dare spunti museali per disegnare percorsi di visita innovativi.
L’origine e la spiegazione della Sindrome di Stendhal
Cominciando proprio dal nome, esso deriva dal celebre scrittore francese, noto con lo pseudonimo di Stendhal, che fu (inconsapevolmente) il primo a metterne nero su bianco i sintomi. Nel suo libro Roma, Napoli e Firenze, pubblicato nel 1817, mentre raccontava della sua visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, descrisse di essersi sentito in quel momento in uno stato insolito. Uno stato emotivo intenso, con tanto di battito del cuore accelerato.
Un fenomeno analogo fu poi osservato più di un secolo dopo, dalla psichiatra Graziella Magherini. Ai tempi, lavorava presso Santa Maria Nuova, nel cuore del capoluogo toscano. Le capitò allora di visitare numerosi pazienti – perlopiù turisti – che accusavano i sintomi di uno “scompenso psichico benigno”, di breve durata. Si trattava in genere di stranieri, giunti in città per visitarne le bellezze artistiche, davanti a cui erano stati colti da inspiegabili stati di incantamento, a tal punto da sentirsi svenire. A partire da questi episodi, la professoressa arrivò a formulare la sua teoria, oggi nota come Sindrome di Stendhal, in omaggio al citato autore francese.
Premettendo che il fenomeno si possa verificare ovunque, e che sembra sia influenzato anche da variabili individuali della persona, è interessante notare come si sia spesso verificato in alcune città italiane, ricche di capolavori artistici. Tra cui la stessa Firenze, e Napoli. Quasi a confermare il nome del nostro Paese quale terra dal patrimonio culturale e naturalistico mozzafiato.
Le opere d’arte più rilassanti
Come si intuisce dai casi scatenanti della Sindrome di Stendhal, non tutte le opere d’arte hanno lo stesso effetto sulle persone. Perché si verifichi questo fenomeno, c’è bisogno di qualcosa – dipinto o architettura – di notevole impatto e bellezza. Tuttavia, è piuttosto raro chi si rimanga affascinati da un’opera in un museo o dalla volta di una chiesa, a tal punto sentirsi poco bene per l’eccesso di splendore. Più comune, e oggetto di recenti studi, è il caso in cui ci si riscopre rilassati e ristorati al termine di una visita. E anche qui emergono differenze interessanti, a seconda delle opere e del modo in cui sono proposte.
Partendo dagli aspetti visuali e di contenuto dei dipinti ammirabili nelle sale di un museo, la review del 2020 di Law, Karulkar e Broadbent (pur con i limiti delle ricerche di questo tipo) offre spunti di riflessione. Le opere più rilassanti e “ristorative” sembrano essere quelle di paesaggio, soprattutto se contenenti elementi naturali. Alberi, fronde, distese di prati fioriti… tutto ciò che è verde allontana lo stress dalla mente. Non a caso, gli ambienti migliori in cui rigenerarsi dall’affaticamento causato dai ritmi frenetici di città sono proprio giardini botanici e località rurali. In mancanza di essi, i musei con collezioni di vedute di questo genere potrebbero fare da alternative valide.
Diverso è il discorso per l’arte astratta. Pare che quei dipinti di cui si fa fatica a comprendere il soggetto – o di cui non lo si coglie affatto – possano peggiorare il livello di stress dell’osservatore. È come se si finisse per proiettare i propri tormenti e le emozioni negative sulla tela ambigua, che manca di senso immediato.
Altre differenze tra le opere per una visita rilassante
Continuando con le ipotetiche differenze tra le opere, secondo lo studio assumerebbero rilievo le “informazioni” fornite su di esse. Dal semplice titolo con autore, ai dettagli di approfondimento sul contesto artistico-storico, alla descrizione del soggetto. Fornire un supporto che permetta di capire meglio il dipinto può (in alcuni casi, e per opere piuttosto astratte) favorirne l’apprezzamento estetico, e quindi il rilassamento dell’osservatore. Didascalie, brochure e audioguide: tutte mezzi che si adatterebbero allo scopo. Infine, sembra che l’effetto benefico della visita cambi a seconda del luogo e del modo in cui viene proposta. Anche senza ricerche scientifiche, si intuirebbe che ammirare un dipinto in un museo ordinato, e dal design degli spazi curato, generi un senso di rilassamento e piacere. Soprattutto quando è poco affollato, e non ci sono i custodi a fare pressione sui tempi di chiusura.
Emma Sedini
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