A Bologna la chiesa scrigno d’arte diventa “a uso multiplo”. Da Guido Reni alla pop art a rischio kitsch
La storia di Santa Maria della Pietà, in via San Vitale, inizia nel Seicento. La chiesa conserva numerose testimonianze d’arte del XVII secolo ma ora, per scampare all’abbandono, si ripensa come sala di lettura e luogo aperto alla creatività (non sempre di buon gusto). Qualcuno polemizza
Cos’è una “chiesa a uso multiplo”? Ci aiuta a comprenderlo il presente di Santa Maria della Pietà, parrocchia storica di via San Vitale, a Bologna, che gli appassionati di storia dell’arte collegheranno senza sforzo alla cosiddetta Pala dei Mendicanti di Guido Reni, eseguita dall’artista seicentesco su commissione del Senato della città per essere collocata sull’altare maggiore della chiesa, nel 1616. Oggi, l’opera (trafugata da Napoleone e rientrata in Italia grazie a Canova) è conservata presso la Pinacoteca di Bologna, mentre in Santa Maria della Pietà ne resta memoria tramite una copia, posta entro l’architettura originale pensata per ospitarla. L’edificio, eretto all’inizio del XVII secolo e porticato nel 1691, resta però un “testo” importante per approfondire la conoscenza del Seicento bolognese, tra dipinti di Lavinia Fontana e Bartolomeo Cesi, Mastelletta e Giovanni Valesio, oltre al Crocifisso ligneo di Domenico Mirandola.
Santa Maria della Pietà a Bologna diventa chiesa “a uso multiplo”
Negli ultimi tempi, un progressivo declino delle attività della parrocchia aveva portato alla scelta di aprire la chiesa solo la domenica, di tanto in tanto, per la celebrazione della messa. Da qui la decisione di affidare la gestione di Santa Maria della Pietà, comunque ancora regolarmente consacrata, alla Fondazione per le scienze religiose, nata nel 1953 e già basata nel complesso di via San Vitale. Obiettivo? Farne un luogo aperto alla città, non solo (non tanto) per il culto religioso, ma ripensandola come sala di lettura e per conferenze, organizzando visite guidate al patrimonio artistico ed esposizioni d’arte contemporanea temporanee. Per l’occasione sono state approntate modifiche funzionali al rilancio del luogo, come la porta in vetro che consentirà di osservare la copia di Guido Reni dalla strada; ed è in programma il restauro di alcuni dei dipinti seicenteschi, a cominciare dalla Fuga in Egitto del Mastelletta. Al contempo, però, si è ritenuto opportuno disegnare un allestimento che tenesse conto delle vicende contemporanee, principalmente con funzione pacifista, dalle vele con encicliche di pace sistemate sul soffitto allo scatto d’autore che immortala profughi in fuga dalla guerra, alla più didascalica bandiera della pace, assediata dal filo spinato, posta all’ingresso della chiesa (all’interno, tendente al kitsch appare la scelta di vestire con un giubbotto per il salvataggio in mare una preesistente statua del Sacro Cuore).
La nuova immagine di Santa Maria della Pietà a Bologna: rinascita o mancanza di tutela?
Un impegno apprezzabile – tanto più se, come preannunciato, nel tardo pomeriggio la chiesa potrà trasformarsi in “museo” – che però non è piaciuto al Comitato per Bologna storica e artistica, fautore di una polemica alimentata a mezzo social. La pietra dello scandalo sono gli stencil che riproducono alcune personalità celebri del Novecento, religiose e non, applicati sulla facciata dell’edificio, in guisa di affissione artistica di ispirazione pop. “Uno sfregio”, secondo il Comitato, che argomenta la sua posizione: “Dopo la cessazione della parrocchia, la chiesa è stata trattata come un edificio degradato della periferia con la presunzione di renderla empatica e creativa. È invece uno scempio. […] Lascia allibiti la convinzione che gli edifici storici siano diventati una ‘terra di nessuno’ senza regole e si possano impunemente imbrattare per ricavare qualche briciola di consenso”. Di qui la richiesta “alle autorità e ai responsabili della tutela di prendere i provvedimenti opportuni per cancellare le immagini deturpanti e vigilare per evitare altre modifiche arbitrarie lesive dell’integrità del monumento”. L’appello ha riscosso diversi consensi – “continua a girare la fiaba che imbrattare i muri di antichi e gloriosi edifici costituisca una forma d’arte”, commenta qualcuno, tranchant – ma pure reazioni di segno opposto, più benevole nell’accettare interventi d’arte “effimeri” come positiva novità per valorizzare la storia della chiesa. Il tema è affine al dibattito sempre aperto sull’arte pubblica, rigenerativa – certo – se però pensata con criterio. Che sia la Soprintendenza – finora silente – a fornire una soluzione capace di mettere tutti d’accordo?
Livia Montagnoli
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