Tre anni dalla morte di Lara – Vinca Masini. Una mostra al Pecci di Prato la ricorda
Nel centenario dalla nascita della storica e critica d’arte, l’archivio di Lara-Vinca Masini torna alla luce per raccontarne la ricerca e la vita militante nell’arte. Ecco chi era, che cosa ha scritto e quale eredità ci lascia
Sono trascorsi 100 anni dalla nascita della storica e critica d’arte Lara-Vinca Masini e 3 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 9 gennaio del 2021. Nata a Firenze il 4 aprile del 1923 è morta nella stessa città alla quale fu intimamente legata, scegliendo tuttavia di donare nel 2010 il proprio archivio composto da circa 30.000 volumi, e ancora corrispondenze, opere, manifesti, progetti, fino ad arrivare a 200mila pezzi, al Centro Pecci allora diretto da Marco Bazzini. Ed è proprio il museo di Prato, forte di questo corpus, a dedicare alla Masini una mostra, un importante focus a ricostruzione della sua opera e del suo impegno militante nell’arte che la vide teorica ma anche soggetto attivo nella apertura di nuovi spazi per il contemporaneo e nella formulazione di inedite proposte critiche. Un riconoscimento doveroso e meritorio quello del museo a una figura che negli ultimi anni della sua vita ha provato non poche amarezze.
Lara-Vinca Masini e la negazione della Legge Bacchelli
Nel giugno del 2014 infatti era stata presentata da un gruppo di colleghi la richiesta di conferire alla critica d’arte in gravi difficoltà economiche il vitalizio di 24mila euro annui istituito nel 1985 dalle Legge Bacchelli presso la presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta di un fondo straordinario per garantire un sostegno economico ai cittadini italiani che hanno reso illustre la patria per meriti scientifici, artistici, letterari e nel lavoro, laddove si trovino in stato di necessità. Nel tempo è stato conferito a Julia Dobrovolskaja, Renzo Calegari, Anna Maria Gherardi, morta subito dopo l’assegnazione, Francesco Brocani. Ma a Lara Vinca Masini no: si era mossa anche la Regione Toscana, ma la risposta era stata che la fama del suo operato non rispondeva ai criteri di legge. Nel 2016 la redazione di Cultura Commestibile, diretta da Simone Siliani insieme a un gruppo di 28 intellettuali (tra questi Tomaso Montanari, Adolfo Natalini e Alberto Breschi) rilanciava l’appello.
Chi era Lara-Vinca Masini
Amica degli artisti, sicuramente come ricordava Manuel Orazi sulle pagine de Il Foglio, nel giorno della sua scomparsa, “è stata di certo meno organizzata di Celant, intenta a accumulare pubblicazioni, a coltivare le sue piante, ricevere gli amici più cari come Mauri, Paolo Scheggi, Ettore Sottsass, Fernanda Pivano, Gina Pane e tanti altri fra i suoi gatti – Frassinelli ricorda che si aggirava in casa fra pile di libri alte oltre un metro e mezzo -”. Ed è proprio su quelle pile che si costruisce, unitamente agli altri oggetti che ne compongono l’archivio, la storia della critica e la mostra al Pecci a lei dedicata. Una esposizione che presenta, probabilmente con l’obiettivo di rievocare l’atmosfera “accumulatrice” dello studio di Masini, un display di difficile lettura per un visitatore non avvezzo allo studio della storia dell’arte, ma che ha il merito di ricomporre come un puzzle le tappe della sua vita e della sua ricerca. Figlia di una famiglia di restauratori, la Masini conosce negli anni ’50 Carlo Ludovico Ragghianti, che la coinvolge in una serie di esperienze editoriali, come la rivista Criterio. Degli anni ’60 sono il sodalizio professionale con Giulio Carlo Argan e la fondazione dello spazio autogestito il Centro Proposte a Firenze. In questi primi decenni di lavoro Masini, già quarantenne, rende evidente l’ossatura del proprio lavoro con un approccio all’avanguardia – ben raccontato dalla mostra di Prato – che fa incontrare arte e architettura e che dà attenzione alle nuove tendenze dell’arte programmata e cinetica, fino all’organizzazione del 1965 della Triennale Itinerante di Architettura italiana, promossa insieme a Marco Dezzi Bardeschi.
Arte e architettura nell’opera di Masini
Negli anni ’80 è stata alla guida del Museo Progressivo d’Arte Contemporanea di Livorno, aperto insieme al collega Vittorio Fagone, uno dei progetti più sperimentali dell’Italia di quegli anni con la prima Biennale di Arte contemporanea della città, che affiancava alla collezione permanente del museo, 150 opere di artisti italiani e promuovendo negli stessi anni una importante campagna di nuove acquisizioni. Successivamente, nel 1978, ha partecipato alla Commissione italiana per le Arti Visive e per la Sezione Architettura della Biennale di Venezia, con Enrico Crispolti, e ottenuto il Premio dei Lincei per la Critica nel 1986. Sempre a fianco degli artisti, ha scritto importanti saggi come Arte Contemporanea. La linea dell’unicità (Firenze, 1989), il Dizionario del fare arte contemporaneo (Firenze, 1992), L’arte del Novecento. Dall’Espressionismo al Multimediale proposto dall’Espresso. Di lei, il 10 gennaio 2021, Fabio Cavallucci, che ha diretto il Centro Pecci tra il 2014 e il 2017, ha scritto a mezzo social: “di lei ci resterà l’idea di una storia dell’arte in cui l’arte visiva si relaziona sempre con gli altri ambiti culturali, come l’architettura e il design. Il capolavoro, in cui questo principio è sviluppato metodicamente, è la raccolta in più volumi “L’arte del Novecento. Dall’Espressionismo al Multimediale”. Un saluto affettuoso alla grande combattente dell’arte”.
La mostra Umanesimo/Disumanesimo
Certamente, l’esperienza più importante della sua carriera storico critica è stata nel 1980 la manifestazione Umanesimo, Disumanesimo nell’arte europea 1890/1980, raccontata molto bene, con una sezione dedicata, nella mostra di Prato, che presenta progetti, manifesti, video interviste, opere, immagini di repertorio. Nata come risposta contemporanea alle celebrazioni del cinquecentenario mediceo la mostra, esempio di dialogo tra l’arte del presente e lo spazio pubblico, presentava una mostra storica sul negativo con artisti dai Simbolisti al Nouveau Realisme nel Palagio di Parte Guelfa e una serie di installazioni site specific e azioni performative nei luoghi storici della città di artisti quali Pier Paolo Calzolari, Sandro Chia, Giuseppe Chiari, Luciano Fabro, Haus-Rucker-Co, Hans Hollein, Rebecca Horn, Fabio Mauri, Hermann Nitsch, Wolf Vostell. “Gli interventi contemporanei”, scriveva Masini allora, “concepiti in un percorso privilegiato, ma meno consueto, nel Centro storico fiorentino (i cortili di antichi palazzi, alcuni scelti per il degrado di un restauro ricostruttivo ottocentesco, una piazzetta quasi segreta, con l’eccezione della Palazzina Reale della Stazione, teatro dell’incontro di Hitler e Mussolini nel ’38), si propongono come la constatazione del prosieguo, nel tempo, del tema e del suo rovescio. L’arte si manifesta come espressione della cultura del contropotere, come negazione di una concezione elitaria (anche se, in definitiva, ne è ancora il frutto, seppure “avvelenato”), come manifestazione dell’angoscia e della crisi individuale. (…) Le altre sezioni della manifestazione comprendono due piccole mostre documentarie: la prima, curata dall’Istituto Storico della Resistenza… tratta il “negativo” del periodo nazi-fascista a Firenze e in Toscana; … l’altra, curata da Marco Dezzi-Bardeschi, analizza, per esempi abbinati, il “disumanesimo” del restauro architettonico a Firenze, da quello ricostruttivo e celebrativo della fine dell’Ottocento ad esempi del periodo fascista ed oltre”. Masini da sempre attenta a questo aspetto coinvolse un parterre de rois anche nella costruzione dell’allestimento e dell’identità grafica del progetto, affidandosi a Piero Frassinelli e Adolfo Natalini di Superstudio per la prima parte, ad Auro Lecci per la grafica. Natalini ideò anche la segnaletica della mostra realizzata con elementi modulari in bronzo.
La mostra al Centro Pecci
Realizzata grazie ad un comitato scientifico composto dall’attuale direttore del Pecci, Stefano Collicelli Cagol, Michele Di Sivo, soprintendente archivistico e bibliografico della Toscana, Simone Mangani, assessore alla cultura del Comune di Prato, Maria Grazia Messina, Storica d’arte contemporanea, Elena Pianea, direttrice cultura della Regione Toscana, Alessandro Poli, architetto, esecutore del lascito Masini, Carlo Sisi, presidente della Accademia di Belle Arti, Firenze, Diana Toccafondi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato, la mostra al Pecci, intitolata La memoria del futuro è curata da Stefano Pezzato, responsabile di collezione e archivi del Centro Pecci ed è realizzata in collaborazione con una rete di Musei a Firenze, Livorno, Colle Val d’Elsa, tra gli altri, tutti territori in cui la Masini operò in vita. All’Archivio della Masini si aggiungono integrazioni con acquisizioni del Centro Pecci di Prato, volte a meglio ricostruirne la storia e una serie di incontri collaterali. Un focus è dedicato al rapporto con l’arte in Toscana. Proprio su questo Masini scriveva: “in realtà in Toscana il contemporaneo, in arte, non ha una sua consistenza autonoma e una sua fisionomia: è un contemporaneo che si riporta ad altre situazioni, nazionali e internazionali: esistono peraltro episodi e situazioni autonome importanti, di artisti che sono riusciti a coniugare in modo personale istanze che si evidenziano a livello nazionale e internazionale, e che certo non hanno niente da invidiare a quelle, e che meritano di emergere (quando non lo siano già) fuori della Toscana”.
Santa Nastro
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