Come era il volto di Marco Polo? L’iconografia del viaggiatore a 700 anni dalla morte
Prevale l’immagine di un uomo anziano con barba e folta capigliatura scoperta attribuita a Giorgione dalla quale nel 1982 è stata tratta la banconota delle mille lire. Ma tanti sono i volti che ha assunto il mercante viaggiatore dal 1300 ad oggi
Sono iniziate le celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Marco Polo (1324). A corredo delle comunicazioni un po’ dovunque è inserita un’immagine del viaggiatore barbuto, con cappello e con il suo libro in mano, quasi a fare da garante della fedeltà delle iniziative. Ci si scorda tuttavia di ricordare che non vi è alcuna documentazione che possa testimoniare le sue fattezze, che sia disegno, schizzo, o dipinto e neppure una descrizione testuale, e che tutte le immagini richiamate sono di pura fantasia, precisazione che in epoca di bufale, fraintendimenti storici e divulgazione grossolana, sarebbe invece indispensabile.
La rappresentazione visiva ai tempi di Marco Polo
Al tempo del Polo non erano così soggiogati come siamo ora dal bisogno di una rappresentazione visiva. Per gli autori della classicità e del Medioevo, se era necessario riempire lo spazio di una miniatura di un codice con un ritratto, di solito in apertura del testo, si risolveva la faccenda con dei tratti di fisionomia generica e una postura simbolica dell’autorità e del lavoro intellettuale.
Cozzava poi con la mentalità veneziana la celebrazione di una singolarità e Marco Polo in fondo per i suoi concittadini era e rimaneva soprattutto un mercante.
Marco Polo ha collezionato una serie di ritratti presunti a partire soprattutto dall’Ottocento e per una specifica ragione: la fama del viaggiatore aveva conosciuto dalla fine del Cinquecento un netto declino, il suo libro era giudicato più fantasioso che aderente alla realtà e ci si era dimenticati di lui per buoni due secoli. A partire invece dai viaggi e dai resoconti dell’orientalista irlandese William Marsden, al seguito della Compagnia inglese delle Indie e degli studi del camaldolese dell’isola lagunare di S. Michele, Placido Zurla, pubblicati all’inizio dell’Ottocento, il libro di Marco Polo fu invece ripreso in mano e considerato degno di fede e di ammirazione e iniziò a essere ristampato e commentato.
La riscoperta della figura di Marco Polo
Ecco dunque apparire un primo nucleo di ritratti, nel primo dei quali, del 1812, a opera di Teodoro Matteini, inciso poi da Gaetano Bonatti, appare di tre quarti, non più giovane, con berretto in testa. Le fonti riportano che era stato ripreso da un ritratto “copiato a capriccio” dal medaglione di Giustino Menescardi fatto eseguire da Francesco Griselini, per la sala dello Scudo di Palazzo Ducale, tra il 1760 e il 1762. Dal disegno del Matteini, con un ritocco dei lineamenti e soprattutto con la scelta della raffigurazione di profilo, pur sempre con barba e berretto, la rappresentazione del Polo nella medaglia celebrativa del IX Congresso degli Scienziati a Venezia del 1847, incisa da Antonio Fabris e consegnata a tutti i convenuti. Non era invece venuto alla luce, per ostacoli politici e di varia altra natura, il monumento che nel 1846, proprio in vista dell’importante congresso era stato commissionato allo scultore Luigi Ferrari, che aveva tenuto presente il modello del Matteini, pur togliendogli il berretto e progettandolo, ovviamente, a figura intera. Se l’erezione del monumento trovò ostacoli sulla sua strada, ben più tardi, nel 1863, fu alla fine realizzato un busto per il Panteon Veneto del Reale Istituto di Scienze, Lettere ed Arti dello scultore romano Augusto Gamba, che riproponeva con modifiche l’aspetto che a Marco Polo era stato attribuito nell’effigie della medaglia, serio, anziano e con capo coperto e non più di profilo.
Come è noto, nella fortuna di certe rappresentazioni e nella scelta di alcune rispetto ad altre giocano diversi fattori, tra cui il gusto dei contemporanei, l’immediatezza della percezione, la vivacità dei colori.
I ritratti di Marco Polo
Un pittore che aveva partecipato ai Moti del ’48-49 a Venezia, sardo di origini ma trapiantato a Gorizia e poi allievo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, aveva realizzato nel 1849 un intenso e pregevole ritratto di Marco Polo, conservato a Gorizia, del tutto ignorato nella tradizione iconografica.
L’immagine che prevale oggi e che viene continuamente riproposta deriva invece dal grande mosaico del 1868 a Genova per Palazzo Doria-Tursi, dove è affiancato a Cristoforo Colombo, eseguito da Enrico Podio, che era direttore artistico della ditta di vetri e smalti Salviati di Venezia, e che fu riprodotto anche nel volume di Sir Henry Yule, grande biografo del viaggiatore, The Book of Marco Polo, pubblicato nel 1871.
Merita ricordare tuttavia che, pur sempre di fantasia, vi erano dei modelli precedenti e ben più antichi a cui attingere: dalle miniature dei codici francesi, della metà del XIV e del primo XV, dove Marco è raffigurato come un giovanetto senza barba, la splendida incisione ad apertura dell’editio princeps del suo libro uscito a Norimberga nel 1477, dove appare quasi come un menestrello, e alcuni ritratti cinquecenteschi. Da quello, che rappresenta un uomo anziano con barba e folta capigliatura scoperta, conservato alla Galleria Doria Pamphili di Roma, attribuito ora a Giorgione, è stata tratta nel 1982 la banconota delle mille lire.
Tiriamo le somme: ha dunque vinto il ritratto genovese. Un segno tardivo di pace tra Repubbliche marinare in conflitto, o ricordo della sofferenza di Marco Polo nella prigione nemica, che però fu origine della nascita del suo libro, o più banalmente l’immagine più a portata di mano?
Tiziana Plebani
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