Per quale motivo in Italia si associa lo scrittore Tolkien con la politica di destra?
Tolkien non era uno scrittore di destra. I suoi libri nel resto del mondo sono sempre stati visti in un’ottica libertaria, anarchica ed esplicitamente antifascista. Le motivazioni di una distorsione tutta italiana
E finalmente, qualche giorno fa, sono riuscito a visitare la mostra Tolkien. Uomo, professore, autore alla Galleria Nazionale di Roma. Era una domenica mattina, e la prima cosa che mi ha colpito è stata la sproporzione tra il pubblico della mostra e quello del museo: nel primo caso la gente era oggettivamente così tanta che ho dovuto poi tornare un’ora dopo per guardare con calma i contenuti delle prime sale, nel secondo non è che si facesse proprio a spintoni (il che smentisce intanto una delle critiche che ho sentito fare spesso in questi mesi: non è che, siccome la mostra è compresa nel biglietto, allora la gente la va a vedere; semmai, è vero piuttosto il contrario…). Poi, ho cominciato a soffermarmi sulla dimensione, per così dire, ‘antropologica’ dei due pubblici: dallo scrittore inglese c’erano in effetti spettatori che non sembravano, a prima vista, appartenere al ‘mondo dell’arte’ – anche proprio per la scarsa familiarità e dimestichezza con gli ambienti di quel museo: uno per esempio l’ho sentito, mentre attraversava con la compagna una delle sale della Galleria, dire (testuale): “ahò, a me alla fine l’unica cosa che me piace de ste stanze è che so’ così grandi…” (addirittura! Ovvove!).
Tolkien alla Galleria Nazionale
Ma è inutile girarci intorno, e quindi non lo faccio: le critiche, le polemiche, i post offesi e indignati letti per settimane e mesi riguardavano sia la presunta ‘inopportunità’ della collocazione di questa specifica mostra all’interno della Galleria Nazionale, sia il suo essere strumentale all’ipotetica costruzione di questa benedetta egemonia culturale di destra che sembra ossessionare il nostro establishment culturale, sia la ‘bruttezza’ dell’allestimento. Dunque, sul primo punto si può dire che sì, in effetti Tolkien in questo museo potrebbe essere un po’ fuori contesto e che magari il contenitore ideale a Roma sarebbe stato forse quello del Palazzo delle Esposizioni (che però è del Comune).
Tolkien e la destra italiana
Riguardo il secondo punto, francamente bisognerebbe fare un lungo excursus sull’unicità italiana (qualcosa di assolutamente incomprensibile in qualunque altro angolo del pianeta), cioè l’avvenuta appropriazione di Tolkien da parte dell’estrema destra a partire dagli anni Settanta. Una storia lunga e strana. Per brevità, qui diremo innanzi tutto che uno dei motivi risiede probabilmente nel ritardo con cui è avvenuta la ricezione de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli nel nostro Paese: se infatti l’edizione originale della Compagnia dell’Anello è del 1954, qui bisognerà aspettare il 1970 (dopo la sfortunata operazione dell’Astrolabio nel 1967) per la traduzione della trilogia pubblicata da Rusconi. Questo ritardo cambia ovviamente i pubblici incontrati e creati, e il modo in cui l’opera si inserisce in un determinato contesto culturale e politico: se altrove Tolkien diventa uno dei riferimenti per la controcultura e gli hippies (alcuni dei quali diventeranno a loro volta autori di punta del fantasy), da noi la Terra di Mezzo diventa (anche, non solo) uno dei riferimenti delle nuove leve del Movimento Sociale Italiano, fino al primo Campo Hobbit promosso nel 1977 dai dirigenti del Fronte della Gioventù e ai successivi (compresi i Raduni della Contea), in uno strano e inedito mix tra militanti di destra e nerd. La storia, inutile dirlo, sarebbe potuta andare in maniera molto diversa. Il pannello in mostra riassume la travagliata vicenda editoriale, dal rifiuto opposto da Mondadori già negli anni Cinquanta (“un lavoro di questo tipo non può interessare un gran numero di lettori italiani”) fino al parere lapidario di Elio Vittorini, allora direttore della collana Nuovi scrittori stranieri: “il successo del tentativo avrebbe richiesto la forza di un vero e proprio genio (che Tolkien dà prova di non essere) e la convalida di un’attualità (cioè che il libro implicasse la metafora di qualche attualità), ma ciò non si verifica affatto”.
Il rifiuto italiano al genere fantasy
Incredibile? Non proprio. Si tratta infatti semplicemente di un episodio, di un frammento nella lunga catena di incomprensioni, epoca dopo epoca, dei gatekeeper intellettuali nostrani nei confronti in particolare del ‘genere’ (esemplare, in questo senso, il rifiuto opposto da Italo Calvino a Guido Morselli). In fondo, se ci pensiamo solo il noir ha avuto da noi particolare fortuna tra gli autori (dovuta al precedente interno di Scerbanenco, e a quello esterno di Ellroy): ma ogni volta che i nostri scrittori ‘seri’, con l’eccezione luminosa di Valerio Evangelisti, si sono cimentati con la fantascienza o con il fantasy, i risultati sono stati quasi sempre imbarazzanti.
Il fatto è che, molto più di quanto avvenga negli altri paesi, in Italia – allora come oggi, va detto – lo scrittore (e l’artista, e il regista, e il musicista…) che si percepisce e che viene percepito come ‘serio’, appunto, tende a stabilire e a mantenere una certa distanza rispetto a ciò che puzza di massa, come appunto il genere. (Anche quando gioca con il genere, ci tiene immediatamente a rimarcare che si tratta proprio di un gioco, ehi sto giocando, non fraintendete, non vi sbagliate mi raccomando, sono sempre io, sto scherzando, ecc. ecc.) E così fa, decennio dopo decennio, la sua comunità di riferimento.
L’allestimento della mostra di Tolkien
Prima di tornare in conclusione su questo, vorrei affrontare brevemente il terzo punto: l’allestimento. Ora, tutto si può dire tranne che fosse brutto. Si può certamente obiettare che alcuni contenuti della mostra – e dell’opera di Tolkien – potessero essere ulteriormente approfonditi; che nella parte conclusiva, dedicata all’immaginario pop, si potessero magari ampliare alcuni riferimenti, seguendo per esempio le vie per cui da questo punto di origine nasce tutto un universo di testi e di opere visive che lo cita più o meno direttamente (e che si potesse magari evitare lo schermo con Pino Insegno, diventato icona culturale della destra italiana, che recita Aragorn…); che magari lo scrittoio sotto il video iniziale, con la penna i libri e la pagina, fosse una roba un po’ kitsch e tutto sommato inutile. Ma non si può dire, come pure ho letto, che “tutti i video esposti si trovano su Youtube’: e perché, non succede lo stesso con gli altri contenuti audiovisivi che corredano qualunque altra mostra? Oppure che “ci sono solo libri nelle teche e illustrazioni incorniciate”: e che altro ci doveva essere, visto che il protagonista faceva lo studioso e lo scrittore? (A proposito, ho cercato la famigerata scultura di Frodo a grandezza naturale, oggetto di tanti lazzi e sberleffi, ma non l’ho più trovata; sarà stata pietosamente rimossa…).
Il panorama espositivo a Roma
Di certo, non si può affermare che l’allestimento sia “brutto”: qualche contenuto può essere magari ridondante, ma gli effettivamente molti 250.000 euro generosamente elargiti dal Ministero si vedono tutti, eccome; e francamente non fatichiamo a ricordarci allestimenti orrendi, di arte contemporanea, nella stessa Galleria Nazionale peraltro. Il massimo effetto che una mostra del genere può ottenere è quello di spingere gli spettatori a saperne di più, a leggere più possibile: e il risultato mi sembra in questo caso raggiunto, tanto più che il bookshop della Galleria è giustamente fornito di ogni sorta di ben di dio tolkieniano. E allora, che cosa ci dice questo accanimento nei confronti di una mostra che, con tutti i suoi limiti e difetti, non rappresenta certo un impoverimento ma un arricchimento nell’attuale panorama espositivo della capitale – che, va detto, con l’eccezione del MACRO lascia parecchio a desiderare?
Alla fine, ciò che emerge dalla maggior parte delle dichiarazioni scandalizzate e indignate, in fondo, è proprio questo: l’allarme del mondo dell’arte, o di alcuni suoi protagonisti, per ciò che viene percepito come un’invasione, l’invasione del Tempio, del Territorio Sacro dell’Arte Contemporanea da parte dei barbari. Un peccato imperdonabile di lesa maestà.
Questa percezione è frutto di un’(auto)illusione, che è al tempo stesso storica e attuale: a) la mostra è, se non strabiliante, quantomeno dignitosa; b) Tolkien non è e non è mai stato un autore di destra: il fatto che una distorsione tipicamente italiana, abbastanza improbabile si sia stabilita ormai cinquant’anni fa non rende questo fatto meno vero (altrove, infatti, questa prospettiva è semplicemente inimmaginabile, e Il Signore degli Anelli è stato adottato anzi generazione dopo generazione in un’ottica libertaria, anarchica ed esplicitamente antifascista); c) se a e b sono veri, ne consegue che una mostra dedicata a Tolkien non sia uno scandalo né un’invasione di campo, e che dal punto di vista della politica culturale non possa essere minimamente confusa con il resto che sta accadendo.
Christian Caliandro
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