L’arte non è un mestiere per donne? Ecco chi era Carla Accardi, artista e sperimentatrice
Il ritratto dell’artista, gli amici, le connessioni con i colleghi, la scoperta dell’arte, mentre è in corso la grande mostra a lei dedicata al Palazzo delle Esposizioni di Roma
“Da ragazza guardava fuori dalla finestra e vedeva un cielo azzurro, luminoso e splendente”. Così l’artista Francesco Impellizzeri, responsabile dell’Archivio Accardi Sanfilippo, mi riferisce i racconti di Carla Accardi, protagonista della mostra antologica curata da Daniela Lancioni e Paola Bonani al Palazzo delle Esposizioni, ideata, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo e realizzata con la collaborazione dell’Archivio Accardi Sanfilippo e con il sostegno della Fondazione Silvano Toti. Durante la visita alla mostra, magistralmente introdotta dalla Triplice tenda (1969-71), concessa dal Centre Pompidou, che campeggia sola nello spazio della rotonda centrale, ripenso a Carla, donna dal carattere calmo e consapevole, che ha saputo affermarsi con fatica e tenacia nella scena culturale dell’Italia della seconda metà del Ventesimo secolo, dominato quasi totalmente da figure maschili, spesso assai ingombranti. La immagino giovane, in un piccolo Autoritratto del 1946, quando aveva appena ventidue anni: Lancioni riferisce che il padre dell’artista le aveva detto “non si è mai vista un Raffaello donna”, e per tutta risposta Carla si era rappresentata con il volto di tre quarti, come il celebre autoritratto del pittore urbinate.
Chi era Carla Accardi
In quegli anni essere artista per una donna era una sfida con il mondo, la società italiana e le sue convenzioni, che prima di Carla era stata affrontata da un’altra isolana, Maria Lai: nelle aule dell’Accademia di Venezia tra il 1943 ed il 45, Maria aveva ascoltato il suo professore Arturo Martini dichiarare che l’artista non era un mestiere per donne. Imbracciato il pennello, Carla abbandona presto il figurativo per inoltrarsi nel territorio libero di un astrattismo geometrico dalle cromie mediterranee. In una foto del 1950 la vediamo seduta tra altri artisti, per altro tutti uomini, con i quali aveva condiviso l’avventura di Forma 1 nel 1947. Già nei dipinti di quegli anni la Accardi propone colori compatti, poco o per nulla utilizzati dai suoi colleghi, e più vicini alla pittura di maestri d’oltralpe come Pablo Picasso, ma ancor di più Henri Matisse. Una tavolozza di verdi squillanti, viola, arancioni accesi e gialli: tinte decise, senza sfumature o toni pastello, probabilmente riferibili a memorie giovanili, come nelle due tele intitolate Isola (1951). Negli anni Cinquanta Carla si concentra sulla componente segnica della sua pittura, con la serie dei Bianchi e neri – protagonisti di una sala magnifica al Palaxpo- che attirano l’attenzione del critico francese Michel Tapiè, che la inserisce nella corrente dell’Art autre. Anche qui la Accardi si trova accanto ad Alberto Burri, Antoni Tapies e Georges Mathieu, e me la immagino procedere convinta nella sua ricerca, che la porterà a ritrovare il colore nei primi anni Sessanta, abbinato a segni più sottili e distanziati, quasi a formare una sorta di alfabeto.
Carla Accardi, artista e sperimentatrice
Curiosa e sperimentatrice per carattere, in quel periodo Carla si imbatte per caso in un nuovo materiale plastico trasparente, il sicofoil, che l’artista decide di usare come supporto per dipingerci sopra, suscitando lo stupore e la curiosità dell’azienda produttrice del materiale. Inizialmente lo fa direttamente sui rotoli di sicofoil, mentre poi passa a lavorare sia in maniera bidimensionale che con sculture e installazioni, come la Triplice Tenda. Nel suo appartamento in via del Babuino, alto sui tetti di Roma e ristrutturato da Marta Lonzi negli anni Settanta, la Accardi vive, lavora e riceve gli amici per piccoli aperitivi. Ci sono gli amici più stretti come i galleristi Mario e Dora Pieroni, la curatrice Laura Cherubini, i collezionisti Tommaso e Giuliana Setari, e l’artista Luigi Ontani. Carla ascolta più che parlare, sempre attenta ai suoi ospiti: nell’atelier inondato di luce nascono tele dai colori sgargianti, spesso giocati su accostamenti cromatici audaci e coraggiosi. Opere che vengono esposte in luoghi storici come l’Atelier del Bosco a Villa Medici (1997), in musei esteri come il Guggenheim di New York (1994) o il P.S. 1 (2001) o in mostre internazionali come la Biennale di Venezia (1988 e 1993).
Carla Accardi e gli altri artisti
Sotto il finestrone dello studio aveva collocati i doni di altri artisti ai quali era vicina, appoggiati su una lunga mensola: Luciano Fabro, Luigi Ontani, Marco Tirelli, Domenico Bianchi, Giulio Paolini, Remo Salvadori, Ettore Spallettiaccanto ai più giovani Paola Pivi, Luca Vitone, Giuseppe Salvatori e Francesco Impellizzeri. Un ulteriore segno della grande generosità che caratterizza Carla, opportunamente riproposto nella prima sala della mostra al Palaexpo, dove all’interno di alcune vetrine sono allestite le opere degli amici artisti. ”Le connessioni fra artisti di diverse generazioni sono inevitabili: possono essere di rifiuto, ma qualche volta, al contrario , si stabilisce una condizione di momentaneo scambio, di fascino reciproco che si realizza in un dare e avere di cui è intessuta tutta la storia dell’arte” dichiara Accardi a Giovanna Dalla Chiesa nel 1983, in un’intervista pubblicata nel catalogo- ricco di ottimi contributi scientifici e edito da Quodlibet- , utile strumento per documentare una mostra che racconta la vita e la carriera di una grande artista in maniera esemplare.
Ludovico Pratesi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati