Spettri del Surrealismo. Riflessioni a 100 anni dalla nascita del movimento
Nel 1924, André Breton pubblicava il Manifesto del Surrealismo, dando vita ad uno dei movimenti artistici più importanti del Novecento. Ne ripercorriamo le origini, le linee di sviluppo e il grado di attualità
“Dopo Bakunin non c’è più stato in Europa alcun concetto radicale di libertà”, così Walter Benjamin commentava la lettura di Nadja, una delle opere capitali di Breton e del Surrealismo. Quest’anno l’avvento del movimento surrealista compie cento anni. Fondato nell’ottobre del 1924 con il celebre Manifesto del Surrealismo, da allora ha avuta una lunga fortuna. Ma tra tutte le interpretazioni di questo movimento, saggi e letture critiche, la parola libertà, che Benjamin colse tempestivamente (1928), è stata la sua colonna portante. Tuttavia, Benjamin osservava pure che “se il compito degli intellettuali rivoluzionari è quello di abbattere l’egemonia intellettuale della borghesia e trovare un decisivo contatto con i proletari, allora si deve ammettere che essi sono venuti meno dinnanzi a questo compito”. Certo, mai come in quell’esperienza Arte e Rivoluzione sono stati così vicini fino a confondersi. E nel 1938 Breton insieme a Trotsky, ospiti di Frida Kahlo e Diego Rivera in Messico, scriverà il celebre testo Per un’arte rivoluzionaria indipendente, dove nelle battute finali è scritto: “A tutti i rappresentanti dell’arte, a tutti i suoi amici e difensori che non possono non comprendere la necessità del presente appello, domandiamo di elevare immediatamente la loro voce”. Proclamare l’identità di arte, rivoluzione e libertà costituiva un imperativo etico per molti artisti. Erano gli anni delle feroci dittature che sarebbero sfociate nella guerra.
Il Surrealismo e i suoi ribaltamenti
Non bisogna dimenticare che in Italia la conoscenza del Surrealismo fu ostacolata, poiché considerata sovversiva, e solo una ristretta cerchia di artisti e intellettuali poterono avere rapporti con i protagonisti del movimento; soprattutto ad avvantaggiarsi di questo rapporto fu la versione metafisica e il realismo magico di De Chirico e Savinio. D’altra parte il Surrealismo – come Dada che l’ha preceduto – mirava alla distruzione di tutto il conformismo borghese e conservatore che amoreggiava con i fascismi europei. La vicinanza del Surrealismo ai problemi politici del tempo può essere colta da questa espressione lapidaria di Breton scritta nel n°6 della Rivoluzione Surrealista del 1 marzo 1926: “I soli quadri che amo…sono quelli che reggono davanti alla fame”. Quante opere, oggi, reggerebbero di fronte a questa espressione? Tra i nemici dei surrealisti, oltre ai cosiddetti partiti conservatori e fascisti, alleati fedeli delle dittature, figurano alcune categorie di oggetti come gli orologi, che sono considerati dei mostri, poiché scandiscono il tempo di produzione in funzione dello sfruttamento del lavoro senza limiti (come oggi). L’orologio è il nuovo patto col diavolo cui soccombono intere masse sottoposte a ritmi di lavoro massacranti, misurati fino al secondo. A meno che, come suggerivano Vitrac e Breton, non si capovolgono le lancette e scoprire che il tempo è una nostra invenzione, e per ciò può essere datore di sorprese visionarie come succede nei sogni.
L’idea che l’esistenza è altrove è stata il nervo portante di tutte le trasgressioni ed esplorazioni che i surrealisti hanno praticato
Il Surrealismo tra irrazionalità e humour
Non diversamente accade nel racconto premonitore del Surrealismo Champs Magnetiques (1919), dove benché la sintassi è corretta, tuttavia le idee, le forme e le immagini che si susseguono durante la lettura, sono portatrici di una incoerenza funzionale alla distruzione della logica narrativa e dove il segmento, il dettaglio, la sincope narrativa (un free-jazz ante litteram), rivelano un “campo magnetico” fatto di correlazioni visionarie, come le Illuminations di Rimbaud, apoteosi poetica dell’ebbrezza. È in questo sovvertimento delle regole – tempo compreso – che Benjamin fu colpito dall’idea di libertà avanzata dai surrealisti. Ma fu colpito anche dal fatto che gli oggetti abbandonati e portati nel quartiere delle pulci di Parigi – Saint-Ouen – erano latori di visioni sovvertitrici del mondo dell’arte, che avrebbero dato vita ad opere importanti denominate, dopo Duchamp, objet-trouvé. In quei resti, abbandonati, c’era qualcosa da riscattare: l’incontro fortuito tra un oggetto e un soggetto, come nel celebre passo di Lautréamont: “l’incontro fortuito tra un ombrello e la macchina da cucire”. D’altra parte lo humour, nell’accezione di Breton, è un parafulmine della psiche (paratonnerre), come spiega nella prefazione all’Antologia dello humour nero. Il parafulmine rovescia l’angoscia o la collera neutralizzandone gli effetti nichilisti e autodistruttivi attraverso la distanza dello scherzo.
Il Surrealismo come pedagogia della rivolta
L’idea che “l’esistenza è altrove” – come recita la battuta finale del Manifesto, è stata il nervo portante di tutte le trasgressioni ed esplorazioni che i surrealisti hanno praticato. Come è accaduto ad alcuni protagonisti delle seconde avanguardie. Jean-Jacques Lebel – cresciuto in compagnia di Breton, Duchamp, Leiris, Man Ray e altri surrealisti – mi ha raccontato di una performance fatta da Felix Guattari durante il primo Festival Internazionale Polyphonic, negli Stati Uniti (1979). “Felix – ricorda Lebel – a un certo punto s’è buttato in acqua, poi è ritornato sulla scena, s’è seduto a terra a gambe incrociate, microfono alla mano e s’è messo a fare un discorso delirante, magnifico, sulle problematiche mondiali. Due giorni dopo, prese parte a una delle mie performance con Ferlinghetti, Heidsieck e altri…dove ha registrato sul palco il famoso Sogno di Yasha, scambiando tutti i ruoli del malato, dell’oratore e dello spettatore – che ho utilizzato per la mia grande scultura Monumento a Felix Guattari. Una performance che il mio amico Gilles Deleuze definì ‘un Souk libertario’”. La sovversione dell’evidenza, del luogo comune, è sempre una questione aperta, soprattutto oggi. Dopo cento anni, il Surrealismo, in quanto pedagogia della rivolta, risulta sempre attuale.
Marcello Faletra
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