Il programma 2024 di Fondation Cartier. Tra Parigi, Milano, Sydney e New York

Mostre, progetti, summit: la fondazione apripista per l’impegno privato nell’arte contemporanea a Parigi presenta un nutrito programma in tutto il mondo. Ecco cosa accadrà

Si chiamerà Louvre Palais Royal, la nuova sede è in arrivo. La sta progettando Jean Nouvel e si prevede venga inaugurata nell’ottobre 2025. La location è quel Louvre des Antiquaires in Rue de Rivoli che ha nei decenni scorsi è arrivato ad ospitare 240 antiquari. Dopo una stagione recente incerta sarà ora la Fondation Cartier ad occupare il basement e il primo piano per spazi di complessivi 14.000 metri quadrati, 6.000 dei quali dedicati alle esposizioni, oltre che alla presentazione della collezione permanente, a studi per artisti, un cinema, un teatro e spazi per performance. Per il 2024 tutta la programmazione parigina si svolgerà nell’edificio di Boulevard Raspail, progettato anche questo da Nouvel e inaugurato nel 1994. Tra in grandi player privati di questo settore in Francia, Fondation Cartier è il primo ad essere sceso in campo (1984) e mantiene una fisionomia del tutto particolare che la rende particolarmente dinamica per esperimenti dove le discipline non conoscono confini. Una precisazione va fatta. il marchio di gioielleria che appartiene alla multinazionale del lusso Richmond (quotata alla borsa di Zurigo) in nessuna maniera interseca le sue iniziative a questa programmazione, un’autonomia totale a cui lo staff Fondation Cartier mostra di tenere moltissimo.

PARIGI: BIJOY JAIN / STUDIO MUMBAI, LE SOUFFLE DE L’ARCHITECTE

La mostra, dal 21 aprile 2024, è dedicata all’architetto d Bijoy Jain fondatore di Studio Mumbai in India.  Il lavoro di Jain (Mumbai, 1965) riflette la sua preoccupazione per il rapporto tra uomo e natura. Esplorando i legami tra arte, architettura e materia, l’esposizione utilizza gli spazi della Fondation Cartier per mettere in scena fantasticherie che dialogano con gli spazi di Boulevard RaspailLegno, mattoncini, terra, pietra e acqua, bambú, pigmenti, filo di seta e sterco di vacca… Quello che incontra il visitatore sono innanzitutto frammenti di architetture tipiche del sub continente indiano: sculture in pietra e terracotta, facciate di abitazioni tradizionali, pannelli intonacati, linee di pigmento disegnate con filo. Su suggerimento del curatore Hervé Chandès  Bijoy Jain ha invitato anche il pittore cinese Hu Liu e la ceramista danese di origine turca residente a Parigi Alev Ebüzziya Siesbye. Condividono la stessa sensibilità: ognuno di loro dà la stessa importanza alla padronanza rituale del gesto, alla risonanza e al dialogo con la materia.

Exhibition's installation in a warehouse in Mumbai. Photo © Ashish Shah
Exhibition’s installation in a warehouse in Mumbai. Photo © Ashish Shah

WILLIAM KENTRIDGE E BRONWYN LACE. THE CENTRE FOR THE LESS GOOD IDEA

Ospite delle Fondation arriva dal 13 maggio The Centre for the Less Good Idea, creato da Kentridge e Lace, per una settimana di workshop e performance. Fondato nel 2016 a Maboneng in Sud Africa è incubatore di progetti rivolto a giovani artisti molti dei quali proveninti dal continente africano. Kentridge (Jhoannesburg, 1955) e Lace (Botswana, 1980) sono convinti che a volte sia “l’idea meno buona”, cioè quella nata per caso o per errore, ad aprire la strada alle opere più inventive. Attraverso il lavoro collaborativo e l’intersezione di discipline differenti (musica, performance, immagini, danza, parole) si può aprire uno spazio per la creazione, senza gabbie prestabilite in termini di produzione o formati. Dunque The Centre for the Less Good Idea a maggio si trasferisce a Parigi per utilizzare tutti gli spazi espositivi di Fondation Cartier in una settimana di workshop e spettacoli vedranno riuniti artisti provenienti dal Sud Africa, dal Benin come dalla Francia, ma pure studenti o dilettanti, tutti alla ricerca dell’”l’idea meno buona”.

William Kentridge & The Centre for the Less Good Idea © Stella Olivier
William Kentridge & The Centre for the Less Good Idea © Stella Olivier

MATTHEW BARNEY, SECONDARY 

Per la prima europea della sua ultima installazione video Matthew Barney ha scelto dall’8 giugno Boulevrad Raspail. Un modo di celebrare la collaborazione con Fondation Cartier iniziata nel 1994 con la coproduzione di Cremaster 4.  Girato a New York nello studio di scultura dell’artista Secondary è un’installazione video a cinque canali ambientata un campo di football americano. Per sessanta minuti, undici protagonisti tra cui lo stesso Barney, astraggono un’azione svoltasi durante una partita di football americano il 12 agosto 1978: un ricordo traumatico ritrasmesso più e più volte dai media sportivi, che rimarrà impresso nella mente di Barney, all’epoca lui stesso quarterback della lega giovanile. In quela occasione Jack Tatum, difensore degli Oakland Raiders, colpisce Darryl Stingley, un wide receiver dei New England Patriots. Stingley rimane paralizzato per sempre. Il lavoro prende in esame la sovrapposizione tra violenza reale e sua rappresentazione, nonché la celebrazione, attraverso lo sport e la società americana contemporanea. La mostra presenta inoltre una scultura creata per l’occasione e altra documentazione nata dalla collaborazione con la curatrice Juliette Lecorne e Isabelle Gaudfroy direttrice della programmazione e dei progetti artistici di Fondation Cartier.

Matthew Barney, Secondary, 2023, Five channel video installation with sound, © Matthew Barney. Photo Julieta Cervantes.
Matthew Barney, Secondary, 2023, Five channel video installation with sound, © Matthew Barney. Photo Julieta Cervantes.

OLGA DE AMARAL

Si tratta della prima grande retrospettiva mai presentata in Europa di questa artista colombiana figura chiave della Fiber Art. De Amaral (Bogotà, 1932) nella sua lunga carriera si è ispirata tanto ai principi modernisti della Cranbrook Academy negli Stati Uniti, che alle tradizioni vernacolari del suo paese e in particolare all’arte precolombiana. L’architettura della mostra, che si svolgerà in autunno, è stata progettata da Lina Ghotmeh architetto di origine libanese conosciuta per il lavoro sviluppato con materiali naturali e tecniche di costruzione tradizionali. Le opere tessili di Olga de Amaral qui esposte giocando su contrasti e scale e collegamenti tra opere di epoche diverse. L’artista colombiana ha lavorato a stretto con la curatrice Marie Perenne, in forza a Fondation Cartier, per selezionare opere con cui per oltre mezzo secolo si è spinta oltre i limiti del mezzo tessile misurandosi con lino, cotone, crine, gesso, foglia d’oro o palladio. Dopp l’esposizione di sei opere nell’ambito della mostra Southern Geometries tenutasi alla Fondation Cartier nel 2018, viene ora proposto un excursus che comprende un numero considerevole di opere del passato (mai presentate fuori dalla Colombia) oltre a pezzi contemporanei particolarmente energici per forma e colori. 

Olga de Amaral in her studio, 2005. Photo © Diego Amaral
Olga de Amaral in her studio, 2005. Photo © Diego Amaral

TRIENNALE DI MILANO: IO SONO UN DRAGO, LA VERA STORIA DI ALESSANDRO MENDINI

Si tratta di una retrospettiva dell’opera di Alessandro Mendini (1931 – 2019), realizzata in collaborazione con Atelier Mendini, dal 13 aprile. L’architetto italiano è stato un protagonista assoluto del design prima milanese, poi nazionale e quindi internazionale. Il rilievo Il suo lavoro sembra avere due anime: una solitaria e introversa; l’altra incentrata sul lavoro di gruppo. Mendini ha realizzato tanti progetti da solo, ma altrettanti con i gruppi da lui messi insieme. Il titolo della mostra Io sono un Drago si ispira a uno dei suoi autoritratti più emblematici costruito persottolinearel’unicità della sua presenza nel mondo del design. Curata dall’architetto e storico dell’architettura Fulvio Irace la retrospettiva è suddivisa in sezioni tematiche e riunisce opere provenienti da numerose collezioni pubbliche e private di ogni parte del mondo. Non è la prima volta che Fondation Cartier si interessa al suo lavoro: ha presentato opere di Mendini tanto in mostre a Parigi che altrove, alcune delle quali fanno parte costituente della sua straordinaria collezione.

Alessandro Mendini, Fondation Cartier pour l'art contemporain, Paris, 2012 Photo © Christian Kettiger
Alessandro Mendini, Fondation Cartier pour l’art contemporain, Paris, 2012 Photo © Christian Kettiger

BIENNALE DI SYDNEY, SYDNEY OPERA HOUSE E FONDATION CARTIER PER PROMUOVERE L’ARTE DELLE NAZIONI IDIGENE

Da oltre venti anni Fondation Cartier costituisce un luogo di raccordo con artisti provenienti dalle comunità indigene di tutto il mondo. In partnership con la Biennale di Sydney questa volta supporta i lavori di 14 artisti provenienti dalle nazioni indigene australiane. Sono presentati in tutte le sedi di Ten Thosand Susns, la 24a Biennale che si svolge nella capitale australiana e nella stessa Sydney Opera House. Grazie al First Nation Curatorial Fellow questi artisti hanno lavorato a stretto contatto con il curatore Tony Albert (Citta di Townsvikle, 1981) per dare vita alle loro visioni creative: si tratta di  Mangala Bai Maravi, Doreen Chapman, Megan Cope, Cristina Flores Pescorán, Gail Mabo, Freddy Mamani, Dylan Mooney, Orquídeas Barrileteras, John Pule, Eric-Paul Riege, Darrell Sibosado, Kaylene Whiskey, Yangamini e Nikau Hindin in collaborazione con Ebonie Fifita-Laufilitoga-Maka, Hina Puamohala Kneubuhl, Hinatea Colombani, Kesaia Biuvanua e Rongomai Grbic-Hoskins. Insieme Fondation Cartier e la Biennale di Sydney sostengono inoltre l’ultimo capitolo della illuminazione notturna delle vele della Sidney Opera House. Dopo Niakau Hidin tocca ora a Gail Mabo (Townsville, 1965) utilizzando l’animazione digitale esplora le antiche pratiche di navigazione celeste attraverso due culture, con simboli e suoni vibranti che danno vita alle storie dei nostri cieli e corsi d’acqua.

Badu Gili-Celestial-Web, Sidney Opera House
Badu Gili-Celestial-Web, Sidney Opera House

NEW YORK: THE WORLD AROUND SUMMIT ANNUALE

The World Around terrà, il prossimo maggio, il suo Summit annuale al Guggenheim di New York. Da tempo Fondation Cartier collabora con questa organizzazione senza scopo di lucro che ha come missione quella di connettere nuove voci nell’architettura globale. The world around si definisce “piattaforma per la contemporaneità globale progressista”.  Lo scorso settembre alla Triennale di Milano aveva dato vita a In Focus: Radical Repair invitando otto designer interdisciplinari provenienti da tutto il mondo a riflettere sulle responsabilità che l’architettura e i campi ad essa correlati hanno rispetto all’attuale crisi climatica. L’intento perseguito è comunque quello di collaborare a programmi pubblici riunendo la comunità internazionale dell’architettura attorno ad argomenti critici. Ospite di luoghi di fama mondiale, la piattaforma sviluppa conferenze, film e conversazioni che mettono in evidenza l’impegno di sostenere il lavoro di pensatori innovativi dentro e attorno all’architettura e al design, e di rendere le loro idee accessibili a tutti.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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